Oltre la globalizzazione e lo sviluppo

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Alcuni anni addietro, grazie alle grazie di Emanuela Bambara (quando era in grazia) e alla sua paziente e accurata traduzione, sono venuto a conoscenza di un saggio di Edgar Morin intitolato: “Società-mondo o impero-mondo? Oltre la globalizzazione e lo sviluppo“.  Lo editammo con Rubbettino in occasione di un convegno che organizzammo a Vibo Valentia dedicato al tema della Calabria  come frontiera di culture mediterranee. Il testo l’ho offerto alla rete già il 9 ottobre 2017, ma ripetere non guasta, come è notorio. Oggi lo rimetto in rete per farne base di una ulteriormente necessaria riflessione sulla fase drammatica che si prefigura sul Pianeta e in particolare nel nostro vicino Mediterraneo. Ovviamente con il cuore e la mente all’Italietta inchiodata a ragionare (così sembra che faccia) di TAV, TAP,  ponti, porti ed altre infrastrutture necessarie allo “sviluppo”. Il saggio ha una ventina di anni ma io non ho strumenti per valutarne o meno l’obsolescenza. Anzi, da ignorantone quale mi sento e sono, mi sembra ancora di grande aiuto.

Se sembra cosa degna anche a voi, raccogliete l’appello che – petulantemente – vi faccio di mandarci un aiuto, sia pur sotto forma di pochi euro.

Oreste Grani/Leo Rugens

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Edgar Morin

Società-Mondo o Impero-Mondo? Oltre la globalizzazione e lo sviluppo.

Una mondializzazione plurale

La globalizzazione che ha inizio nel 1990 è l’ultima tappa di un processo di planetarizzazione provocato nel XVI secolo dalla conquista delle Americhe e dall’espansione delle potenze dell’Europa occidentale sul mondo. Questo processo è segnato dalla pirateria, dalla schiavitù, dalla colonizzazione, ma anche dallo sviluppo e dalla propagazione, più tardiva e difficile, di un’altra planetarizzazione, sorta anch’essa nell’Europa occidentale, che le è contemporaneamente legata e antagonista: quella dell’umanesimo, dei diritti umani, dei principi di libertà-uguaglianza-fraternità, dell’idea di democrazia, del diritto dei popoli ad una esistenza nazionale, dell’internazionalismo.

Di fatto, la civiltà occidentale ha prodotto gli antidoti alla barbarie che essa stessa ha generato; questi, ancorché insufficienti, fragili e minacciati, hanno minato dall’interno la schiavitù, e le idee emancipatrici, passate agli asserviti, hanno portato alla decolonizzazione in gran parte del globo. Secondo un significativo paradosso storico, che si verifica nuovamente per i diritti delle donne, la fonte della più grande e durevole dominazione fu alla sorgente delle emancipazioni. Così, si è dovuto lottare contro l’imperialismo occidentale per rendere effettivi i valori occidentali.

La globalizzazione degli anni Novanta si inscrive nel doppio processo di dominazione/emancipazione e vi apporta caratteristiche nuove. L’implosione del totalitarismo sovietico ed il fallimento delle economie burocratizzate di Stato favoriscono, ad un tempo, una spinta di democratizzazione su tutti i continenti e un’espansione del mercato, che diviene veramente mondiale sotto l’egida del liberalismo economico; il capitalismo si trova “energetizzato” da una favolosa espansione informatica, con la conquista di nuovi territori, non soltanto geografici, ma sociali (il mercato dei servizi) e biologici (gli OGM, tra gli altri); l’economia di mercato invade tutti i settori dell’umano e della natura; contemporanemente, si opera la mondializzazione di reti di comunicazione istantanea (telefono mobile, telefax, Internet), che dinamizza il commercio mondiale ed è da questo dinamizzato.

Così, la globalizzazione degli anni Novanta realizza una mondializzazione tecnico-economica nello stesso tempo in cui favorisce un’altra mondializzazione, certo incompiuta, insufficiente, fragile, di carattere umanista e democratico, che si trova contrastata dalle conseguenze dei colonialismi, dall’handicap di gravi disuguaglianze, così come dallo scatenarsi del profitto.

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Società mondo?

La globalizzazione può essere considerata come lo stadio ultimo di una planetarizzazione tecnico-economica. E può essere considerata, contemporaneamente, come l’emergenza ineguale e caotica di un embrione di società-mondo.

Una società dispone di un territorio con un proprio sistema di comunicazioni. Il pianeta è un territorio dotato di un tessuto di comunicazioni (aerei, telefono, fax, Internet) di cui mai nessunaltra società ha potuto disporre in passato.

Una società include un’economia; l’economia è, di fatto, mondiale, ma le mancano le componenti essenziali di una società organizzata (leggi, diritto, controllo), e le istituzioni mondiali attuali, il Fondo Monetario Internazionale ed altre, sono incapaci a mettere in atto le necessarie regolazioni.

Una società è inseparabile da una civiltà. Esiste una civiltà mondiale, sorta dalla civiltà occidentale, che sviluppa il gioco interattivo della scienza, della tecnica, dell’industria, del capitalismo, e che comporta un certo numero di valori standard.

Una società, pur portando in seno molteplici culture, anche produce una cultura propria. Ora, ci sono molte correnti transculturali, che fertilizzano tutte le culture pur oltrepassandole, e che costituiscono una quasi-cultura planetaria. Meticciamenti, ibridizzazioni, personalità biculturali (Rushdie, Ariun Appadura) o cosmopolite arricchiscono incessantemente questa via transculturale.

Nel corso del XX secolo, i media hanno prodotto, diffuso e rimescolato, un folklore mondiale, a partire dai temi originari scaturiti da culture differenti, a volte resuscitate, a volte sincretizzate.

È notevole che le formidabili macchine culturali del cinema, della canzone, del rock, della televisione, animate dal profitto e organizzate secondo una divisione quasi industriale del lavoro, soprattutto a Hollywood, abbiano potuto produrre opere tutt’altro che mediocri e conformiste; vi è stata e v’è della creatività in tutti questi ambiti. Come ho già illustrato nel mio Esprit du temps, non si possono produrre in serie identica film o canzoni; ogni opera deve avere la propria particolarità e originalità, e la produzione fa necessariamente appello alla creazione. Spesso la produzione soffoca la creazione, ma, pure, ha permesso dei capolavori; l’arte del cinema è fiorita ovunque, in ogni continente, ed è diventata un’arte mondializzata, pur preservando le originalità degli artisti e delle culture…

Un folklore planetario si è costituito, e si arricchisce, attraverso integrazioni e incontri. Ha diffuso nel mondo il jazz, che si è ramificato in diversi stili a partire da New Orleans, il tango, nato nel quartiere portuale di Buenos Aires, il mambo cubano, il valzer di Vienna, il rock americano, che produce, esso stesso, varietà differenti in tutto il mondo. Ha integrato il sitar indiano di Ravi shankar, il flamenco andaluso, la melopea araba di Oum Kalsoum, il buayno delle Ande. Ha suscitato il sincretismo della salsa, del raï, del flamenco-rock.

Quando si tratta di arte, musica, letteratura, pensiero, la mondializzazione culturale non è omogeneizzante. È costituita di grandi ondate transculturali, che favoriscono l’espressione delle originalità nazionali nella loro valenza. Il meticciamento ha sempre ricreato della diversità, pur favorendo l’interscambio. Il jazz fu originariamente un ibrido afro-americano, prodotto singolare di New Orléans, che si è diffuso negli Stati Uniti conoscendo molteplici mutazioni, senza che i nuovi stili abbiano fatto sparire gli stili precedenti; è divenuto una musica negro-bianca, ascoltata, danzata e poi suonata da certi Bianchi e, sotto ogni sua forma, si è sparso nel mondo, tanto che il vecchio stile New Orléans, apparentemente allontanatosi dalla sua fonte, rinasce nelle cave di Saint German des Pres, ritorna negli USA e si re-installa a New Orléans. Poi, con l’incontro del rythm and blues, è nella sfera bianca che il rock appare negli Stati Uniti, per espandersi nel mondo intero e acclimatarsi, poi, in tutte le lingue, prendendo ogni volta una identità nazionale. Oggi, a Pechino, Canton, Tokyo, Parigi, Mosca, si danza, si festeggia, si diffonde il rock, e la gioventù di ogni Paese va volando allo stesso ritmo per tutto il pianeta.

La diffusione mondiale del rock ha, d’altronde, prodotto, un po’ dappertutto, nuove originalità meticce come la razza e, infine, ha rimescolato nella rock-fusione una sorta di agitazione ritmica, in cui si uniscono tra loro tutte le culture musicali del mondo. Così, talvolta in peggio, ma spesso anche in meglio, e senza perdersi, le culture musicali di tutto il mondo sono fecondate senza, tuttavia, sapere ancora di produrre infanti planetari.

Al contempo, come in tutte le società, si è andato creando un sostrato (underground), ma questa volta planetario, con la sua criminalità: dagli anni Novanta è esplosa una mafia intercontinentale (soprattutto, della droga e della prostituzione). E l’11 settembre 2001 ha rivelato l’esistenza di una rete terroristica mondiale, che, a suo modo, contribuisce all’emergenza della società mondo. Nel volere disintegrare la mondializzazione, Al Qaeda stimola la formazione di una società-mondo, che cerca di istituire una sua polizia e un suo esercito, e che, ancora meglio, potrebbe, dovrebbe, istituire una politica di civilizzazione per il pianeta.

In fondo, potremmo dire che la mondializzazione della nazione, che si è compiuta alla fine del XX secolo, dà un tratto comune di civiltà e cultura al pianeta; ma, allo stesso tempo, lo sbriciola ancora di più, e la sovranità assoluta delle nazioni ostacola l’emergenza di una società-mondo. Emancipatrice e oppressiva, la nazione rende estremamente difficile la creazione di confederazioni che risponderebbero ai bisogni vitali dei continenti e, ancor più, la nascita di una confederazione planetaria.

Così dunque, se il pianeta costituisce un territorio che dispone di un sistema di comunicazione, di un’economia, di una civiltà, di una cultura, ad esso manca un certo numero di disposizioni essenziali, che sono di governabilità, di cittadinanza, di controllo dei poteri, e ad esso manca una coscienza comune di appartenenza alla Terra Patria.

Difatti, il pianeta non dispone di un’organizzazione, di diritti, di una istanza di potere e di regolamentazione per l’economia, la politica, la polizia, la biosfera. L’ONU non può costituirsi in autorità sovranazionale e il suo sistema di veto la paralizza. Mancano le istanze che permettono ad una società-mondo di controllare la propria economia. La conferenza di Kyoto non ha potuto istituire un obbligo di salvaguardia della biosfera. Inoltre, una società-mondo non potrebbe emergere senza un proprio esercito ed una polizia internazionale.

Non c’è ancora una società civile mondiale, e la coscienza che siamo tutti cittadini della Terra Patria è dispersa, allo stato embrionale.

In breve, abbiamo le infrastrutture e non le sovrastrutture, abbiamo l’hardware e non il software.

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Abbozzo di una cittadinanza terrestre

A partire dalla fine del 1999 è possibile constatare la formazione di un embrione di società civile e di cittadinanza terrestre. Esisteva già, per opera di Gary Davis e René Marchand, a metà del XX secolo, l’associazione internazionale dei cittadini del mondo, che, per quanto emarginata, mantiene l’aspirazione all’unità planetaria.

Già esistevano le avanguardie di cittadinanza terrestre, dopo gli anni Settanta, con la creazione di associazioni umanitarie di medici, che vanno in ogni luogo per curare tutti i miseri, senza distinzioni etniche o religiose. Per conto suo, Amnesty International difende i diritti umani su tutto il pianeta denunciando la carcerazione arbitraria e la tortura di Stato. Greenpeace si è consacrata al compito vitale di salvaguardia della biosfera. Survival international si è votato ai piccoli popoli che in ogni continente sono minacciati di estinzione culturale e fisica. E numerose associazioni non governative si dedicano ai problemi comuni a tutta l’umanità, come la parità di diritti per le donne.

È avvenuto, però, un salto qualitativo nel dicembre del 1999. La manifestazione dell’anti-Seattle contro la mondializzazione tecnico-economica si è trasformata in una manifestazione a favore di un’altra mondializzazione, il cui il motto è: “Il mondo non è una merce”. È la presa di coscienza della necessità, non soltanto di una risposta mondiale a un problema mondiale, ma anche di una forza di pressione e di programma su scala planetaria. A Seattle hanno fatto seguito due incontri di Porto Alegre, divenuto forum della nascente società civile mondiale, e il secondo è stato coronato da una grande festa comunitaria di 60.000 persone di ogni Paese, in una sorta di Woodstock per la Terra Patria.

Occorre conoscere anche quanto è rimasto ignorato dai media, e cioè, che l’Alleanza per un mondo responsabile e solidale ha organizzato, nel corso di dieci giorni a Lille all’inizio di dicembre 2001, un’Assemblea dei cittadini del mondo, che ha riunito 700 fuoriusciti di tutti i Paesi e continenti, i quali, animati di magnifico fervore, hanno elaborato, attraverso dibattiti, una Carta delle responsabilità umane.

Nel marzo 2001 è stata creata, su iniziativa di Federico Mayor, già direttore dell’UNESCO, una “rete delle reti della società civile mondiale”, nominata UBUNTU (parola africana che designa l’umanità). UBUNTU si è riunita, nel marzo 2002, per dare vita ad un “Manifesto sul governo democratico” che mirava alla “riforma profonda del sistema delle istituzioni internazionali”.

Infine, a seguito di una riunione tenutasi a Bled nell’ottobre del 2001, su iniziativa del presidente della Slovenia, nel febbraio del 2002 è stato fondato un “Collegio internazionale etico, politico e scientifico”, che si è attribuito il compito di “vegliare e stare all’erta sui principali rischi che corre l’umanità”; si tratta, in particolare, delle minacce ecologiche, dei deregolamenti economici e finanziari e della “crisi di senso e del pensiero”, al fine di opporre loro una “risposta civica ed etica”, la quale comporta la necessità di lavorare per l’emergenza di una cittadinanza mondiale.

Aggiungiamo anche i sentimenti comunitari transnazionali che si manifestano attraverso la mondializzazione della cultura degli adolescenti e la mondializzazione dell’azione femminista. Purtroppo, le internazionali che hanno creato una solidarietà planetaria dei lavoratori sono esaurite, ma, le aspirazioni che le nutrivano sono risorte attraverso gli abbozzi dispersi, ma significativi, che in vari luoghi si disegnano perché appaia una società civile la cui formazione sarebbe una tappa importante dell’emergenza della società-mondo.

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Rompere con lo sviluppo

Ciò che manca perché una società-mondo possa costituirsi non come il compimento planetario di un impero egemonico, ma sulla base di una confederazione civile, non è un programma né un progetto, ma sono i principi che permettono di aprire una via.

Qui prende senso ciò che ho chiamato antropolitica (politica dell’umanità su scala planetaria) e politica di civilizzazione.

Tutto questo deve portare, innanzitutto, a disfarci del termine di sviluppo, per quanto corretto o addolcito in sviluppo durevole, sostenibile o umano.

L’idea di sviluppo ha sempre comportato una base tecnico-economica, misurabile per mezzo degli indicatori di crescita e di quelli di reddito. Essa suppone implicitamente che lo sviluppo tecnico-economico sia la locomotiva che trascina naturalmente al suo seguito “uno sviluppo umano” il cui il modello perfettamente compiuto è quello dei Paesi cosiddetti sviluppati, ovvero, occidentali. Tale visione suppone che lo stato attuale delle società occidentali costituisca lo scopo e il fine della storia umana.

Lo sviluppo “durevole” si limita a moderare lo sviluppo in rapporto al contesto ecologico, senza metterne in discussione i principi; nell’espressione “sviluppo umano”, la parola “umano” è priva di ogni sostanza, a meno che essa non rinvii al modello umano occidentale, che, certo, comporta dei tratti essenzialmente positivi, ma anche, lo ripetiamo, dei tratti essenzialmente negativi.

Anche, lo sviluppo, nozione apparentemente universale, costituisce un mito tipico del sociocentrismo occidentale, un motore di occidentalizzazione forsennata, uno strumento di colonizzazione dei “sottosviluppati” (il Sud) da parte del Nord. Come dice giustamente Serge Latouche, «questi valori occidentali (dello sviluppo) sono proprio quelli che bisogna mettere in dubbio per trovare una soluzione ai problemi del mondo contemporaneo» (Le Monde diplomatique, maggio 2001).

Lo sviluppo, così com’è definito, ignora ciò che non è né calcolabile né misurabile, cioè, la vita, la sofferenza, la gioia, l’amore, e la sua sola misura di soddisfazione è la crescita (della produzione, della produttività, del reddito monetario). Definito unicamente in termini quantitativi, esso ignora le qualità: la qualità dell’esistenza, la qualità della solidarietà, la qualità dell’ambiente, la qualità della vita. Inoltre, il PIL(prodotto interno lordo) calcola come positive tutte le attività generatrici di flussi monetari, ivi comprese le catastrofi, come il naufragio dell’Erika o la tempesta del 1999, e ignora le attività benefiche gratuite. La sua razionalità quantificante è irrazionale.

Lo sviluppo ignora che la crescita tecnico-economica produce sottosviluppo morale e psichico: l’iperspecializzazione generalizzata, le compartimentazioni in ogni campo, l’iperindividualismo, lo spirito di lucro, comportano la perdita della solidarietà. Lo sviluppo genera una conoscenza specialistica che è incapace di risolvere i problemi multi-dimensionali. L’educazione disciplinare del mondo sviluppato porta, sì, delle conoscenze, ma determina una incapacità intellettuale di riconoscere i problemi fondamentali e globali.

Lo sviluppo porta in sé tutto ciò che vi è di problematico, nefasto e funesto, nella civiltà occidentale, senza tuttavia comportare quanto vi è di fecondo (i diritti umani, la responsabilità individuale, la cultura umanista, la democrazia).

Lo sviluppo ignora le ricchezze umane non calcolabili e non monetizzabili, ignora il dono, la magnanimità, l’onore, la coscienza, il suo cammino spazza via i tesori culturali e le conoscenze delle civiltà arcaiche e tradizionali; il concetto cieco e grossolano di sottosviluppo disintegra l’arte della vita e la saggezza di culture millenarie.

Lo sviluppo apporta, certo, progresso scientifico, tecnico, medico, sociale, ma porta, anche, distruzione della biosfera, distruzione culturale, e nuove ineguaglianze e nuove schiavitù si sostituiscono ad antichi asservimenti. Il termine di sviluppo durevole o sostenibile può rallentare o attenuare, ma non modificare, questo corso distruttivo.

Lo sviluppo ignora che un autentico progresso umano non può partire dall’oggi, ma necessita di un ritorno alle potenzialità umane generiche, cioè, di una rigenerazione. Così come un individuo porta nel suo organismo le cellule madri onnipotenti che possono rigenerarlo, così anche l’umanità porta in sé i principi della propria rigenerazione, ma dormienti, chiusi nelle specializzazioni e nelle sclerosi sociali. Sono proprio questi principi che permettono il progresso.

Infine, lo sviluppo, di cui il modello, l’ideale, il fine è la civiltà occidentale, ignora che questa civiltà è in crisi, che il suo benessere comporta un malessere, che il suo individualismo comporta chiusure egocentriche e solitudini, che le sue fioriture urbane, tecniche e industriali comportano stress e nocività, che le forze che hanno scatenato lo “sviluppo” conducono alla morte nucleare e alla morte ecologica.

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Per una politica dell’umanità

La nozione di sviluppo deve, a mio giudizio, essere rimpiazzata contemporaneamente da quella di una politica dell’umanità (antropolitica), che da tempo ho suggerito, e da quella di una politica di civilizzazione.

La politica dell’umano avrebbe come propria missione più urgente solidarizzare il pianeta.

Così, un’agenzia ad hoc delle Nazioni Unite dovrebbe potere disporre di fondi propri per l’umanità sfavorita, sofferente, miserabile. Dovrebbe, pure, prevedere un Ufficio mondiale di farmaci gratuiti per l’AIDS e le malattie infettive; un Ufficio mondiale per l’alimentazione delle popolazioni indigenti o colpite dalle carestie, un aiuto sostanziale alle ONG umanitarie. Le nazioni ricche dovrebbero procedere ad una mobilitazione massiccia della propria gioventù in un servizio civile planetario ovunque i bisogni si facciano sentire (siccità, inondazioni, epidemie). Il problema della povertà è mal stimato in termini di reddito; è soprattutto l’ingiustizia quello di cui soffrono i poveri, che di fronte alla malnutrizione, alla malattia, sono carenti di risorse, come sono privati del rispetto e della considerazione. Il problema dei diseredati è la loro impotenza davanti al disprezzo, all’ignoranza, ai colpi della sorte. La paupertà è ben più che la semplice povertà. Ribadisco che, per quanto riguarda l’essenziale, non si calcola e non si misura in termini monetari.

La politica dell’umanità dovrebbe essere, allo stesso tempo, una politica per costituire, salvaguardare e controllare i beni planetari comuni. Poiché questi sono attualmente limitati e decentrati (l’Antartico, la Luna), bisognerebbe introdurre il controllo dell’acqua, dei suoi depositi e delle sue deviazioni, invece di quello dei giacimenti petroliferi.

La politica dell’umanità sarebbe correlativamente una politica di giustizia per tutti quelli che, non occidentali, subiscono la negazione dei diritti riconosciuti dall’Occidente a se stesso.

Una Politica di civilizzazione avrebbe la missione di sviluppare il meglio della civiltà occidentale, rigettarne il peggio e operare una simbiosi di civiltà, integrando gli apporti fondamentali dell’Oriente e del Sud. Questa politica di civilizzazione sarebbe necessaria per l’Occidente stesso, che soffre sempre di più del dominio del calcolo, della tecnica, del profitto su tutti gli aspetti della vita umana, del dominio della quantità sulla qualità, della degradazione della qualità della vita nelle megalopoli e della desertificazione di terreni lasciati all’agricoltura e all’allevamento industriali, che hanno già prodotto molte catastrofi alimentari. Il paradosso è che questa civiltà occidentale che trionfa nel mondo è in crisi proprio nel suo cuore, e il suo compimento è la rivelazione delle sue stesse carenze.

La politica dell’uomo e la politica di civiltà devono convergere sui problemi vitali del pianeta. La navicella spaziale Terra è sospinta da quattro motori integrati e, allo stesso tempo, incontrollati: scienza, tecnica, industria, capitalismo (profitto). Il problema è di stabilire un controllo su questi motori: i poteri della scienza, della tecnica, dell’industria devono essere guidati dall’etica, la quale, però, non può imporre un controllo se non attraverso la politica; l’economia non soltanto deve essere regolata, ma anche deve diventare plurale, comprendendo le mutue, le associazioni, le cooperative, gli scambi di servizi.

Così, per risolvere i suoi problemi fondamentali e affrontare i pericoli estremi, una società-mondo necessita di una politica dell’uomo e di una politica di civilizzazione. Ma, necessita anche di governabilità. Una governabilità democratica mondiale, oggi, non è praticabile; perché le società democratiche si preparano attraverso mezzi non democratici, cioè, riforme obbligatorie.

Sarebbe auspicabile che questa governabilità fosse realizzata a partire dalle Nazioni Unite, che potrebbero confederarsi, dando vita a istanze planetarie dotate di potere sui problemi vitali e in pericoli estremi (armi nucleari e biologiche, terrorismi, ecologia, economia e cultura). Ma, l’esempio dell’Europa ci mostra la lentezza di un percorso che esige un consenso da parte di tutti i partners. Ci vorrebbe il precipitarsi improvviso e terribile di un pericolo, l’arrivo di una catastrofe, che provochi l’elettroshock necessario alla presa di coscienza e alla presa di decisione.

Cioè, si dovrebbe operare nella direzione di un civismo planetario, dell’emergenza di una società civile mondiale, di un ampliamento delle Nazioni Unite.

La Terra-Patria potrebbe sorgere attraverso regressioni, dislocazioni, caos, disastri, senza sostituirsi alle singole Patrie ma inglobandole.

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L’enorme ostacolo: l’umanità stessa

Abbiamo, così, appena disegnato il modello razionale e umanista di una società-mondo, come se essa dovesse costituirsi secondo questa razionalità e questo umanesimo. Ma non potremmo nascondere più a lungo gli enormi ostacoli che vi si oppongono.

Innanzitutto, il fatto che la tendenza all’unificazione della società-mondo suscita resistenze nazionali, etniche, religiose, che tendono alla balcanizzazione del pianeta, e che l’eliminazione di queste resistenze supporrebbe un dominio sfrenato.

C’è poi, soprattutto, l’immaturità degli Stati-nazione, degli spiriti, delle coscienze, cioè, fondamentalmente l’immaturità dell’umanità nel portare se stessa a compimento.

Non ci sono soltanto, in effetti, lo scatenamento e la competizione degli interessi, delle ambizioni, dei poteri, degli sfruttamenti, che il contesto mondiale del resto favorisce; non ci sono soltanto le furie fanatiche, che esacerbano gli scontri tra le culture; ci sono ancor più, gli individualismi occidentali e i comunitarismi diffusi, che si amplificano contemporaneamente sul pianeta, lasciando spazio al male primordiale dell’incomprensione umana.

L’umanesimo delle società occidentali favorisce all’inizio la comprensione, ma questo stesso umanesimo è poi inibito dall’antagonismo con le altre società. L’individualismo occidentale favorisce, invece, l’egocentrismo, l’interesse personale, l’autogiustificazione più che la comprensione degli altri; da qui, le violenze dei contrasti in famiglia, nei gruppi, negli ambienti di lavoro e, ovviamente, tra coloro che dovrebbero educare alla comprensione: gli insegnanti. Allo stesso tempo, le chiusure comunitarie, in tutte le civiltà, esasperano le incomprensioni tra popolo e popolo, tra nazione e nazione, tra religione e religione. E poi, l’estendersi e l’inasprirsi delle incomprensioni nell’estensione e nell’inasprimento dei conflitti, che coincidono con i processi di emergenza della società-mondo e che, senza posa, si sforzano di impedire l’emergenza stessa.

Nessun novello Buddha, nessun novello Cristo, nessun nuovo Profeta è venuto per esortare alla riforma degli spiriti, alla riforma degli individui, la quale sola potrebbe rendere possibile la comprensione umana. Occorrerebbe, pertanto, per una civiltà mondializzata, che sopravvenissero dei grandi progressi dello spirito umano, non tanto nelle sue capacità tecniche e matematiche, e non soltanto nella conoscenza della complessità, ma proprio nella sua interiorità psichica. È chiaro ai nostri occhi (ai nostri occhi soltanto) che è necessaria una riforma della civiltà occidentale e di tutte le altre civiltà, e che è necessaria una riforma radicale di tutti i sistemi educativi, ed è altrettanto chiaro che regna l’incoscienza totale e profonda del carattere di urgenza di suddetta riforma.

La necessità di questa riforma interiore degli spiriti e degli individui, divenuta così urgente per la politica, evidentemente non è visibile ai politici. Paradossalmente, il modello di politica dell’umanità e di politica di civilizzazione che abbiamo prospettato, benché corrisponda ad una serie di possibilità materiali e tecniche, è una possibilità reale allo stato attuale impossibile. Perciò, l’umanità perdurerà a lungo con il dolore del parto, o dell’aborto, quale che sia la via che prevarrà.

Ciò vuol dire, al contempo, che l’umanità o sarà organizzata come società-mondo civilizzata, come labbiamo immaginata, o si organizzerà, se mai riuscisse a organizzarsi, come una società-mondo brutale, grossolana, barbara. Cè di più; in antagonismo con la possibilità di una società-mondo confederale si è costituita la possibilità di un governo imperiale, assicurato e assunto dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo in cui siamo in cammino verso una società-mondo, ci muoviamo anche in direzione di una società-mondo che rischia di prendere la forma di un Impero-Mondo. Certo, questo impero-mondo non potrebbe integrare in sé la Cina, ma potrebbe comprendere l’Europa e la Russia come satelliti. Certo, il carattere democratico e multietnico degli Stati Uniti contrasterebbe con un Impero razziale e totalitario. Ma non impedirebbe una dominazione brutale e intransigente sui non-conformismi e sulle resistenze agli interessi egemonici.

D’altronde, quale che sia la via della sua formazione, la società-mondo non abolirebbe per se stessa gli sfruttamenti, le dittature, i rifiuti, le ineguaglianze esistenti. Ma, a partire da una società-mondo, come da un Impero-mondo, possiamo pur sempre intravedere il lungo cammino possibile verso una cittadinanza e una pacificazione planetarie. L’Impero romano fu fondato in due secoli di predazioni e di conquiste feroci, ma nel 212 d. C., con l’editto di Caracalla, fu concesso il diritto di cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero.

L’importante non è sapere se vi sarà un Impero-mondo o una confederazione planetaria; le forme di organizzazione non devono nascondere il problema principale: se le ambizioni, la sete di lucro, le incomprensioni, cioè, gli aspetti più perversi, barbari e viziosi dell’essere umano, non possono essere inibiti, o almeno regolati, se non si addiviene, non soltanto ad una riforma del pensiero, ma ad una vera e propria riforma dello spirito, ovvero, ad una riforma dell’essere umano in quanto tale, la società-mondo sarà sempre a rischio di una dislocazione, di conflitti, di crudeltà, di negazioni, e continuerà a subire tutto ciò che ha, fino ad oggi,  insanguinato e reso cruenta la storia dell’umanità, degli imperi, delle nazioni. Come arrivare ad una simile riforma, che presuppone anche la riforma radicale dei sistemi di educazione, e che presuppone anche una grande corrente di comprensione e di compassione nel mondo, un nuovo vangelo, nuove mentalità? Non so immaginarlo; è certo, però, che i grandi mutamenti sono invisibili e impossibili prima del loro apparire; da qui la possibilità di mantenere la speranza nella disperazione…

Per concludere, dico che ci avviciniamo non soltanto a un termine storico, ma ad un nuovo inizio, che, come tutti gli inizi, comporterà anche barbarie e crudeltà, e che la strada verso una umanità civilizzata sarà lunga e incerta. E questo cammino si farà, così come è avvenuto dopo Hiroshima, all’ombra della morte. Potrebbe anche darsi che questo inizio sia una fine…

La speranza? La messicana Ana Rosa Castellana mi ha scritto, al ritorno da Porto Alegre: «Sento che va emergendo nel mondo una nuova forza davvero importante, convergente, che sta maturando in diverse sfere e gruppi di interesse, e che cammina gettando ponti, creando legami e reti; è come se si ammucchiassero in quantità dei grani di sabbia e vedessimo apparire all’improvviso la montagna che da essi si forma».

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Le cellule madri sono presenti, ovunque, si tratta soltanto di stimolarle.

Non c’è mai stata una causa tanto grande, tanto nobile, tanto necessaria come la causa dell’umanità, affinché possa, ad un unico tempo e inseparabilmente, sopravvivere, vivere e umanizzarsi. È incredibile che quasi nessuno ne abbia coscienza.

La più grave minaccia e la più grande promessa sopraggiungono insieme in questo secolo. Da una parte, il progresso tecnico-scientifico offre delle possibilità di emancipazione finora sconosciute, per ciò che concerne i vincoli materiali, le macchine, le burocrazie, o in rapporto ai vincoli biologici della malattia e della morte. Dall’altra parte, la Morte di massa per armi nucleari, chimiche, biologiche, o per i disastri ecologici, getta la sua ombra sull’umanità: l’età dell’oro e l’età dell’orrore si presentano insieme al nostro avvenire. Può darsi che si mescolino tra loro nel susseguirsi, ad un livello sociologico nuovo, dell’età planetaria del ferro e della preistoria dello spirito umano.

(Traduzione a cura di Emanuela Bambara e Chiara Marra)