Emanuela Orlandi: siamo alla fine della Via Crucis?

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Pippo Calò

Rimane il fatto che in una ricostruzione come quella fatta, per sommi capi, dal Il Messaggero, quotidiano della Capitale, gli aspetti che mai sarebbero dovuti rimanere misteriosi e senza risposte puntuali, sono molti. A cominciare da perché, in un caso di tale complessità e con riflessi perfino storico/diplomatici (troppo spesso si rimuove che qualcuno non solo tentò di uccidere in piazza un Papa ma che lo IOR fosse un hub di accertati macro interessi criminali, groviglio che sfocia in un altro caso gravissimo quale la morte per impiccagione del massone Roberto Calvi), non si è ritenuto di interrogare un boss quale Pippo Calò o di credere ad una testimone “oculare” di quel periodo quale è stata Sabrina Minardi, donna forse un po’ sciroccata per la vita travagliata vissuta, ma paradossalmente molto molto molto puntuale quando riferisce le sue esperienze personali (anche sessuali) con alcuni protagonisti di quelle storie bituminose. Come al solito è il grado di non determinazione a cercare la verità (sempre comunque in alcuni casi precisi) che non aiuta i cittadini ad avere fiducia nelle istituzioni repubblicane. E il come si indaga che lascia sempre sconcertati. A prescindere se le ossa siano o meno quelle di Emanuela. A prescindere da quale palazzo extra territoriale possa eventualmente essere stato scelto per fare all’epoca sparire la prova del misfatto.  Dopo 35 anni indagare ed avere certezze sarà comunque difficile. Tutti i protagonisti di rilievo delle cronache di quegli anni sono ormai morti, con l’eccezione di Pippo Calò (sbrigatevi) tra le fila degli eventuali criminali, della già citata Minardi e di pochi altri.

Tra gli investigatori che vedevo arrivare a via Archimede 59 presso lo studio di Gennaro Egidio (nel cuore delle convulse ricerche) ricordo Rino Monaco, ma è morto. Spero di non sbagliarmi, ma tra i giovani brillanti poliziotti emergenti c’era anche Gianni De Gennaro che con la grande capacità di “organizzare la memoria” che lo connota, potrebbe fare ancora delle pacate ipotesi su quegli avvenimenti. Se fossi autorevole giornalista, con modalità non scandalistiche, pur tenendo conto dei 35 anni trascorsi, qualche domanda intelligente a De Gennaro l’andrei a fare, almeno per ricostruire il clima e i rapporti di potere che caratterizzavano quella fase storica. Così come le rivolgerei ad Antonio Cornacchia e, se fosse vivo, ad Elio Cioppa a Francesco Pompò entrambi passati per il 1°Distretto della Questura di Roma. Voglio a proposito di quel periodo infuocato in cui le mafie mettono radici certe a Roma e la P2 spadroneggiava lasciare in rete una riflessione a cui tengo: la Roma che un giorno viene ereditata, trent’anni dopo, da una signora sprovveduta quale si è dimostrata Virginia Raggi ha la sue radici in quegli anni. Come mi sarà facile dimostrare in più post dedicati che mi accingo a scrivere al personaggio/sistema Pippo Calò, la salamandra con il papillon, non era proprio cosa buttare nell’arena romana una come Raggi, pronta ad essere (come è stata) attenzionata dagli ultimi eredi di quegli anni purulenti cadenzati da morti ammazzati e da saccheggi della cosa pubblica senza fine. Se non si hanno strumenti per valutare i grovigli bitumosi tra criminalità, massonerie e politica degenerata è meglio astenersi che aggiungere guai a guai. Come sarà ora a Roma quando con il cavallo di Troia della neo Lega (nella Capitale spunteranno i peggiori arnesi sopravvissuti oggi tutti schierati con Salvini il Salvatore) la restaurazione criminale e affaristica avrà vittoria certa. Le occasioni mancate, le inadeguatezze, le false vocazioni al cambiamento e alla lotta al crimine spianano la strada ai criminali e nel farlo dilazionano nel tempo ogni speranza di cambiamento.

Peccato che la mente raffinata di Gennaro Egidio ci ha lasciato troppo presto, altrimenti in nome dell’amicizia e della collaborazione trascorsa e la lunga frequentazione (anni) a via Archimede 59, oggi quelle domande opportune, si sarebbero potute concordare con lui. A prescindere dai riscontri sulle ossa. Tenendo comunque conto che le tecnologie di cui disponiamo ci diranno con assoluta certezza se si tratta dei resti di Emanuela. A partire dalla datazione di queste ossa e finendo al DNA che la unisce a suo fratello Pietro. Se era lei, nei prossimi giorni, si saprà. Lei brava ragazza innocente merita, alla fine, un po’ di oneste risposte. A lei, a suo fratello, a tutti voi che non avete mai cessato, per i più diversi motivi, di appassionarvi a questo caso. Che così sia.

Oreste Grani/Leo Rugens


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