“Mosca” oggi – Intervista a Mark Galeotti*

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Mark Galeotti

 

Il blog accoglie e saluta con piacere la disponibilità dimostrata da Mark Galeotti, studioso inglese di geopolitica e grande esperto di “Mosca”, nel rispondere alle domande che un volenteroso collaboratore di Leo Rugens gli ha posto. Diciamo anzi che è un onore che uno studioso di tale fama, i suoi lavori sono infatti citati a fianco di quelli di Christopher Andrew, abbia accolto la nostra richiesta.

La complessità delle domande e delle risposte dimostra, se ce ne fosse il bisogno, che la geopolitica non è materia per dilettanti e che dire “Mosca” o “Putin” non è lo stesso che dire “USA” o “Trump”.

Ci fa inoltre piacere che Mark Galeotti abbia scelto Firenze quale base per insegnare e approfondire, noi pensiamo, le sue ricerche; dove, meglio che nella patria di Machiavelli e di uno spaventoso intreccio di post comunismo, massoneria e malavita organizzata qual è la Toscana per comprendere questo strano posto che è il Mediterraneo? Ricordiamo tutti, infatti, la visita lampo e in incognito di Putin sull’Argentario qualche anno fa, Toscana appunto.

Ben trovato Mr. Galeotti.

La redazione

 

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* Il dott. Mark Galeotti è Jean Monnet Fellow 2018-19 presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze e Senior Non-Resident Fellow presso l’Istituto delle Relazioni Internazionali di Praga.

Redazione In alcune sue recenti interviste ha sottolineato come nel caso Skrypal sarebbe un errore considerare il probabile intervento del servizio militare russo Gru un goffo tentativo andato male e che allo stesso tempo i governi occidentali dovrebbero mostrare più attenzione verso questi eventi.

Cosa pensa l’opinione pubblica britannica a riguardo? Avverte una minaccia invisibile straniera ed è preoccupata per un peggioramento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi o ritiene che supererà anche questo “incidente” come altri nel passato e le relazioni torneranno presto alla normalità?

Galeotti Nonostante l’opinione pubblica britannica, nel suo insieme fosse inorridita e irritata dal caso Skrypal, non è questo il motivo che inasprisce le relazioni anglo-russe.

La Brexit ed una molteplicità di questioni interne sono molto più importanti.

Tuttavia, se ci riferiamo all’opinione delle élite politica, è chiaro che l’episodio ha oltrepassato alcuni confini invisibili e si è evidenziato un aumento delle risorse per il controspionaggio nei confronti della Russia, controlli dei visti più stretti ed altri – limitati – sul flusso discutibile di denaro russo nel sistema finanziario britannico.

Le relazioni anglo-russe sono pessime da anni, in realtà dall’assassinio di Litvinenko del 2006 quindi in un certo senso il “tornare alla normalità” può rappresentare un dibattito aperto, ma non mi aspetto che vi possa essere un significativo miglioramento negli anni a venire e probabilmente non fino a quando Putin rimarrà al Cremlino.

R. Può spiegare più in dettaglio cosa intende quando dice che il servizio militare Gru, suppongo quindi anche altri apparati di sicurezza russi, perseguono un “ethos” di servizio?

G. Ciascuna agenzia di intelligence e di sicurezza russa si considera operativa durante un conflitto, nel combattere una guerra occulta contro l’Occidente che è volto a indebolire ed umiliare il loro paese o, secondo alcuni, addirittura nel tentare di frammentarlo.

Ovviamente, ciò ha effetti notevoli su come operano: in particolare sulla loro volontà di rischiare, poiché in guerra ci si preoccupa meno delle possibili conseguenze e più del portare a termine una missione.

Tuttavia, come servizio di intelligence militare il GRU (o più esattamente il GU, anche se a Mosca tutti sembrano ancora usare il loro nome pre-2010) ha una mentalità particolare che per molti versi è modellata su quella delle forze speciali Spetsnaz, che sono anche sotto il comando dell’agenzia.

La loro cultura machista e aggressiva, che funziona bene per i commandos pronti a paracadutarsi dagli aerei, infiltrarsi nel territorio nemico e combattere in prima linea, può essere problematica se applicata agli ufficiali dell’intelligence e ciò aiuta a spiegare perché recentemente un numero di operazioni GRU siano state compromesse – ma probabilmente significa anche che hanno ottenuto numerosi successi di cui non siamo ancora a conoscenza.

R. Nel suo ultimo libro “The Vory: Super mafia della Russia” descrive molto bene lo sviluppo della mafia russa nel corso del tempo, dal 1700 fino ad oggi, sottolineando come il crimine organizzato abbia svolto e continui a svolgere un ruolo importante nell’evoluzione del sistema politico ed economico russo.

Come valuta il possibile rapporto tra il crimine italiano e quello russo nei due paesi?

Esiste una sinergia tra i diversi gruppi criminali nazionali in determinati settori?

G. I gangster italiani sono stati i primi a intravedere le opportunità in una collaborazione con le loro controparti russe all’inizio degli anni ’90 e ben presto abbiamo riscontrato una serie di accordi, in special modo nel riciclaggio di denaro sporco, nello spaccio di droga e nel traffico di persone.

Ciò è proseguito fino ai giorni nostri – ad esempio, vediamo i russi che scambiano l’eroina dall’Afghanistan in cambio della cocaina latinoamericana, tramite trattative mediate dalla Camorra.

In parte, questo è stato facilitato dall’amicizia e dai legami storici tra Italia e Russia (tutto ciò che è italiano è ancora molto di moda a Mosca!), così come da certe somiglianze tra le situazioni di entrambi i paesi. Dopotutto, il crimine organizzato in Italia e in Russia, non solo ha cercato di prendere il controllo, ma è anche stato in grado di espandersi ed arricchirsi grazie ad alleanze con funzionari corrotti.

R. Come valuta da un punto di vista strategico e geopolitico il ritiro annunciato di Trump dal Trattato INF sui missili balistici a medio raggio (Intermediate Range Nuclear Forces) del 1978?

G. Sotto diversi aspetti, non credo che la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi unilateralmente dal trattato INF sia particolarmente importante in termini tecnici e militari – il vero significato è politico.

La Russia stava già violando il trattato, ma francamente la sue forze nucleari non sono più dirette principalmente verso l’Occidente – anche il più paranoico stratega del Cremlino non prevede seriamente uno scambio nucleare con la NATO.

Piuttosto, la potenza nucleare russa è assolutamente cruciale per dissuadere qualsiasi potenziale futura aggressione cinese, in quanto non esiste un modo convenzionale in cui Mosca possa difendere le sue terre a est degli Urali, se Pechino dovesse attaccare.

Tuttavia, Mosca è alla disperata ricerca di un grande potere ed avere un accordo specifico con Washington è stata una parte, anche se esigua, di questa continua e francamente anacronistica pretesa. Trump vorrebbe contrastarla in modo altezzoso e agli occhi dei russi arrogante, cosa che sicuramente li irrita.

R. Considera positivo una maggiore presenza della Russia nel Mediterraneo che vada a svolgere un ruolo stabilizzatore dalla Siria alla Libia attraverso l’Egitto?

Oppure ritiene che potrebbe aumentare il già presente attrito tra Europa e Russia?

G. Al momento la Russia non ha un reale interesse di presentarsi come una forza stabilizzante nell’area del Mediterraneo. Essenzialmente, vede questa e altre regioni periferiche come teatri secondari in una lotta con l’Occidente.

Allo stato attuale, la sua strategia è chiaramente quella di avere un’influenza in varie regioni che sono nella sfera dell’Occidente, o in specifici paesi, nella speranza di usare questi come leva e opportunità per accordi futuri. Ha tutto l’interesse a rendere queste aree problematiche, così che la tentazione di raggiungere un qualche tipo di accordo con Mosca sarà maggiore.

In Libia, ad esempio, mentre Mosca ha interessi economici, la sua alleanza con Khalifa Haftar è esattamente da intendersi come una potenziale pedina di scambio, forse con Roma. È la stessa logica che si osserva nei Balcani e altrove – i veri interessi di Mosca sono più vicini a “casa”, dall’abolizione delle sanzioni, al riconoscimento dell’annessione della Crimea ed altro, e spera a un certo punto di poter scambiare alcune di queste “avventure” e mosse, che hanno poca reale importanza, per trattare sui veri temi chiave.

 

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*Dr Mark Galeotti is a 2018-19 Jean Monnet Fellow at the European University Institute in Florence and a Senior Non-Resident Fellow at the Institute of International Relations Prague.

In some of your recent interviews you pointed out that in the Skrypal case it would be a mistake to consider the probable intervention of the Russian military service Gru as an awkward attempt gone badly and at the same time Western governments should show more attention to these facts.

What does the British public opinion think about this episode?

Do they feel under an invisible foreign threat and are worried about a worsening of diplomatic relations between the two countries, or do you think they will overcome this “accident” like others in the past and will relations soon return to normal?

Galeotti While the British public as a whole was horrified and angered by the Skrypal case, it is hardly the case that Anglo-Russian relations loom large for them. Brexit and a variety of domestic issues are far more important. However, if we are talking about the opinion of the policy elites, there is a clear sense that the case crossed some invisible boundaries, and we have seen more resources going to counter-intelligence directed against Russia, tougher visa controls, and some – admittedly limited – moves against questionable Russian money in the British financial system. Anglo-Russian relations have been very poor for years, really since the 2006 Litvinenko murder, so in a way quite what “returning to normal” may mean is open to discussion, but I do not expect there to be any real improvement for years to come, and probably not as long as Putin remains in the Kremlin.

Can you explain more in detail what do you mean when you say that the military service Gru, I suppose then also other Russian security apparatus, pursuing an “ethos” of service?

G. All the Russian intelligence and security agencies consider themselves to be on wartime footing, fighting a covert political war against a West dedicated to undermining and humbling their country or, to some, even trying to break it apart. Obviously that has very significant effects on how they operate: their willingness to take risks, in particular, as in war you worry less about the possible consequences and more about completing the mission.

However, as a military intelligence service the GRU (or more accurately the GU, although even in Moscow everyone still seems to use their pre-2010 name) has a particular mindset that in many ways is shaped by that of the Spetsnaz special forces, which are also under the agency’s command. Their macho, aggressive culture, one that works well for commandos expected to leap from planes, infiltrate enemy territory and fight at the front line, can be problematic when applied to intelligence officers, and helps explain why of late a number of GRU operations have been compromised – but it probably also means they have achieved a number of successes of which we are not yet aware.

In your latest book The Vory: Russia’s Super Mafia you describe very well how the Russian mafia developed over time from 1700 to today underlining how organized crime has played and continues to play an important role in the evolution of the russian political and economic system.

How do you evaluate the possible relationship between Italian and Russian crime in both countries?

Is there a synergy between the two national criminal groups in particular sectors?

G. Italian gangsters were the first to see the opportunities to be found in collaboration with their Russian counterparts in the early 1990s, and we soon saw a variety of deals, especially involving money laundering, drug dealing and people trafficking. That has continued to the present day – for example, we see the Russians swapping heroin from Afghanistan for Latin American cocaine, in deals mediated by the Camorra. In part, this was facilitated by long-running historical friendships and connections between Italy and Russia (all italian things are still very fashionable in Moscow!), as well as certain parallels between the situations in both countries. After all, organised crime in both Italy and Russia, while facing genuine attempts at control, has also been able to expand and enrich itself thanks to alliances with corrupt officials.

How do you evaluate from a strategic and geopolitical point of view the announced withdrawal of Trump from the INF Treaty on the medium range ballistic missiles (Intermediate Range Nuclear Forces) of 1978?

G. In many ways, I do not think the US decision unilaterally to withdraw from the INF treaty is especially important in technical, military terms – the real significance is political. Russia was already in breach of the treaty, but quite frankly, its nuclear forces are no longer in any meaningful sense directed towards the West – even the most paranoid Kremlin strategist does not seriously envisage a nuclear exchange with NATO. Rather, Russian nuclear forces are absolutely crucial for deterring any potential future Chinese aggression, as there is no conventional way that Moscow could defend its lands east of the Urals, were Beijing to attack.

However, Moscow is desperate to look like a great power, and having a specific accord with Washington was a part, even if a small one, of this continuing, and frankly anachronistic claim. That Trump would break it in such a cavalier, and in Russian eyes arrogant way, certainly hurts and angers them.

Do you think that Russia’s greater presence in the Mediterranean is positive and that it can play a stabilizing role from Syria to Libya via Egypt? Or do you think it could increase the current friction between Europe and Russia?

G. Russia has no real interest at present in being a stabilising force in the Mediterranean region. Essentially, it sees this and other peripheral regions as being secondary theatres in a struggle with the West. At present, its strategy is clearly to establish influence in various regions which are of interest to the West, or specific countries within in, in the hope of using this as leverage or room for future deals. It has every interest in making these areas problematic for the West, such that the temptation to reach some kind of accord with Moscow is greater. In Libya, for example, while Moscow does have an economic stake, its alliance with Khalifa Haftar is precisely envisaged as such a potential bargaining chip, perhaps with Rome.

It is much the same instrumental logic as we see in the Balkans and elsewhere – Moscow’s real interests are closer to home, on lifting sanctions, acknowledging its annexation of Crimea and the like, and it hopes at some point to trade some of these adventures and engagements, which have little real importance to it otherwise, for movement on these core issues.

 

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