BUFFONI – Dario Borso

Horthorsrt - San Sebastiano

Il 6 novembre scorso, navigando col mio vasel nel vasto mare blu di fb, m’incagliai su questo post, che adesso spigolo:

Da Il racconto dello sguardo acceso, Marcos  y

Marcos 2016, ripropongo “Il racconto di Pasolini“.


Pasolini lo avevo incontrato in un’occasione di poesia a Roma nel luglio del 1972, ma non ero riuscito a suscitare il suo interesse. In compenso sentii parlare molto di lui in quel mese di esami di maturità, come supplente neo-laureato nella commissione dell’Istituto Tecnico-Linguistico Femminile “Caterina da Siena” di via Panisperna. Non come regista o come scrittore, non ce n’era bisogno. Sentivo parlare di lui la sera dal mio aiuto-bagnino. Aveva vent’anni, lo avevo incontrato sulla spiaggia di Ostia, dove mi recavo al pomeriggio dopo gli esami. Ero sceso a Roma con la mia 128 gialla e la sera mi piaceva scorrazzare con Riccardo, che esibiva le sue camicie sgargianti e i pantaloni lucidi a zampa di elefante: su è giù fino a Piramide e poi al centro. Più tardi lo riaccompagnavo a Ostia e ci fermavamo proprio lì, nei pressi del Lido. Seppi tutto del Pasolini notturno: abitudini, contatti, preferenze, insistenze, concessioni.

Con alcuni ragazzi il suo gioco era proprio quello di farli anche cedere. Un gioco più che altro cerebrale, che difficilmente concretizzava: gli bastava il gesto del cedimento. Che contestualmente significava anche avere chiuso con lui per sempre. Solo chi gli resisteva e lo “menava” aveva nuove chance di incontro. Per questo mi parve verosimile il primo racconto di Pino Pelosi, il giovanissimo assassino reo-confesso.

Cambiai radicalmente l’idea che mi ero fatta sulla sua morte solo nel 2005, dopo aver visto le foto scattate all’obitorio del suo corpo martoriato. Chiunque si rende conto che quel massacro non può essere stato compiuto da un ragazzo di diciassette anni ritrovato con una sola macchiolina di sangue sul pantalone. Persino ammettendo che lo abbia davvero travolto fuggendo in auto.

Pubblicato nel 1972 sotto pseudonimo, Questo è Cefis (L’altra faccia dell’onorato presidente) fu subito ritirato dalla circolazione e mandato al macero per ordine della magistratura. Pasolini riuscì ad averlo in fotocopia. In Petrolio l’onorato presidente si chiama Troya. Pasolini è stato ucciso perché stava per scrivere sul Corriere della Sera la verità sul caso Mattei.Stava per dimostrare che le Sette sorelle non c’entravano, che la questione era interna, nostra, italiana; veniva da una saldatura tra istanze di potere politico-mafioso e certe disinvolture “resistenziali” per le soluzioni drastiche: Cefis e Mattei erano stati entrambi anche uomini della Resistenza. E oggi possiamo forse domandarci quanto di quella acutezza nella conduzione della sua indagine venne a Pasolini dalla conoscenza dei meccanismi “resistenziali” interni alla fine drammatica del fratello Guido (partigiano della Brigata Osoppo, ucciso da altri partigiani comunisti filo-jugoslavi).Come ho potuto per tanti decenni – io intellettuale, io poeta, io omosessuale – non capire?

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La vera ragione per cui, per tanti decenni, sono rimasto al buio, l’ho capita casualmente imbattendomi in questa frase del libro di D’Elia L’eresia di Pasolini, Effigie 2006: “L’omicidio di Pasolini è stato un atto premeditato e politico, non un delitto omosessuale”. Un delitto omosessuale? La questione non è solo lessicale. Diventa subito di sostanza. Nel delitto di gelosia è il geloso che uccide. Ad uccidere gli omosessuali, invece, sono sempre degli eterosessuali che ci tengono tantissimo a dichiararsi tali. (Ed è questa la ragione per cui gli omosessuali li cercano). Ricorrendo a tale definizione, se ne perpetua oggettivamente l’assassinio, inducendo chi legge a ritenere verosimile, concepibile, spiegabile un delitto “omosessuale”. Un delitto omofobico, piuttosto, si dovrebbe dire. Quindi non è vero che Pasolini è stato ucciso dalla sua debolezza, che lo induceva a porsi in situazioni “a rischio” con giovani maschi “eterosessuali”. L’omofobia ha solo reso più cruento e “mascherato” un delitto politico.

Caso volle (o fato, o dèi… ma io sono monoteista, credo solo nella dea Coincidenza) che stessi in quei giorni trascrivendo il diario (inedito, uscirà l’anno prossimo a mia cura, chissà per quali tipi) di Elvio Fachinelli – non il diario in generale, che sono parecchi quaderni, ma proprio quello del 1975, e non l’anno in generale, bensì un mese: novembre. Dal 3 al 24 novembre 1975 il diario è quasi tutto dedicato alla morte di Pasolini, avvenuta il 2.

Letto l’articolo, e sapendo che il suo autore Franco Buffoni è un boss del litblog Le parole e le cose (dico boss perché lì rifiutano la dizione “redattore”), mi feci avanti (≠ sotto) in un commento proponendo, previo consenso dell’erede, di pubblicare le pagine in predicato del diario su Lplc. Buffoni si disse ansioso di conoscerle e mi consigliò di rivolgermi a Guido Mazzoni, che da lì intuii essere il boss dei boss. Preso da tremor reverenziale, suggerii a Buffoni di suggerire lui a Mazzoni di contattarmi.

Dopo un paio di giorni, non vedendo niente, commentai su Lplc rilanciando la proposta – il commento non comparve, e lì capii (ce n’è voluto però ahah) che proprio no.

Nel frattempo avevo già collazionato le pagine del diario per l’auspicabile pubblicazione in rete, e mi guardai intorno: Alfabeta2, poi Micromega, – niente di niente, non uno che mi abbia risposto. Passi che, come noto, Freud aveva la peste (in realtà lebbra), ma pure Fachinelli? E passi Fachinelli, ma pure il sottoscritto?

Purtroppo era così, sicché mi trovai in quello che proprio nel 1975 il sindaco DC di Cartigliano, dimissionario a causa di una class action promossa dai due consiglieri di minoranza PCI (io e mio cugino), in un consiglio comunale strapieno definì “un veicolo cieco”.

Questo l’antefatto; il fatto è codesto che avete davanti (= sotto) agli occhi: l’unica cosa del diario che sia stata pubblicata, come articolo su “Rosso”, n. 3 del 14 novembre 1975.

Che giorno siamo oggi? Ah… Sancta Coincidentia!

E l’ansia? Fachinelli  mi disse un giorno che l’ansia non si può guarire, tutt’al più mitigare. Capito, Buffoni?

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Elvio Fachinelli

L’AMORE E LA PREDA

C’è stata in Italia una violenta divaricazione tra registrazione scritta e commento parlato dello stesso evento, la morte di Pasolini. Nella prima, la cultura letteraria italiana, con solo qualche eccezione, ha reagito riaffermando affannosamente, contro le “miserie della vita”, la durata dei propri valori. dal manifesto al Giornale, abbiamo visto un quasi concorde invito a “leggere i testi”, scartando il resto. Di rado è venuto così chiaramente in luce lo spiritualismo che, quale ideologia di giustificazione, permea l’istituzione letteraria italiana.

Nel discorso parlato, la morte di Pasolini ha creato invece un’improvvisa espansione del lessico erotico. In tutti i bar, nei treni, nelle famiglie davanti a figli, gli italiani hanno fatto circolare termini come: inculare, inculato, darlo, prenderlo, metterlo in culo, in bocca, venire, non venuto, ci sta, non ci sta, culo giovane, culo vecchio…

Scriviamo queste parole per la totale assenza nella scrittura colta, il che conferma ciò che si è detto prima, e perché la loro immissione forzata nel discorso comune ci avvicina alla verità su e intorno a Pasolini; quella verità che proprio i suoi disperati discorsi degli ultimi mesi, come quelli fatti su di lui, contribuiscono ad allontanare.

Che cosa vogliamo dire? Se osserviamo da vicino questi termini, essi forniscono nel loro insieme gli estremi di un particolare rapporto interindividuale, di cui accennano anche la parte economica e politica. Dare e prendere in culo non indicano solo pratiche erotiche, scambievoli e reciproche. Alludono a rapporti di forza e di potere, che per quanto variabili non sono mai assenti nel rapporto sessuale e che proprio Pasolini aveva eliminato dai propri discorsi.

La tragedia di Pasolini nasce da questa eliminazione. Non intendiamo solo riferirci all’elemento più vistoso della vicenda di Ostia: l’Alfa d’argento, il fascino del regista, la promessa implicita, per chi ci sta, di avere o poter avere accesso privilegiato alla più importante industria romana, il cinema. Intendiamo riferirci a qualcosa di interno al rapporto stesso.

Per il suo solo presentarsi, Pasolini trasforma la natura di questo rapporto. La violenza simbolica contenuta nel prestigio, nel denaro e nella promessa diventa accecante. Pasolini chiede un rapporto d’amore, si offre come corpo d’amore. Ma perché è Pasolini, egli diventa corpo di preda. La differenza di classe appare in tutta la sua forza e dà origine a ciò che Marx individua, nei Manoscritti del 1844, come l’invidia e la rabbia del comunismo rozzo. Ora, Pasolini, misconoscendo la sua posizione attuale all’interno del rapporto, vede solo la trasformazione dei ragazzi che gli sono di fronte. Vede loro, ormai esclusivamente, come predatori, e non vede se stesso come offerta e promessa di preda.

Da questo misconoscimento radicale nasce la sua teorizzazione della violenza giovanile. Negli ultimi mesi, egli ha disperatamente invaso i giornali con questa denuncia, che in lui, per l’amore rovesciato che era in lui, era implicitamente ammissione del proprio vicolo cieco storico. Nelle mani del potere, essa rischia adesso di diventare, come nel ’68, uno degli argomenti chiave di una politica di conservazione.

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P.S. L’articolo era stato scritto il 10 novembre 1975: da lì al 24 l’autore ovviamente approfondì l’indagine, che sarà interamente disponibile l’anno prossimo per gli adepti di Santa Pazienza, i quali nel frattempo potranno (ri)leggersi https://www.alfabeta2.it/2016/04/16/un-dialogo-mancato-fachinelli-pasolini-nel-1974/.

ULTIM’ORA: sotto il post di Buffoni, è scomparsa la sua risposta alla mia offerta, con dentro l’ansia, Mazzoni et cetera. Quando si dice “manina”…