C’è giornalismo e giornalismo

Jacopo Iacoboni

Mario Calabresi e il vostro amico Jacopo Iacoboni sono stati condannati per aver artificiosamente e consapevolmente costruito false notizie a danno di Silvia Virgulti e, di fatto, del M5S.

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Che cosa noi si pensi di Iacoboni è certificato nei post: A PROPOSITO DI JACOPO IACOBONI: VENGO ANCH’IO!  NO, TU NO! – JACOPO IACOBONI, LA STAMPA E LA DISINFORMATIA AI TEMPI DELL’OLIO DI PALMA, DELLA NUTELLA E DEL M5S – TALE JACOPO IACOBONI RITIENE CHE UNA SEGNALAZIONE DELL’ARMA DEI CARABINIERI SIA COSA DISDICEVOLE da tempo non sospetto

Torniamo all’oggi e agli insulti volati in queste ore.

Se negli anni si è arrivati a parlare di guerriglia semiologica (mi sembra Umberto Eco), forse, ci devono essere stati atti di una guerra definibile tale. Nell’ambito di queste guerre/guerriglie collocherei l’ennesima polemica in corso sul giornalismo e i suoi detrattori. Mettiamo in chiaro che la stampa e chi la produce (i giornalisti) vanno difesi secondo i principi sanciti in modo lapidario da Thomas Jefferson: “la migliore difesa di una nazione è una cittadinanza informata“. Anche da giornalisti onesti, aggiungiamo da queste parti.

Quello della stampa è quindi argomento che, comunque e certamente, va affrontato in chiave libertaria, liberare, democratica. Che poi esistano i giornalisti alla Bel Ami, è un dato altrettanto certo. Così come esistano i giornalisti alla Gianni Letta, Renato Farina, Vanni Nisticò, Paolo Mosca, Claudio Lanti, Giuliano Ferrara, Giuseppe Dall’Ongaro, Guglielmo Sasinini, Luigi Bisignani, Roberto Gervaso, Roberto Chiodi, Paolo Pollichienie, Roberto Ciuni, Giorgio Zicari e, andando indietro nel tempo, proviamo a non dimenticare che erano giornalisti anche quelli che ricevevano l’ordine e l’eseguivano arrivando a scrivere di Pietro Valpreda, il 19 dicembre 1969, cose tipo: “una belva oscena e ripugnante, penetrata fino al midollo dalla lue comunista“. Erano persone (giornalisti) che vivevano ben pagate, protetti da garanzie CASAGIT/INPGIP che li collocavano ad un chilometro sopra le teste dei comuni mortali che, viceversa, dovevano alzarsi e andare a lavorare per potere arrivare, tra l’altro, a comprarsi un giornale oltre le sigarette. Erano giornalisti anche quelli che sul quotidiano della Capitale Il Messaggero arrivavano a scrivere, sempre di Valpreda (ho scelto lui – che non mi era certo simpatico – per fare esempi opportuni), “una belva umana mascherata da comparsa (teatrale ndr) da quattro soldi“. E sempre un giornalista arrivava a scrivere sul organo del PSDI, L’Umanità, giornale mantenuto con il denaro di Stato: “Valpreda uno che odiava la borghesia al punto da gettare rettili nei teatri per terrorizzare gli spettatori“. Vi esento da migliaia di altri esempi scritti da figure torbide (loro sì) che dietro la veste formale del giornalista, hanno eseguito pedissequamente ordini degli uffici affari riservati di turno e di editori, loro sì, assetati solo esclusivamente di vendere qualche copia in più. Così è avvenuto sia nella carta stampata, che in RAI. O nelle redazioni a disposizione di Marcello Dell’Utri, Gianni Letta, Silvio Berlusconi. Giornalisti quindi sempre pronti ad attaccare l’asino dove il padrone voleva. In alcuni casi (Gianni Letta) il giornalista era anche il padrone. Quando dico padrone non mi riferisco solo all’editore. Capisco che il discorso si fa delicato quando di RAI e di informazione, di giornalisti prezzolati o di giornalisti sfruttati fino all’osso, in cinque anni, con una già forte rappresentanza al Parlamento, il MoVimento, tranne qualche sparata di Grillo e di pochi altri, nessuno, nel M5S, ha ragionato con la dovuta attenzione e scientificità. Ora c’è Crimi che avrebbe la possibilità di guardare, da dentro, il problema della “Casta dei giornali/giornalisti” ma bisogna capire se lo vuole fare. Cinque anni al COPASIR avrebbero dovuto prepararlo. Avrebbero.

Delicato, comunque e certamente, parlare di giornalismo o di informazione, controinformazione, disinformazione quando qualche imbarazzo lo si dovrebbe provare perfino dalle parti dell’ufficio stampa del MoVimento, sonori o meno rubati.

 

 

Torniamo al giornalismo come ameremmo fosse sempre. A tal proposito, per fare un esempio di facile comprensione, scelgo la trasmissione di lunedì sera u.s., su Rai 3, Report, quella un tempo presentata dalla fuoriclasse Milena Gabanelli. Ma veramente pensate che il Leone Ruggente (non mi chiamavo così all’epoca) quando scoprì, per primo in Italia, la vocazione all’oscuro di Pio Pompa si potesse sbagliare? A me, su questo terreno, lo dico papale-papale, delle assoluzioni/prescrizioni pilotate anni dopo, non me ne frega un beato niente. Mi tengo, alla mia età  e con l’esperienza di vita che ritengo di avere, le mie intuizioni, valutazioni, scoperte, documentazioni e il piacere di non essermi sbagliato: Pio Pompa, Nicolò Pollari, Gianni Letta e, quindi, i Gemelli Dell’Utri, Cesare Previti, Giuliano Ferrara, Silvio Berlusconi erano una cosa sola, una sola consorteria cementata e chi opera perché ve ne dimentichiate va attenzionato con assoluta intelligenza e non va dimenticato l’eventuale tentativo di mandare in cavalleria questi ricordi. Che il soggetto lo faccia in piena consapevolezza o meno. Quanto trovate di seguito (il brogliaccio della trasmissione di Report citata) arriva quando le luci sono ormai spente sul duo Pompa-Pollari ma, come si dice, meglio tardi che mai. Almeno da queste parti che “mister accuscì” (Pio Pompa) lo abbiamo conosciuto in carne ed ossa, sia a San Lorenzo in Lucina, che a via della Stelletta 23. E, addirittura, per non farsi mancare niente – in coppia con Jaro Novak. Quello che, anni dopo, voleva candidarsi nel M5S, luogo politico dove hanno la cattiva abitudine di accogliere chiunque senza saper fare le verifiche opportune.

Continuando con Pompa e i Servizi, la trasmissione Report di ieri sera ha riacceso i fari su grovigli bituminosi che tornano di assoluta attualità se solo si volessero ripristinare semplici schemi di contiguità e di lettura dei rizomi e percorsi carsici che, se si potessero portare in superficie, consentirebbero di capire chi comanda da troppi anni in questo Paese. E non per fare gossip o abborracciare fake news.

Comunque, a conferma che ci sono giornalisti e giornalisti che sanno utilizzare il privilegio intellettuale di poter fare domande, serie e drammatiche (come ebbe a dire Luca De Biase nel suo bel libro Economia della felicità), questa puntata di Report è stato un vero piacere vederla ed ascoltarla.      

Oreste Grani/Leo Rugens

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