Nuova o vecchia giustizia? A leggere le cronache mondane sembrerebbe vecchissima

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Cena bizzarra non certo per le finalità (delle migliori) ma per la composizione di chi, se ho capito bene, pagando una cifra importante (se non eccessiva visto a quanto ammonta il previsto reddito di cittadinanza e l’eventuale innalzamento delle pensioni minime), ha avuto accesso alla Lanterna, spazio ludico a suo tempo realizzato, nel cuore della città, dal mio amico Fuksas e da sua moglie Doriana.  Se non ci fosse stata (spero che sia stato così) una rumorosa assenza di esponenti del MoVimento a Cinque Stelle, non ne avrei fatto menzione:  nessuno della Commissione Giustizia, nessuno dell’Antimafia. Pertanto la notizia c’è ed è che alcuni, prudentemente, non si sono considerati affini ad altri e nel decidere questo comportamento saggio hanno, opportunamente, deciso di non mischiarsi, pur il tema dell’invito a cena facesse riferimento alla giustizia giusta e alla centralità di questa materia in una Repubblica che volesse ancora considerarsi tale.  Altri non hanno esercitato la prudenza e hanno ritenuto opportuno versare l’obolo all’Associazione “Fino a prova contraria” (il nome mi piace un “frego”) animata da Annalisa Chirico. Direte che prima non si sa chi ci sarà in un posto. E questo lo sanno bene tutti quelli che si trovano poi al momento sbagliato, nel posto sbagliato, con le persone sbagliatissime. Per questo, per alcuni magistrati resiste (che nessuno si offenda) il principio di non commensalità, abituale o meno. Per se e per le mogli. Nel caso di mogli magistrato, per i mariti.

lanterna fuksas

Il 15 gennaio u.s. c’è stata, evidentemente, una serata audace di contaminazione di generi, di stili di vita, di formazione culturale, di posizioni politiche, di fedine penali, di “mestieri” che mi incuriosisce. In realtà, per uno che ha la mia età ed ha avuto la fortuna di essere amico (oltre che di Fuksas) anche di Alberto Statera, quella di martedì, era sostanzialmente una delle cento e cento serate che si svolgevano durante il periodo veltroniano/rutelliano che Alberto raccontava con dovizia di particolari. Lo faceva non per fare cronaca rosa ma per prefigurare rapporti di potere a volte inopportuni se non illeciti. Quelle che raccontava Statera erano normalmente serate presso uno dei circoli canottieri aperti lungo i fiumi di Roma o nel chiuso dei salotti delle signore potenti dell’epoca, a cominciare da Maria Angiolillo. Nel raccontare prefigurava , da par suo, scenari possibili. Non per augurare imbarazzo eventuale prossimo venturo a nessuno, ma tenete conto che anche quando si facevano quelle cene non si poteva avere certezza del futuro giudiziario di alcuni ospiti. Per quello la giustizia romana aveva la cattiva fama che aveva e, per tanto, non era opportuno andare a quelle serate. Perché è durante quelle cene o frequentazioni (poi divenute sostanzialmente soggetto cinematografico e sceneggiatura di un film che andrebbe fatto vedere nei licei – almeno romani – “Simpatici e antipatici“, regia di Cristian De Sica, sceneggiatura dei fratelli Carlo ed Enrico Vanzina, cast composto da Eva Grimaldi, Andrea Roncato, Alessandro Haber) potevano avvenire incontri fatali o instaurarsi relazione pericolose. E non è detto che fossero solo di tipo erotico sentimentale. Ci fu, sempre nel film che cito, per chi lo ricorda, un superbo cammeo di Gianfranco Funari nei panni di Cesare Previti, quello che, nella vita vera, rivolgendosi durante una delle tante serate possibili a cui faccio riferimento (in realtà fu dopo una partita di calcetto ma oggi mi prendo questa libertà per dire ciò che sento mio dovere dire) al magistrato Renato Squillante: “A Renà, te stai a dimenticà questa!”. E si riferiva ad una cartoccio giallo (in realtà era una busta) contenete denaro.

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Oreste Grani/Leo Rugens che utilizzando le fonti aperte si divertito a fare cronaca spiccia mondana. Oppure altro, ma questo, come si dice, è un’altro discorso.

P.S. A seguire la trama del film che non ebbe alcun successo al botteghino. Forse per questo mi è simpatico, adorando io gli sfigati o, nel caso forse anche di questa pellicola, quelli che una manina provvidenziale decide che non non non debbano avere fortuna.

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“Presidente del Tiber è Alberto, palazzinaro romano sbruffone e megalomane sempre pronto ad ostentare la sua ricchezza immeritata. Alberto non ha il senso della misura: per le nozze d’argento con la moglie Simona prima le regala un diamante da quaranta milioni e poi la porta in un ristorante dove i camerieri insultano pesantemente i clienti. Alla fine Alberto viene arrestato dalla Guardia di Finanza per frode fiscale e verrà condotto in galera.

Custode del Tiber è Gigetto, un gentile siciliano che svolge questa mansione da tanti anni, pur cercando di tenersi fuori dai pettegolezzi e dal losco mondo dei soci e trovando spesso conforto in qualche chiacchiera col socio anziano Fausto. Gigetto è vittima continua delle angherie e degli scherzi dei membri del Tiber, facendo questi ultimi leva sulla loro forte condizione sociale: il più atroce, effettuato dal notaio Bonfanti e da Walter, avviene quando a Gigetto viene fatto credere di avere un gratta e vinci vincente. Tempo dopo, però, Gigetto vince per davvero facendo 13 al Totocalcio: divenuto miliardario, l’ex servitore ha l’opportunità di vendicarsi nei confronti di quelle persone che lo avevano maltrattato.

Il socio più anziano del Tiber è Fausto, che vive di ricordi pensando ad una Roma che non c’è più: legge solo Il Tempo e rimpiange gli anni in cui, da giovane, poteva fare il bagno nelTevere. Si innamora della sua colf asiatica quarantenne che, per divertirsi, lo porta a ballare tutte le sere. Traspare tuttavia un senso di serenità nel modo di vivere del vecchio Fausto, che tuttavia non regge il ritmo frenetico della sua compagna e muore a causa di un infarto.

Uno dei soci più sfortunati del Tiber è Carletto: ex comico teatrale di grande successo, cerca ripetutamente e inutilmente di trovare un ingaggio in Rai. Ha una compagna, Michela, che gli fa da infermiera dato che egli soffre di probemi alla prostata ma non riesce a trovare i soldi per l’operazione. Alla fine, grazie anche ad un prestito di Alberto, finalmente guarisce ed approda alla Rai facendo pubblicità a prodotti per rassodare il corpo.

Tra i più rozzi ospiti del Tiber c’è Walter, direttore di una compagnia di traslochi. Ha sposato Nicoletta, ex commessa di una concessionaria, ma più che alla moglie pensa alla Lazio di cui, in compagnia dell’inseparabile amico Bonfanti non perde una partita. Nicoletta è una finta intellettuale, sempre alla ricerca di esperienze culturalmente innovative. Al suo ennesimo tentativo, in cui invita a casa il famoso fotografo cubano Rafael Muqueco, il marito la umilia e la deride per le sue velleità e la signora decide di tornare alle origini.

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Cameriere del Tiber è il toscano Paolo, costretto a subire le angherie del suo amico Luca che proprio nel giorno in cui egli avrebbe dovuto prendere il treno per Livorno lo obbliga a recarsi nella sua casa per registrargli l’incontro di tennis tra Sampras e Ivanišević. Alla fine però anche Paolo avrà la sua riscossa: spacciandosi per l’altolocato amico, seduce la modella Viki Bond e aprirà con lei un bar frequentato da grandi star della passerella.

Roberto da giovane si sposò con Livia per interesse: la ragazza era infatti figlia di Augusto, uno dei più ricchi gioiellieri romani. Diventato ricchissimo, Roberto si invaghisce però della giovane Dolores, ispanica, fidanzata con il suo amico Ugo, un cocainomane che nella vita non è riuscito a concludere nulla, ed inizia con lei una relazione che lo distrugge: scoperto dalla moglie, viene cacciato di casa e licenziato dal suocero. Ormai sul lastrico, Roberto viene assunto dal suo amico Andrea come direttore del catering del circolo Tiber, ma mollerà tutto appena si renderà conto con chi ha avuto a che fare fino a quel momento, dopo che i suoi amici hanno consumato lo scherzo del “gratta e vinci” verso Gigetto, e si trasferirà in Polinesia.

Il titolo del film nasce da una battuta a cui De Sica è molto legato: “Come ci attavoliamo, simpatici contro antipatici?“. Questa frase è stata pronunciata dall’attore nei film Yuppies – I giovani di successo, Yuppies 2 e Fratelli d’Italia, oltre ovviamente a Simpatici & antipatici.

Le riprese sono state realizzate tra Roma, Sabaudia e la Polinesia Francese. Tra i luoghi troviamo: Circolo Canottieri Roma, Piazza Monte Grappa di Roma, il ristorante “Cencio La parolaccia” di Roma, il Grand Hotel Plaza di Roma (la terrazza di quest’albergo e antistante e alla stessa altezza della Lanterna in cui si sono visti i vip per ragionare di giustizia giusta), Via Giulia 148 di Roma, Via Panama 78, Strada Lungomare 94 di Sabaudia e Club Med di Moorea.

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Il film, come ho anticipato, riscosse un pessimo successo al botteghino, incassando soltanto 809.425 €. E parliamo dei Vanzina e di De Sica.

Secondo alcuni critici cinematografici, tra cui Morando Morandini, la figura di Alberto Cecchini era ispirata a quella di Cesare Previti. Ospite del programma #cartabianca, condotto da Bianca Berlinguer, Christian De Sica ha affermato che l’insuccesso del film al botteghino, era dovuto proprio al fatto che il personaggio interpretato da Funari, somigliasse fortemente a Previti, cosa che non era nelle intenzioni degli sceneggiatori, farlo riconoscere. E che, per ovvie ragioni, dopo una settimana di programmazione, il film fu ritirato dalle sale.