È stato arrestato Stone quello che per anni è stato considerato il capo di Trump
Il presidente Trump, la notte scorsa, non ha dormito il sonno del giusto. Ormai Manafort (suo stretto collaboratore) è stato condannato. Cohen (suo strettissimo collaboratore) si è autoaccusato e, grazie a questa decisione, è stato condannato ma per lui non è stata buttata la chiave. Decine di altri personaggi di alto livello e peso nel mondo che pesa negli USA si sono avvicinati a Trump nell’era della vittoria e, altrettanto velocemente, hanno preso le distanze. O cacciati dalla porta girevole o perché solo loro che si sono dimessi.
Roger Stone, che non è certamente parente della bella e pericolosamente seduttiva Sharon, ma è un super calibro, è stato ieri arrestato dall’FBI. L’FBI, come sapete, prende ordini dal procuratore Muller che, a sua volta, ogni giorno di più non sembra intimidito da nessun target in questo scontro con la Casa Bianca. Se impeachment deve essere, che impeachment sia, sembra pensare il Procuratore.
Gli USA sono un grande Paese con una storia di pochi secoli ma molto molto molto intensa. Tanto per cominciare, gli USA che conosciamo sono nati da una guerra civile e questo è bene non rimuoverlo come ricordo utile a capire perfino la fase convulsa o quanto potrebbe ancora accadere. Con generosità provo a richiamarvi alla memoria un post (poco letto quando lo pubblicai) in quanto i miei lettori, da quattro gatti quali erano ai tempi dell’articolo che oggi ripropongo in calce, sono passati a 44 in fila per tre. Sempre pochi ma molti di più. Il pezzo verteva su un tale Warren Gamalied Harding che fece il presidente pur essendo un gran bugiardo e doppio nello stile di vita come pochi politici statunitensi lo sono stati, circondato da una banda di grassatori che, a loro volta, ne fecero di tutti i colori. Certo direte che era il 1920, ma, se rileggete, capirete che negli USA , per meccanismi complessi da spiegare, il consenso passa attraverso gli ambienti più diversi e spesso non certo sostanziati da educande. Per capirsi, quanto accaduto ieri (oggi Stone è fuori per cauzione di soli 250.000 dollari) è come quando è stato arrestato Marcello Dell’Utri, rispetto a Silvio Berlusconi. Anzi è come quando, prima di Dell’Utri (con annessi e connessi), fu messo nell’angolo Cesare Previti. Anche i deficienti, da quei momenti, hanno dovuto prendere atto degli stretti rapporti tra il dominus di Arcore e il mondo criminale. Soprattutto di un modo di muovere i soldi, attuare la corruzione, uscire dai fallimenti. E parlo di Berlusconi. Stone, da sempre vicino-vicino a Trump, è quello che si può definire, senza essere querelato per diffamazione aggravata, una brutta persona. Mi spingo oltre: senza Stone e senza Manefort, Trump non sarebbe mai esistito. Neanche nel business. Certamente come si vedrà, passo dopo passo, interrogatorio dopo interrogatorio, arresto dopo arresto, accordo dopo accordo Trump è una risorsa dell’Intelligence russa (o addirittura di un mondo trasversale che non si limita a Mosca) ben interrata e da tempo non sospetto. Come si fa o si dovrebbe fare quando si fa intelligence con finalità strategiche. Alme no un decennio addietro lo hanno messo in mezzo.
Capite quindi la delicatezza della fase: il capo di una parte consistente del mondo è con gli alfieri, i cavalli e le torri sotto attacco. Manca poco perché vada sotto scacco. Sarà “Scacco Matto”?
E non credo che la Reginetta Ivanka possa salvarlo. Pochi giocatori al mondo si salverebbero in questa situazione. Chi lo stia attaccando è cosa altrettanto difficile da capire. Quasi impossibile, perché potrebbe trattarsi di ambienti altrettanto trasversali.
Approfondire quindi la figura di Stone è necessario per prefigurare la geopolitica mondiale nei prossimi mesi. Certamente fino a quando si dovrà decidere chi sarà il futuro presidente degli USA. Delicata la situazione nel resto del resto delle partite che, in simultanea, si giocano. Come in pochi sapete (altrimenti se foste in di più avrei molto più aiuto da parte di onesti e grati lettori) sono (soprattutto grazie all’intuizione di Stefania Limiti che avevo letto con la dovuta attenzione) tra i pochissimi blogger che hanno preannunciato la vittoria di Trump, con largo anticipo. Anzi, diciamola tutta, penso che, per molti mesi, siamo stati in due soli a fare l’audace “profezia”. Con altrettanto anticipo (anzi di più) vi dico che Trump non non non sarà il futuro presidente americano. Che parli o meno Stone che, essendo stato un duro rotto a tutto, potrebbe anche tacere e non tradire il compagno di merende. Oppure, potrebbe avvenire uno spiazzante colpo di teatro. Perché, vedete di non confondervi, Stone non è, come oggi sembrano ricordare i giornalisti italiani, il capo della campagna elettorale di Trump: è il capo di Trump.
E quindi vediamo di non dare troppo valore per il futuro prossimo venturo ad alcuni “putiniantrumpisti” che si aggirano sulla scacchiera euroasiatica. Bisogna sapere chi si insedierà alla Casa Bianca nel gennaio del 2021 per prendere misure, fare due conti e disegnare scenari. Anche nella piccola Italia.
Come fosse un film capolavoro ideato e girato ad Hollyvood, il finale di questa vicenda può infatti riservare sorprese mozzafiato. Soprattutto se la pellicola dovesse essere interpretata da Sharon (Roger-Rich) Stone.
Con gambe o meno accavallate.
Un ultima considerazione.
Perfino un gran mascalzone come Harding era riuscito a dire cose come quelle che potete leggere a seguire:
“L’attuale esigenza dell’America non è l’eroismo, ma una guarigione, non il toccasana, ma la normalità; non la rivoluzione, ma la ricostruzione; non l’irrequietezza, ma l’adattamento; non la chirurgia, ma la serenità; non il dramma, ma la calma; non la sperimentazione, ma l’equilibrio; non il tuffo nell’internazionalismo, ma l’appoggio al trionfante nazionalismo“. La prosa era impacciata, ma esprimeva la necessità di status quo.
In realtà Hading era un capo banda di ladri, puttaniere, bevitore durante il proibizionismo di tutto quello che era proibito bere per suo stesso ordine.
Chiacchiere e fatti. Anche per i presidenti, lo stile di vita è tutto. E lo stile di vita di Donald Trump prima di essere piazzato alla Casa Bianca da Roger Stone, da Cohen e da Manafort non era certo rassicurante.
Oreste Grani/Leo Rugens
P.S.
Chissà perché nella mia mente vecchia e tarda assimilo il tris Trump-Stone-Manfort a quello di Berlusconi-Dell’Utri-Previti? Bizzarro più del solito questo Orestino Granetto.
P.S. al P.S.
Veniamo al cuore del problema degli arresti da parte dell’FBI. Nel pieno dell’agosto scorso, la giornalista Marilisa Palumbo, sul Corriere della Sera, prendendo spunto da un libro (un libro non è un pezzullo indiscreto di Dagospia) quale è “House of Trump. House of Putin”, opera investigativa di Craig Unger, editato in Italia dalla Nave di Teseo, ci porta dentro al groviglio bituminoso in cui ha sguazzato Donald Trump che, anche ad una superficiale osservazione, è uno che i soldi li sa spendere ma mai fare. Li hanno sempre fatti (o procurati) altri per lui e, nel farglieli fare e poi spendere, lo hanno sempre tenuto al guinzaglio. Lungo, ma al guinzaglio. Leggere quindi almeno l’articolo della Palumbo (se non il libro) e preparatevi alla Grande Spettacolo a cui il mondo potrebbe essere chiamato ad assistere. Altro che il Grande Fratello con la sua casetta di polistirolo in cui si è addestrato il giovane Rocco Casalino. La location potrebbe essere la Casa Bianca stessa. Comunque, dopo l’arresto di ieri, prendete posti in prima fila perché lo spettacolo non mancherà. E su questo finale drammatico e convulso, mi ci gioco la reputazione. Che non è gran che, ma comunque esiste.
E rifirmo vista l’audacia del pezzo.
Oreste Grani/Leo Rugens
La Trump Tower non è solo il luogo del discusso incontro organizzato da Donald junior con i russi durante le presidenziali del 2016: il grattacielo sulla 5th Avenue è stato per trent’anni protagonista degli opachi legami del presidente americano con Mosca.
È quello che racconta Craig Unger in House of Trump, House of Putin (in uscita in Italia per la Nave di Teseo il 6 settembre prossimo), in cui il famoso giornalista investigativo americano scava indietro nel tempo fino a prima della caduta dell’Unione sovietica per dimostrare come Trump sia da decenni una «risorsa» per i russi.
«Penso che sia stato compromesso già negli anni Ottanta», racconta al Corriere Unger dalla sua casa di Tribeca. Nel 1984 un affiliato della mafia sovietica acquista cinque appartamenti per sei milioni di dollari nella Trump Tower in quella che – spiega l’autore – è solo la prima di una serie di operazioni di riciclaggio di denaro attraverso i casinò e le proprietà immobiliari del futuro presidente.
Ma cosa ha a che vedere questo con l’ascesa politica di Trump? «La mafia russa – ragiona Unger – è un attore statale». O più precisamente «un altro ramo del Kgb», come dice Oleg Kalugin, una delle fonti principali del libro, ex capo del controspionaggio di Mosca e a un certo punto superiore di Putin quando il futuro presidente russo lavorava nei servizi.
È legandosi a loro che Trump si sarebbe scoperto alle manovre dell’intelligence nemica. Ma non di solo riciclaggio si tratta. Nel libro Unger si dilunga su un incontro di Trump con l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite Yuri Dubinin e sua figlia Natalia Dubinina. È il 1986, i due vengono ricevuti nella Trump Tower, si dicono impressionati dall’edificio e chiedono al magnate di costruirne uno simile a Mosca.
L’anno dopo Trump e la prima moglie Ivana partono per la Russia. «Secondo Kalugin – dice Unger – durante quel viaggio organizzato dalla Intourist, la principale agenzia turistica sovietica, è molto probabile che il Kgb abbia riempito le suite di Trump di cimici e telecamere per sorprenderlo in attività compromettenti».
Nel frattempo, è il 1988, «The Donald», che secondo il giornalista era «una delle strade esplorate dai russi per infiltrare la politica americana» annusa per la prima volta l’ipotesi di correre per la presidenza quando va in New Hampshire, uno dei primi Stati a votare nelle primarie. A due mesi dal ritorno dalla Russia, Trump si era messo in contatto con lo stratega politico Roger Stone, la cui firma di lobbying era famosa per aiutare i dittatori.
«Lui e Manafort – ricorda Unger – si facevano chiamare la lobby dei torturatori». Paul Manafort (ex capo della campagna di Trump, ora in attesa del verdetto nel processo per evasione fiscale e truffa scaturito dalle indagini di Mueller), avrebbe poi rappresentato Yanukovich «facendo di fatto i servizi di Putin».
Nel libro molto spazio è dedicato a queste ambigue figure che popolano il passato e il presente del presidente: «A introdurre Trump a Stone e Manafort fu Roy Cohn, una forza oscura che lavorava con Reagan, ma anche con la mafia».
Secondo Unger fu lui ad impartire a Trump «l’etica del crimine organizzato, quella che vediamo in azione in questi giorni con la revoca delle credenziali di sicurezza a Brennan e altri, per esempio».
La domanda che non trova risposta nel libro di Unger è se Trump sia stato e sia consapevole di essere uno strumento nelle mani di Mosca. «Le vendite cash attraverso fonti anonime si sono ripetute almeno 1300 volte, non poteva non saperne niente», dice Unger, che racconta anche di come la mafia russa abbia salvato Trump dal fallimento dopo i flop di Atlantic City. Accuse enormi, in parte anche già note.
Eppure l’opinione pubblica sembra distratta. «Il problema è che i social hanno marginalizzato i media professionali, molte persone anche in buona fede finiscono sui siti manovrati da Mosca». Solo l’impeachment, secondo Unger, potrebbe cambiare le cose: «Oggi su questa storia ognuno ascolta la sua bolla.
Quello che spero accada con l’incriminazione è che il Russiagate diventi uno spettacolo, uno psicodramma in diretta tv che porti finalmente a una narrativa condivisa». In caso contrario il rischio, conclude senza giri di parole, «è di scivolare in un regime autoritario».
Cosa acquisto i pop corn oppure i rodeo? dubbio amletico!
Purtroppo ognuno di noi “Deve rendere conto sempre a qualcuno”, forse, solo il Papa, Non deve; e può permettersi di Obiettare.
Trump è il risultato di un sistema storicamente collaudato negli USA;
mi sovviene ora, l’ appoggio di Frank “tre dita” Coppola ed il Sindacalista Jimmy Hoffa, che diversi aspiranti Presidenti USA chiedevano (turandosi il naso) avendo questi oltre 14 milioni di voti.
Oppure mi sovviene la fonte finanziaria della famiglia Kennedy basata sul Proibizionismo USA, il cui capostipite famigliare, ne ovviava di frequente le normative.
Forse esisteva un accordo tra Padre Kennedy e Mafia Italiana? Considerando la Avversione dichiarata dei Kennedy ad Hoffa?
Mi chiedo quali siano le interconnessioni che hanno fatto inserire, nella lista di Trump, di Nove prescelti Stati, pure l’ italia nelle Attività Petrolifere con L’ iran!
Infine per tornare a “casa nostra”, questo trafiletto su “Il fatto” di Oggi a cura di E. Cartotto:
…È orgoglioso di aver contribuito a creare il primo partito della Seconda repubblica? Anche dopo quello che è emerso su Dell’Utri, i contatti con Mangano, la famosa Trattativa?
No, di questo mi vergogno. Intendiamoci Forza Italia è stata un’esperienza storica. Ha cambiato la storia politica di questo paese. Ma se avessi saputo che i miei alleati in quell’iniziativa erano certe persone, con certi legami, non lo rifarei più.
ECCHE’? CADEVA DAL PERO?
Quale è la chiave negativa?
Chiedo scusa per l’espressione, ma il Berlusconismo rappresenta la defecazione della cultura italiana. Grazie alle televisioni commerciali e a tutto il resto dell’investimento culturale fatto da Berlusconi la gente ha smesso di prendere come modello di riferimento i grandi della storia italiana ma è passata al Grande Fratello, all’Isola dei famosi. Berlusconi ha abbassato il livello culturale degli italiani. Ecco perché poi il populismo vince sul popolarismo: la gente non pensa più.
Quindi!
I viaggi ultimi a New York di Berlusconi, saranno stati in clinica medica o in clinica dalle cinque/sei famiglie?
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Scalfari oggi su Repubblica, in modo molto prolisso, assegna una vittoria certa al Ministro de Polizia, una resurrezione di B. (sempre che non si scucia ahah), un 17% all’ammucchiata Calendario (che potrebbe arrivare anche al 30-40 – ma cosa ha bevuto????) e un 25% al M5s “isolato,”.
Al di la di quanto va ripetendo Leo Rugens sull’attendibilità del campione (i votanti), penso che Scalfari abbia fatto il suo tempo e ragioni con schemi novecenteschi resi inservibili dalla pervasività dell’interconnessione contemporanea.
Credo che, purtroppo, la partita sia tra Salvino e astensione, a meno che il M5s non tiri fuori un coniglio dal cappello (ma quale??)
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Scalfari oggi su Repubblica, in modo molto prolisso, assegna una vittoria certa al Ministro de Polizia, una resurrezione di B. (sempre che non si scucia ahah), un 17% all’ammucchiata Calendario (che potrebbe arrivare anche al 30-40 – ma cosa ha bevuto????) e un 25% al M5s “isolato,”.
Al di la di quanto va ripetendo Leo Rugens sull’attendibilità del campione (i votanti), penso che Scalfari abbia fatto il suo tempo e ragioni con schemi novecenteschi resi inservibili dalla pervasività dell’interconnessione contemporanea.
Credo che, purtroppo, la partita sia tra Salvino e astensione, a meno che il M5s non tiri fuori un coniglio dal cappello (ma quale??)
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