Portiamo i soldati a casa e raccontiamo la guerra in Afghanistan a tutti i cittadini
Prima di dire la vostra su quanto la stampa nazionale (nel mondo la nostra posizione, su questo tema specifico, non è ancora valutata) riferisce sull’intenzione italiana di ritirarsi dal lontanissimo e dispendiosissimo Afghanistan, rifletterei e lo farei non solo per per qualche minuto come quando si pensa di poter giudicare la prestazione della sgarrupata Nazionale di calcio di turno.
Non sono mai stato in Afghanistan, provincialotto come sono. Al massimo ho frequentato una bella ragazza italiana era che stata più volte a Kabul. Da quando la mia amica fidata non andava più da quelle parti sono passati troppi anni per basarmi sul suo giudizio d’allora: “prima ce ne andiamo, meglio è” era solita dire. E parlo di quando avevamo deciso di non sottrarci ai doveri di alleanza.
Per dirvi la mia (se non faccio questo cosa faccio quando scrivo?) mi riferirò preminentemente ad un dato significativo in tempi in cui, ad alcuni milioni di italiani, stanno per dire “potrai avere 130,00 euro in più al mese sulla pensione minima che oggi percepisci“, oppure “per te non ci sono soldi“.
Ho scritto lontanissimo e dispendiosissimo. Lontano spero che sappiate che, ad esempio, l’Afghanistan, più che confinare con Svizzera, Francia, Austria, Slovenia, San Marino e Stato Città del Vaticano, ha frontiere con la Cina, il Pakistan, Turkmenistan, un pezzettiello, mi sembra, anche con la Russia e, soprattutto, ha un lunghissimo confine con l’Iran. Fate quindi voi rispetto a cosa possa pensare di tali confini uno che non parla d’altro che della centralità mediterranea (mi interessa soprattutto la Sicilia e quella che un tempo si chiamava Magna Grecia con particolare riferimento a quanto avviene nei nostri mari grazie all’esistenza, da 150 anni, del Canale di Suez) e degli interessi italiani/europei in rapporto con la vicinissima Africa e le sue genti.
L’Afghanistan lontana terra quindi e dispendiosissima.
Difficile che veniate resi edotti quanto, in questa guerra infinita, ci è costato mantenere la parola d’onore (abbiamo fatto patti che andavano rispettati) con gli alleati anglo-americani.
Certamente, da quando siamo andati anche noi a combattere o a fare formazione, abbiamo speso più di un milione di euro al giorno. Circa 50.000,00 all’ora. E questo dal 2002. Abbiamo trasportato lontano/lontanissimo almeno 4 200 soldati (in realtà con la rotazione di più), 750 mezzi terrestri tra carri armati, blindati, camion e ruspe, 30 velivoli di cui 4 caccia-bombardieri, 8 elicotteri da attacco, 4 da sostegno al combattimento, 10 da trasporto truppe, e 4 droni. A questi costi spannometrici vanno aggiunti 2 milioni di euro a favore dell’esercito afgano, 2 milioni di euro a favore della polizia afgana, più 367000 euro per il personale della Croce Rossa Italiana attiva in Afghanistan.
Nel periodo 2002-2014 l’esborso totale da parte dei contribuenti italiani sembra essere stato di oltre 5 miliardi di euro. E questi conti, se ben ricordo cercò di farli proprio Alessandro Di Battista quando faceva il parlamentare del M5S
Tornando ai materiali trasportati e mantenuti in essere perché non divenissero, come potrebbe essere che sia avvenuto almeno in parte, ferri vecchi. Mi scuso di queste semplificazioni ragionieristiche ma chi di voi non sappia capire cosa (a fallimento accertato soprattutto dal punto di vista geopolitico e della lotta al terrorismo) voglia dire un eventuale ulteriore futuro spreco, vuol solo dire che, banalmente, per motivi professionali o d’affari, trae vantaggio da questo centro di spesa ormai da considerare, se mantenuto in vita, autolesionistico. Ci si deve ritirare quanto prima dall’Afghanistan e bisogna farlo anche spiegando agli italiani cosa si è fatto in questi anni. Sarebbe importante e intelligente, a differenza dei miei conti della serva, ricostruire dettagliatamente come e perché sono state spese queste cifre iperboliche. Anzi, man mano che scrivo questo post, mi rendo conto che non solo sono d’accordo con il Capitano Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa, ma nella mia marginalità e ininfluenza, mi permetto di suggerire un’operazione di trasparenza e “comunicazione evoluta” nei confronti di Pantalone (voi contribuenti) e, a ritiro avvenuto (speriamo indenni le nostre soldatesse e soldati), indire un incontro pubblico (o più incontri) dove ai cittadini si possano fornire dati e spunti di ragionamento per rendicontare il senso di quanto accaduto. Errori compresi, nel caso ci fossero stati. Sprechi compresi, nel caso fossero avvenuti.
Proviamo a non lasciare questi miliardi spesi avvolti da una eccessiva riservatezza. Non ci deve essere nessun “segreto di Stato”, dopo il termine della spedizione. Riportiamo a casa il personale e raccontiamo questi anni. A partire da belle storie di comportamenti tenuti dai nostri soldati e soldatesse, dai nostri formatori, dai tecnici, dal personale della Croce Rossa Italiana. Usiamo questa tonnellata di soldi (ormai spesi) per avvicinare, con l’arma strategica della trasparenza e della narrazione, i cittadini che fossero ignari ai nostri militari. Sentite a me, accogliamo la fine di questa guerra (così come speriamo altre), con spirito lungimirante e protettivo rispetto alle professionalità e i sacrifici che il nostro Esercito ha compiuto in questi anni lunghissimi. Questo perché non risultino, oltre che lunghissimi, anche inutili.
Oreste Grani/Leo Rugens
Mi permetto di riprodurre il breve racconto intitolato “IL MERCANTE”;
tratto dal libro di Stefano Benni intitolato “CARI MOSTRI”:…
Il commendator Boutbout, il più grande mercante d’armi del mondo, entrò nel suo ufficio al
trecentesimo piano del grattacielo Iwa a Kuala Lumpur. Aprì il finestrone e vide solo nuvole, e
un’autostrada lontana.
Si mise in maniche di camicia, accese un sigaro, prese le sue numerose pastiglie e notò sul
tavolo il Rapporto annuale sul bilancio aziendale dell’Iwa,
International Weapon Association
Aprì, lesse due pagine e gli andarono di traverso l’acqua, l’ultima pastiglia e un pezzo di sigaro.
Suonò a tutto spiano il dimafono per chiamare il direttore amministrativo, nonché suo
segretario personale, Buoncuore.
Questi entrò. Era occhialuto e pallido, e si vedeva che aveva una gran paura del boss. Gli
tremavano le gambe e corse in fretta a sedersi.
– Dottor Buoncuore, – disse il boss sbuffandogli il fumo in faccia – non so come sia potuto
succedere, ma nel rapporto di quest’anno c’è un colossale, ridicolo errore. Chi l’ha scritto?
– Be’, – disse il direttore – come da trent’anni, l’ho compilato io. Ovviamente, raccogliendo i dati
da tutte le sedi.
– E come mai questo sbaglio?
– Io… non capisco… – disse Buoncuore con voce tremante – non c’è nessuno sbaglio.
Il commendatore si alzò in piedi, sbatté irosamente il rapporto sulla scrivania e tuonò:
– Nessuno sbaglio, mi dice? Dottor Buoncuore, da vent’anni la nostra industria fa utili che
vanno dai sei ai nove miliardi di dollari. E adesso, leggo qui, la cifra finale del bilancio è: meno
duecento dollari…
– È proprio così – disse il direttore.
– Se è uno scherzo, non mi piace – e il commendatore gli puntò contro il sigaro come la canna di una pistola.
– Non è uno scherzo…
– Ma chi vuole prendere in giro? Forse le nostre armi sono diventate scadenti? Non sono più
l’ultimo ritrovato della tecnologia?
– No, no, – disse Buoncuore pulendosi gli occhiali imbarazzato – sono perfette.
– E allora? I nostri clienti hanno da lamentarsi di qualcosa?
– Assolutamente no.
– Avevamo ammortamenti, debiti, conti da saldare? Controlliamo o no metà delle banche
mondiali? Abbiamo o no il monopolio del settore?
– È così…
– E allora, porca puttana, mi spiega come mai da sette miliardi di dollari dell’anno scorso siamo
passati a questo “meno duecento dollari”?
– Commendatore, lei legge i giornali? – chiese il direttore con un filo di voce.
– No, – disse Boutbout – sono un mucchio di merda pacifista. Pieni di retorica imbelle, melense
accuse alle guerre e ipocrite foto di bombardamenti e sgozzamenti. Io faccio il venditore, non mi
interessa l’opinione pubblica, mi interessa l’opinione dei militari, dei terroristi, delle
multinazionali del crimine…
– Ecco il punto – disse il dottor Buoncuore. – Quest’anno… come negli anni precedenti… ci sono
state molte, moltissime guerre… alcune straordinariamente cruente e con grande perdita di vite
umane…
– E allora? Non è tutto a nostro vantaggio?
– Non più: i clienti abituali hanno smesso di comprare le nostre armi.
Il boss vide l’espressione sconsolata di Buoncuore e capì che la faccenda era seria.
– Ma noi non abbiamo concorrenza, – disse spegnendo il sigaro con rabbia – cosa cazzo è
successo?
– Be’, vede, commendator Boutbout, una cosa che non avevamo previsto… sono finite… le
risorse.
– Si spieghi meglio…
– In questi anni i nostri clienti hanno ucciso, grazie ai nostri prodotti, cinque miliardi e mezzo di
persone. Più le mortalità varie, qualche catastrofe naturale, epidemie nei campi profughi, suicidi
di veterani e un po’ di accoltellati negli stadi… insomma…
– Insomma?
– I nostri clienti non comprano più armi… perché non si possono più fare guerre, né grandi né
piccole…
– Il mercato… è in calo?
– Più che in calo, in estinzione… – sospirò il dottor Buoncuore. – La popolazione terrestre è oggi
ridotta a seicentododici persone, di cui la metà lavora nella nostra azienda.
– Vuole dire che… siamo rimasti senza materia prima? – disse Boutbout.
– Ahimè sì, – disse Buoncuore con un sospiro – sono finiti gli uomini…
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Prendiamoci un po di Niobio o di Litio, sai in un Anno quanto ne carichi?
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