Il calcio è un affare. E ormai, mi dispiace per voi, null’altro. Gli affari li fanno solo le mafie!

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Il calcio è un affare“, si leggeva nel maggio 2016 a firma di Luca Di Bartolomei, analista del campo minato denominato “lo sport più bello del Mondo”. Peccato che Di Bartolomei il consulente e responsabile per lo sport lo abbia fatto anche per il PD che, come forza politica, si è sempre tappata occhi, orecchie e bocca su questi temi dirompenti. Ma andiamo avanti e utilizziamo una tabella che lo stesso Di Bartolomei ha redatto qualche tempo addietro sulle strane proprietà del calcio italiano relative alle stagioni passate. Appena posso aggiorno l’elenco ma la sostanza non cambia quando dobbiamo leggere in questo elenco che Enrico Preziosi, il noto pregiudicato proprietario certo del Genoa, avrebbe girato in pegno a un suo ignaro dipendente (tale Enrico Bognier, settantasettenne responsabile della sede di Hong Kong della Giochi Preziosi/Grani e soci) il 100% della società. Quel Genoa che poi traffica tutti i gironi intorno a cartellini/uomini/tasse/riciclo/truffe/scommesse. Altro che la casa di Scajola! Qui stiamo parlando del Genoa che poi compra e vende in pochi anni decine di calciatori solo con il Milan di Galliani/Berlusconi, altri due noti pregiudicati. Il secondo anche in odore di mafia.

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Dicevo che Di Bartolomei (ma anche Leo Rugens) sostiene che dove girano i soldi (e intorno al calcio ne girano tantissimi) la mafie allungano i tentacoli. Partite combinate e scommesse clandestine in combutta con le centrali asiatiche del gioco online. A tal riferimento geografico mi pare di ricordare che Hong Kong sia in Asia e che da quelle parti abbiano da secoli il vizio del gioco. I cinesi scommettono su tutto e in grande quantità. E ad Hong Kong, Preziosi, con la famiglia Grani (ripeto ogni volta scanso equivoci e ritorsioni che non ho nulla a che spartire con loro, tra l’altro essendo io uno degli italiani a più basso reddito e loro tra gli euroasiatici più ricchi del mondo), fa girare tonnellate di soldi. Forse qualche volta, ingenuamente, ci scappa anche una scommessa tanto per non pestare l’acqua nel mortaio e non passare il tempo a pettinare i capelli alle bambole giocattolo. Dice sempre il mio esperto-schermo (dietro al quale vigliaccamente mi celo o forse no) che le mafie controllano anche parte di tifoserie. Arriva a dire una cosa osè facendo riferimento ad un aspetto che mi intriga non poco: sugli spalti avverrebbe oltre all’ovvio spaccio anche la prostituzione di ragazzette. Spero solo come adescamento e non come comportamento rituale altrimenti, solo per guardare, torno a frequentare (dopo il fatidico 1990) le curve degli stadi che capisco perché li costruiscono così confortevoli e accoglienti. 

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Oltre ai bocchini (termine sdoganato da Madonna nel vano tentativo di fermare Donald Trump) il calcio è attenzionato dalle mafie perché con le sponsorizzazioni finalizzate all’evasione (quella fiscale perché per quelle dalle case circondariali ci si sta attrezzando) in molti possono guadagnare (te li do, me li ridai). E poi – diciamolo – intorno al calcio (tutti d’accordo) prospera il business del falso (parlo dell’oggettistica) e dei biglietti. Scrivo quindi di soldi, tanti soldi e a bassissimo rischio. Soldi diffusi sul territorio per far campare bene soldati e soldatesse. Ma il calcio non è solo soldi in quanto come nulla è riconducibile alla riconoscibilità (e fin qui ci saremmo), alla legittimazione (e qui mi comincio ad incazzare) e al potere. E qui sconfiniamo dentro alla calciocrazia (mio copyright) che unita e sinergica alla partitocrazia gestisce i rapporti di forza che pervadono il tessuto connettivo di questo Paese popolato prevalentemente da alcuni privilegiati ululanti negli stati ed da altri (la maggioranza) sprofondati sportivamente nei divani. I clan malavitosi acquistano squadre per esercitare influenza, per sedersi in tribuna (ecco l’interazione con la politica e le istituzioni incarnate da troppi stronzi perdutamente tifosi) a stringere mani importanti nel comune di riferimento, nelle Forze dell’Ordine locali, nei ministeri, se parliamo di grandi città. Si stringono mani che consentono di ribadire alleanze con i violenti camuffati nelle truppe ultras da cui, al momento opportuno reclutare manovalanza.

Dai templi delle grandi piazze fino a scendere alle scuole calcio rionali come luogo di seduzione/ricatto/consenso per il politico di turno le mafie hanno il loro tornaconto.  In queste scuole calcio vengono riciclati anche ex calciatori che fanno da specchietto per le allodoline, facendo sperare di divenire, a caro prezzo, futuri campioncini anche dele mezze seghe ma non tali nelle aspirazioni delle madri e padri pronti a tutto.

Procuratore Capo Cafiero De Raho

Come anche oggi, a Trieste, ha saputo ben dire il Procuratore Capo Cafiero De Raho, le mafie sono ovunque e quando non le si trova vuol dire banalmente che non si è riusciti a scoprire chi le rappresenta o che non le si è cercate con quella scientificità che la battaglia strategica meriterebbe. E mi scuso se ho riassunto il pensiero del signor Procuratore a modo mio, ma penso di averne colto il significato e l’allarme. Pertanto (perché di calcio parlo in questo post) Cosa Nostra, la camorra e la ‘ndrangheta mettono soldi nello sport in generale e in particolare nel calcio e in tutto ciò che “respira” come indotto. Pochi anni addietro (ma ogni giorno potrebbero essere fatte dichiarazioni similari) un ex pezzo grosso della criminalità calabrese jonica, tale Luigi Bonaventura, cugino di Raffaele Vrenna presidente del Crotone calcio in quel momento promosso in Serie A, dichiarava in una delle trasmissioni più seguite delle televisioni nazionali e locali (numerosissime) “Presa diretta”: ” …il calcio in Calabria è quasi tutto controllato dalla ‘ndrangheta. Ci sono decine di squadre controllate. Non è solo questione di soldi (a conferma di quanto detto poche righe sopra ndr), ma di potere. Controllare la squadra di calcio del proprio paese porta prestigio alla ‘ndrine, crea consenso, getta le basi per il voto di scambio”.

A conferma di tanta “sincerità” ci sono le carte giudiziarie che si riferiscono alle squadre di Rosarno, Marina di Gioiosa, Interpiana Cittanova e del mitico San Luca. Mi fermo ma non per timore. Devo solo decidere quando (e come) ripercorrere storie che avrebbero dovuto aprire gli occhi dei preposti decine di anni addietro e per provare a rintracciare, sia pur a distanza di anni, per colpa di chi questi allarmi sono finiti al cesso degli stadi. Parlo della scalata dei Casalesi (quelli) che coprendosi dietro a Giorgio Chinaglia provarono a comprare la Lazio o la cordata di noti riciclatori che provarono a scalare la Roma. A conferma che nella Capitale, e non solo intorno al calcio, i criminali non dormono certo.

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Fine della seconda puntata.

Oreste Grani/Leo Rugens a cerchi concentrici (e quindi lento) come poche volte.