I mastini (francesi) della guerra, da Hyperion ad Haftar

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“Obama non può tollerare che Gheddafi proponga a tutta l’Africa di crearsi una moneta aurea unica con la quale fare le transazioni commerciali (L’Africa è un serbatoio di Petrolio, oro, diamanti, uranio, fosfati), rifiutando il dollaro. Oltre alla Libia, Stati Uniti e alleati, stanno sostituendo tutti i capi di Stato che hanno trovato buona l’idea della moneta unica aurea e valorizzano il Sud Africa che è stato l’unico paese a dichiararsi contrario.” Così il 23 aprile 2011 si esprimeva l’informato ed esperto Antonio De Martini. Tuttavia, secondo un’altra lettura, il “dinaro d’oro” del fu Colonnello avrebbe decretato la fine del Franco CFA e con esso del mai tramontato colonialismo francese.
Quale che sia la ragione, è certo che sia stato un attacco di aerei francesi a intercettare la fuga di Gheddafi mentre oggi, 14 aprile 2019, abbiamo il ragionevole sospetto che consiglieri militari francesi e forze speciali egiziane stiano operando sul teatro libico contro gli accordi internazionali in merito alla gestione della ex colonia italiana.
È personalmente doloroso ricordare che il 21 luglio 2017 di fronte a numerosi addetti ai lavori italiani e non, ricordavo, come se ce ne fosse il bisogno, che la aggressiva strategia economica francese nei confronti dell’Italia non esclude il ricorso alla violenza più brutale a partire dalla protezione offerta al gruppo di Hyperion, non certo i primi a trovare protezione in Francia, ricavandone in cambio una attenzione non proprio benevola da parte delle istituzioni e il plauso del senatore Mario Giarrusso (M5S). Avere infatti denunciato la questione Shalabayeva (Francia) e il sacrificio di Regeni (Egitto) non fu accolto con molto favore dal resto della politica presente e da operatori di intelligence che si sentirono giustamente chiamati in causa, tra gli altri chi aveva “servito” anche l’ENI.
Ora, entrare nel merito delle posizioni assunte dalla politica nostrana, essendo domenica delle Palme non mi va, innanzitutto perché ritengo tali posizioni non degne di essere discusse, siano esse dei vertici del Governo, di ministri o altri, giacché, morto Pompeo De Angelis, non trovo da parte di tali soggetti pensieri o visioni di politica estera figlie di studio e di riflessione collettiva o personale che siano. Ergo, posizioni figlie di improvvisazione o, peggio, di suggerimenti e sussurri.
Trovo altresì un interessante e curioso riferimento, in rete, ai presunti legami tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e quella alta, complessa e multiforme finanza che va sotto il nome di Rothschild. Se ciò fosse vero, capite bene che qualsiasi posizione il ministro assuma nei confronti della Francia, essa non possa che essere viziata da tale inconfessabile rapporto, inconfessabile a) per l’humus nero dal quale proviene la Lega e che si alimenta di continuo; b) per l’evidente impossibilità di andare contro gli interessi del proprio nuovo padrone.
No a Massoneria e Nwo Macerata_ IL CURRICULUM-ROTHSCHILD AGGIORNATO DI MATTEO SALVINI
Chi pensasse che il sottoscritto sia antisemita è un cretino. STOP
Torniamo all’inizio del post e mettiamo a confronto l’analisi di De Martini con quella di Salvini, più che analisi l’eterno ritornello dei “porti chiusi” e chiediamoci che futuro possiamo avere come Paese se gli strateghi del futuro leader più votato della Repubblica non sanno indicargli altro che attaccare Papa Francesco (Steve Bannon) o berciare di pena di morte ed ergastolo, mentre consiglieri militari francesi si muovono come ombre tra le sabbie del deserto insieme ai compagni dei torturatori di Regeni.
Aggiungo una riflessione sulla disponibilità saudita a finanziare Haftar e ripenso a quando l’Hacking Team di Vincenzetti pensava di farsi ricco vendendo agli sceicchi delle armi cibernetiche efficientissime, tanto più se fossero state rivolte contro le scassate difese nazionali.
Quanta amarezza e rabbia vedere svanire un sogno.
Alberto Massari
P.S. Non è che sarebbe il caso di convocare d’urgenza l’ambasciatore francese e fargli un paio di domande precise?
La banda dei giudici corrotti: l’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura
Sentenze vendute, elezioni annullate, depistaggi. C’è una vera e propria rete di toghe sporche al lavoro da Milano alla Sicilia
di Paolo Biondani
19 febbraio 2019
Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dallâinterno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Unâinchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. Lâaccusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dellâassociazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.
Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. Lâindagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi allâestero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.
Lâantefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo lâaccusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla lâelezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nellâottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.
Lâesistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con lâaccusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: lâex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».
Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dellâavvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.
Lâinchiesta riguarda molti verdetti dâoro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici allâimpresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo lâaccusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.
Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.
A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo lâaccusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo lâordinanza dâarresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 lâex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.
Amara, come avvocato siciliano dellâEni, è anche lâartefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro lâamministratore delegato dellâEni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dellâEni in Nigeria e Congo. Dopo lâarresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dellâEni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.
Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dellâex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. Lâex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.
Tra i legali ora indagati câè un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, lâimprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un âarbitrato liberoâ (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, lâex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.
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Grazie per la segnalazione pertinente. Correggo alcuni refusi che si sono elettronicamente trascinati nell’invio e do soddisfazione al lettore.
Che ricordo con simpatia.
A prescindere direbbe Totò.
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