Ho scritto che reiterare è degli esseri diabolici. Chi si sente di più di Satanasso?

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Il 9 febbraio 2018 (secondo i canoni notarili della blockchain “prima” del trionfo del 4 marzo 2018) ho lasciato scritto, pre-vedente, che Luigi Di Maio non si meritava quello che stava per succedere. Non solo non se lo meritava Di Maio che, nella sua vita precedente, non sapeva neanche dell’esistenza del conterraneo Vincenzo Scotti e che mestiere avesse fatto, ma non se lo meritavano quasi (qualche stronzo che fa stronzate c’è sempre) tutti quegli 11 milioni che avevano firmato non un contratto con un teppista della politica (vedete che il posteggiatore abusivo Salvini non mi faceva paura prima e non mi fa paura adesso?) ma la “cambiale in bianco” a che i “cittadini portavoce” (che creative definizioni usavate quando la mongolfiera veniva sospinta facilmente verso l’alto dalle correnti ascensionali determinatesi dalla nuotata metaforica di Beppe Grillo e dalle piazze stracolme di inferociti cittadini che ritmavano “tutti a casa”, “onestà-onestà”, “Rodota-Rodotà”) onorassero la delega ad attuare, solo ed esclusivamente, il Grande Cambiamento anelato. Stiamo parlando, viceversa, della più grande operazione di trasformismo conservatore mai attuata dal 17 febbraio 1992: che nulla cambi.

Cercare dove fosse, ben protetta, la cabina di regia di questa operazione gattopardesca, è il fine del ciclo dei post che, doverosamente (e senza nulla temere), cominciamo oggi a scrivere. Dico subito, a scanso equivoci, che non considero il capitano Elisabetta Trenta artefice di nulla che assomigli vagamente al ruolo di oscuro regista. Preferisco giocare a carte scoperte: sto cercando banalmente chi ha presentato chi a chi, e quando. E quanto so, in prima persona, di questa catena di Sant’Antonio (non da Padova che era persona seria senza le cui capacità il Poverello d’Assisi, tale sarebbe rimasto), mi fa scartare la Trenta. A prescindere da altre considerazioni.

Comunque, procediamo da ciò che è noto a ciò che, ad oggi, è ignoto e vediamo chi rimarrà in piedi sul ring, tenendo conto che tranne Emma Marcegaglia, non amo battermi con le donne.

Gli articoli evidenziano un eventuale ruolo della Ministra della Difesa. Non ci siamo proprio e certamente non nel ruolo di regista.    

Mi inoltro nella selva oscura.

Lo faccio, tra l’altro, confortato dallo spirito, colto e raffinato, intimamente contenuto nelle parole che un amico (è in realtà ben altro, oltre ad essere un competente, consolidato nel tempo, analista di intelligence culturale come pochi) mi ha voluto far pervenire, ritenendomi provato dagli avvenimenti. Che invece mi rafforzano, unitamente alle parole donatemi in gesto elegante e pertinente e, in quanto tale, graditissimo. Che condivido con i miei lettori.

… un famoso passo del discorso di Enrico V di Shakespeare, il discorso tenuto prima della battaglia di Azincourt:

«Noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi in questo giorno!».

Credo sia ora giunto il momento della “pugna”…

Grazie.

Torniamo (ma quando l’abbiamo trascurata?) alla Link Campus University, a Vincenzo Scotti e a chi, nel M5S, ha ritenuto che la Nuova Repubblica, avesse bisogno di tali arnesi “da scasso”.

Due fonti aperte per darvi un’ulteriore regolata su chi ci ha messo la faccia e la propria reputazione (grandissimo stronzo – e non mi riferisco a Matteo Salvini, che, paradossalmente, è il meno colpevole di tutti nel senso che lui, giustamente, fa Salvini – pensi di passartela liscia su questa vicenda della Link Campus University, i processi formativi qualificanti  e chi deve qualcosa a qualcuno?

Oreste Grani/Leo Rugens   

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MA PROPRIO A LINK CAMPUS, DA VINCENZO SCOTTI, DOVEVATE PORTARE LUIGI DI MAIO?

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Da prima che Luigi Di Maio fosse eletto al Parlamento, in questo blog, marginale e ininfluente, sostenevamo che la politica estera di una Paese è tutto.  Eravamo quindi, da tifosi a cinque stelle,  in attesa che il candidato premier uscisse sul tema. Finalmente lo ha fatto, anche dicendo cose ben dette, segnale di una attenzione alla geopolitica che di per se è rassicurante. Di segno opposto (cioè con connotazioni inquietanti) è “dove” lo abbia fatto. Link Campus non è la cornice che ci saremmo aspettati. Certamente non è da dove era opportuno dare segnali al mondo diplomatico e a quello, ancora più attento ai percorsi labirintici mentali, che è quello dell’Intelligence. Sottolineatura affettuosa che, a maggior ragione, inviamo agli ambienti che si ritengono attenti a chi si è candidato a mettere in moto quelle trasformazioni culturale che le notte buie della Repubblica, con i suoi troppi misteri irrisolti, si meriterebbero, per fare un po’ di luce. E questo lo dico perché il dove e il con chi anticipa, in un mondo tanto sofisticato, le finalità.

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Link Campus oggi è ridotto ad essere sostanzialmente Vincenzo Scotti, come ultima figura della Prima Repubblica ad avere ricordi personali sugli accadimenti di quegli anni. Gli altri, Andreotti e Cossiga, sono deceduti. I ricordi che abbiamo noi di Vincenzo Scotti non avrebbero dovuto consigliare quella allocazione per trattare un argomento di quella delicatezza. Ripeto: l’argomento degli argomenti, soprattutto nel Mediterraneo. Politica estera e intelligence infatti da queste parti (ma in realtà nel mondo intero) sono una cosa sola. E allora – se così fosse – cosa c’entra Link Campus con la politica estera futura della nostra già tanto offesa Repubblica. Dove è la discontinuità, fosse anche la continuità, ostacolo/stimolo dicotomico al centro di qualunque percorso formativo capace di dare sostanza e indicazioni strategiche a chi ambisce alla carriera diplomatica o a servire lo Stato nel settore della sicurezza e dell’Intelligence?  Un vero passo falso che spero abbia solo origine in quella casualità che troppo spesso contraddistingue l’operato di chi aveva raccolto la fiducia di oltre 8.750.000 italiani. Per far emergere il mio pensiero non di natura genericamente “archivistica” (a volte si pensa solo a quanto contenuto nei dossier) dove avrei giocato a mani basse se non con la destra dietro la schiena (in realtà sono un mancino guardia destra) faccio riferimento a quanto il recente trasferimento di sede di Link Campus suggerisce. Sono dettagli, sfumature ma che, al cultore dei processi investigativi, raccontano molto, se non troppo. Comunque raccontano legami, approcci, assenza di sistemi di valori patriottici che appaiono lontani da quelli che sarebbe necessario attivare per arrivare a formare personale all’altezza della missione complessa quale quella  di tornare a dare una sovranità perduta proprio durante gli anni della Prima Repubblica quando, ucciso Moro, ci hanno messo la mordacchia. Ma se non mi sbaglio, IN QUEGLI ANNI, VINCENZINO SCOTTI, IL COLTO NAPOLETANO, anche al governo del Paese, C’ERA E NON MI SEMBRA CHE A LUI SI POSSANO ASCRIVERE INIZIATIVE DI NATURA STRATEGICA TALI DA ESSERE RICORDATE.

Al massimo, ci ricordiamo l’uso inopportuno del personale del SISDE, comandato e  umiliato a fare da “comitato elettorale atipico” per il calabrese Agazio Loiero, sodale di Scotti. Dettaglio, direte voi, e in più, vecchio e tardo come sono, mi posso essere anche confuso e Scotti non è quello Scotti lì ma quello che produceva riso. Così come potrebbe essere che non sia lo Scotti che fece da apripista alle cordate delle sale Bingo, luoghi di sdoganamento delle macchinette mangiasoldi e di riciclo, sale spesso gestite da società con sede in Malta. Potrebbe non essere lo Scotti che, prestandosi a fare da effetto alone e garanzia (Presidente Onorario, vecchio trucco da vecchi sola come mi raccontava il maestro di tutti i sola Lucio Musizza che usava per i suoi raggiri la copertura distraente di Ruggero Orlando ormai a fine carriera) nella vicenda della costruzione di una nave fantasma, facilitò lo sparire di decine di milioni di euro dalle parti del comune di Civitavecchia dove oggi il sindaco è pentastellato. Basterebbe a volte usare un po’ di intelligenza e di facile intelligence e scoprire con il doveroso anticipo che ci si fa garantire, per dire anche cose serie, da personaggi che sono solo seri, da decenni, per farsi i cazzi propri.

Ancora una volta il danno alle banche (vedi articoli http://www.lanazione.it/arezzo/cronaca/yacht-etruria-selfie-ricco-di-vip-sullo-sfondo-del-maxi-cantiere-1.2298465 – http://www.lanazione.it/arezzo/cronaca/banca-etruria-yacht-etruria-la-storia-delle-mega-nave-incagliata-in-porto-come-il-credito-da-30-milioni-di-bpel-1.689442 – http://www.repubblica.it/cronaca/2016/07/29/news/privilege_yard-145000225/) fece indirettamente danno all’Erario, medaglietta che non credo sia gradita nel MoVimento che fu di Grillo e Casaleggio. Può essere che io mi sbagli e che confonda Gerry Scotti con Vincenzo Scotti. Nel caso io non mi sbagliassi è ora di smetterla di sbagliarsi, ogni volta  usando a turno il culo di quegli italiani che pieni di entusiasmo, nel febbraio del 2013, andarono a votare M5S. Una cosa è sbagliarsi su uno scontrino, o su come un prefetto a fatto carriera, o su una candidatura (ci mancherebbe pure!) e una cosa è non sapere chi sia Vincenzo Scotti. Forse è ora di dargli un taglio a tanto pressapochismo.

Oreste Grani/Leo Rugens



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