TAV e Traditori? A strafottere. Conniventi? Bisognerà attendere. Hic manebimus optime

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Chiamare “tradimento” la decisione di consentire la realizzazione della TAV è una semplificazione che non va consentita.  Perché è ben altro.

La resa sul tema delle infrastrutture (i grandi appalti e il business annessi e connessi) si porta dietro il problema delle cambiali sottoscritte a suo tempo (speriamo un giorno di sapere con nomi e cognomi da chi) con la grande criminalità, arrivata ad oggi “incazzata” per la mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto. E da qualche timore che il M5S portasse seco un vero cambiamento. Da mesi sostenevo con amici e i pochi estimatori rimastimi che la TAV si sarebbe fatta (ciento per ciento) perché quelli (intendo i veri padrini/padroni di ciò che avanza della Repubblica) così volevano. Oggi riparto dal post MESSINA CITTÀ “BABBA” UN CAZZO! e vi affido alcuni ricordi (saccheggio la rete teorico del plagiarismo creativo quale mi ritengo essere) sulla vicenda relativa alla mancata costruzione del Ponte perché possano essere utili come metafora ed analogia a capire cosa si delinea intorno alla grande pappata della TAV. Ben altro che semplice corruzione. Quando le cifre in gioco sono macro ricordatevi che c’è sempre altro (e di altra natura) in gioco. Spesso questo altro è di natura destabilizzante. Intendendo che nelle pieghe delle grandi cifre finalizzate alla corruzione spesso (se non sempre) oltre al denaro per ben altro. Come, per fare altre metafore e analogie, “dentro” alla maxi tangente ipotizzata per OPL 245 (ENI-Nigeria) c’era denaro per fare più di una guerra. E destabilizzare l’intera Africa.

La fine dell’onesto Danilo Toninelli (per l’eventuale inadeguatezza vi dovete porre ben altre domande e tutte relative a chi lo ha scelto, immaginandolo agnello sacrificale, all’atto stesso di quella nomina) coinciderà alla messa in liquidazione (chi pagherà i danni inferti alla speranza e al sogno di milioni di italiani onesti che, loro sì, ci hanno messo faccia e reputazione?) della sovranità repubblicana nei confronti dei comitati criminali d’affari quasi fossero dei “signori della guerra” nemici giurati di quella legalità incarnata, per una breve stagione, da Beppe Grillo e da pochi altri  parlamentari pentastellati convinti di essere protagonisti di un cambiamento paradigmatico culturale. La cultura che si prepara a trionfare, generando una pericolosa restaurazione, è quella dei gattopardi, mai estintisi. E la regia questa volta ritengo che non sia esclusivamente siciliana.

A noi il dovere morale e civile di dare la caccia, ovviamente ai mandanti e agli ideatori del “complotto” ma, con la stessa determinazione, ai loro complici, alcuni utili idioti infiltrati nel MoVimento per iniziativa di note centrali abili in questo tipo di destabilizzazione utile al malaffare. Alcuni sabotatori sono stati reclutati scientemente negli sgangherati sottoboschi della Prima /Seconda Repubblica. E questi, se si volesse, sarebbe facile facile individuarli. Per altri “capati” tra quelli che la riffa elettorale aveva catapultato improvvidamente nel Parlamento è stato sufficiente soddisfare piccole ambizioni se non, in alcuni casi, vizi personali. Sempre documentando il tutto in modo  da fiaccare velleità di resistenza. Ma come dicevano i nostri vecchi, non tutto il male viene per nuocere. Tanto che noi, branco in crescita di leoni ruggenti, siamo ormai in caccia e se non riuscite ad abbatterci, uno per uno, sappiate che qualcuno di voi, minestrari mangiatori di lenticchie, traditori e svenditori del sogno, riusciremo ad azzannarlo. Sempre metaforicamente parlando perché, vi rassicuriamo, non abbiamo intenzione di passare dalla diffamazione a mezzo stampa all’omicidio. Almeno in questa vita.   

Leo Rugens-e-la-macchina-del-tempo

Mettiamo in azione la Macchina del Tempo e vediamo di pre-vedere un po’ di futuro. Pre-vedibile.

Un elemento che rende particolarmente attrattivo il Ponte alle cosche criminali, secondo il rapporto di Nomos (materiale datato), è non solo l’ingente somma prevista per la sua realizzazione ma soprattutto il fatto che si è di fronte ad un’iperconcentrazione degli investimenti in un’area territoriale limitata. È possibile prevedere che rispetto a questa particolare condizione dell’opera, i gruppi mafiosi metteranno in atto fondamentalmente due tipi di strategie per accaparrarsi l’enorme flusso finanziario previsto. La prima strategia, scrive Rocco Sciarrone, professore universitario a Torino “ha a che fare direttamente con il controllo del territorio e si sostanzia concretamente nel meccanismo della estorsione-protezione.  La seconda riguarda l’attività imprenditoriale dei mafiosi e di loro eventuali soci e si traduce empiricamente nell’inserimento dei lavori da eseguire”.

Il pagamento del ‘pizzo’ sui lavori affidati in appalto o in concessione, la protezione su scambi e accordi pattuiti da terzi, il controllo e l’intermediazione rispetto al mercato locale del lavoro, il collegamento e la mediazione con i circuiti politico-amministrativi, appaiono le attività più prevedibili, anche perché sono le meglio sperimentate dalle organizzazioni criminali.

La realizzazione di un’opera come Il Ponte – aggiunge Sciarrone – potrebbe costituire altresì una favorevole opportunità per rapporti economici e attività imprenditrici che vanno fondamentalmente in due direzioni: attraverso imprese costituite e gestite direttamente da esponenti del gruppo criminale e attraverso la costituzione di fatto (se non di diritto) di società con imprenditori puliti“.

Questi interventi sono favoriti appunto dall’organizzazione stessa che si è data la mafia calabrese,  in grado ormai di poter agire con imprese e società che, in vario modo, “sono da essa controllate e che, assumendo forme del tutto legali, sono in grado di utilizzare tutti gli strumenti tecnico-giuridici idonei a rendere “invisibile” la presenza mafiosa”.

È tuttavia più credibile l’ipotesi che i gruppi criminali puntino alla gestione diretta dei lavori.

Come rilevato dall’ex procuratore di Reggio Calabria, Salvatore Boemi, la ‘ndrangheta non punta alle “estorsioni di piccolo cabotaggio”, ma all’ingresso da protagonista nella gestione diretta delle opere previste nella provincia di Reggio. “Non vorrei – ha spiegato Boemi – che si ripetesse in questa occasione l’errore che si fece, anni fa, ai tempi del costruendo Quinto Centro Siderurgico di Gioia Tauro, quando si rincorrevano piccoli affari mafiosi e si perdeva di vista che la mafia era entrata nella grande torta”. Basta pensare al grado di condizionamento esercitato dalla ‘ndrangheta durante i lavori di costruzione della megacentrale a carbone, ancora una volta a Gioia Tauro. “Non c‘era più soltanto il classico inserimento delle ‘ndrine nei lavori di sub appalto – scrive lo storico Enzo Ciconte – ma c’era l’individuazione dell’impresa a “partecipazione mafiosa” la cui caratteristica essenziale era di “far capo, comunque al mafioso, ma gestita da un insospettabile prestanome. Inoltre, c’era anche il consorzio d’imprese che univa insieme imprese mafiose e imprese non mafiose, e c’era la complicità degli organi istituzionali dell’ENEL”.

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Sino a qui, in realtà, l’analisi del centro studi del Gruppo Abele di Torino (in parte questo è il  plagio a cui ho fatto cenno) non appare originale, poiché non ci sarebbero differenze particolari del ‘rischio criminalità’ nel caso della realizzazione del Ponte dello Stretto o di una qualsivoglia mega-infrastruttura in qualsiasi parte del territorio a controllo mafioso. E ormai il Nord per controllo del territorio da parte delle mafie, ha superato il Sud Se però si tengono in conto le specificità tecniche del progetto (il Ponte in sé con le strutture portanti e le relative infrastrutture d’accesso, di collegamento e di servizio), è possibile definire un impatto criminale che ha carattere di unicità nel panorama delle Grandi Opere. In verità Nomos sostenne che l’elevato contenuto tecnologico dell’infrastruttura e la necessità di reperire manodopera qualificata possano essere fattori d’ostacolo per l’inserimento dei gruppi mafiosi. “La maggior parte degli elementi che compongono l’impalcato e le torri sono prefabbricati e preassemblati. Per questi lavori, si può ipotizzare che le possibilità d’infiltrazione da parte di imprese mafiose o a compartecipazione mafiosa siano ridotte. Molto dipenderà comunque da come saranno articolati, lottizzati e appaltati i lavori stessi”.

Una tesi difficile da condividere, anche perché risponde ad una visione assai riduttiva delle capacità d’impresa delle organizzazioni mafiose e che non tiene conto delle risultanze delle più recenti indagini. Oggi nell’era TAV è il contrario. O meglio le mafie sanno fare tutto. Ci si chiedeva anni addietro se esistesse realmente questa divisione di competenza tecnologica tra la grande impresa ‘legale’ e l’impresa in mano ai boss. E non è forse vero che attraverso l’investimento in borsa di quantità inimmaginabili di denaro sporco, le organizzazioni criminali siano entrate in possesso di cospicui pacchetti azionari delle maggiori imprese ‘tecnologizzate’ così da divenire esse stesse imprese mafiose o a capitale mafioso? La scalata mafiosa al Gruppo Ferruzzi, holding finanziaria con vasti interessi nel settore delle infrastrutture a tecnologia avanzata è l’esempio più noto di questo processo di trasformazione del ruolo imprenditoriale della criminalità. Torniamo all’epoca grazie alla duttile e affidabile Macchina del Tempo. Proprio alla vigilia della realizzazione delle grandi opere promesse dal governo Berlusconi, sono stati raccolti ulteriori segnali che comproverebbero una evoluzione in tal senso delle relazioni mafia-imprenditoria. Il procuratore Pier Luigi Vigna, in una sua audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia, ha fatto esplicito riferimento ad “una vera e propria mimetizzazione in atto delle imprese colluse con la mafia”, fenomeno che si accompagna ad un vasto movimento delle imprese stesse, una “sorta di trasmigrazione” da una regione all’altra. Oggi, caro presidente Giuseppe Conte anche i paracarri sanno che Piemonte/Liguria/Val d’Aosta/Lombardia sono sotto il tallone d’acciaio della criminalità politico-mafiosa. Molte società cioè, avrebbero deciso di trasferire la loro attività e di abbandonare la Sicilia, lasciando il mercato libero ai grandi gruppi imprenditoriali del Nord. È questo il frutto di un accordo più o meno tacito, oppure è il segnale di una modifica in atto delle stesse composizioni societarie delle holding finanziarie a capo delle grandi imprese?

Tesi intelligenti che si dovevano esplorare con passione e coraggio lungimirante.  Seguire i soldi se si voleva onorare realmente la memoria di Giovanni Falcone. Al di là di una possibile sottovalutazione delle capacità tecnologiche delle imprese mafiose, il rapporto Nomos fu importante perché giunse a quantificare la percentuale delle opere che tuttavia sarebbero a specifico rischio d’infiltrazione criminale. Il dato di per sé è allarmante: secondo il ricercatore Giovanni Colussi circa il 40 per cento delle opere potrebbe alimentare i circuiti mafiosi. È nei settori più tradizionali dell’intervento criminale nei lavori pubblici (movimenti terra, trasporti, forniture di materiali inerti e calcestruzzi), in cui è più facile glissare normative e certificazioni antimafia, che secondo i ricercatori di Torino è possibile un “maggior grado di permeabilità all’azione di gruppi criminali”. Questo è il terreno sostanziale della realizzazione del Treno ad Alta velocità. Verso la grande pappata per cui perfino Anna Maria Furlan CISL, si emoziona!

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Il Ponte era un mega-monumento di cemento ed acciaio (era prevista la produzione e la movimentazione di oltre 1,1 milioni di tonnellate di cemento, 780.000 metri cubi d’inerti, 69.000 tonnellate d’acciaio, oltre 1,3 milioni di metri cubi di materia di risulta). I mafiosi “cercheranno di inserirsi proprio in attività di questo tipo, che costituiscono ormai da tempo i settori che privilegiano e che in genere tendono a monopolizzare”. Mettete la testa sui lavori che non si possono non fare e capirete chi comanda in Italia.

Per quanto riguarda le torri – spiega ancora Rocco Sciarrone – un rischio criminalità potrebbe in ipotesi manifestarsi nella fase di scavo e della realizzazione delle fondazioni, il cui volume complessivo è di 86.400 mc in Sicilia e di 72.400 mc in Calabria. In questo caso, imprese mafiose – già esistenti o più probabilmente costituite ad hoc – potrebbero rivendicare una partecipazione diretta ai lavori, soprattutto per le fasi di scavo e di movimentazione terra. Lo stesso rischio può essere segnalato per quanto riguarda le strutture di ancoraggio dei cavi di sospensione, per le quali è previsto un volume di 328.000 mc in Sicilia e di 237.000 mc in Calabria”. “Se si tiene inoltre conto che per la realizzazione del manufatto occorrono in totale circa 860.000 mc di calcestruzzo, il rischio criminalità appare di gran lunga più elevato data la tradizionale specializzazione dei gruppi mafiosi nel cosiddetto ‘ciclo del cemento’. Lo stesso rischio si rileva in tutte quelle lavorazioni con procedure esecutive di tipo standardizzato, che riguardano, ad esempio, verniciature, saldature, pavimentazioni, ecc.”.

“Da dove verrà tutto il cemento necessario a costruire il ponte?”, si domanda il sociologo Osvaldo Pieroni, autore di un eccellente volume che analizza i limiti dell’infrastruttura. “E chi gestisce in quest’area il mercato delle attività estrattive, del cemento, delle costruzioni e degli appalti?”. È lo stesso Pieroni a fare un lungo elenco di famiglie storiche della ‘ndrangheta reggina: i Mammoliti, i Mazzaferro e i Piromalli di Gioia Tauro, gli Iamonte di Melito Porto Salvo, i Barreca di Pellaro, i Pesce e i Pisano di Taurianova, i Serraino, i Viola e gli Zagari di Roccaforte del Greco, i Fazzolari e gli Albanesi di Molochio. I nomi sono gli stessi di quelli segnalati dai più recenti rapporti della Direzione nazionale Investigativa Antimafia, accanto ai clan Mancuso e Morabito, di cui si denuncia l’enorme pericolosità “in virtù dei già percorribili segnali di infiltrazione nel tessuto imprenditoriale legale”, capace di “condizionare le procedure di gare d’appalto”.

Gallerie, ferrovie e viadotti, la vera manna della mafia del Ponte. Ed io aggiungo senza tema di smentita, per il TAV. E di questo dovrete rispondere, traditori. Ma è nell’ambito dei lavori per i collegamenti ferroviari e stradali, in buona parte previsti in galleria (21,7 Km in Sicilia e 25,9 Km in Calabria) (conoscete il significato del termine “galleria” brutti venduti traditori?) e delle rampe di accesso al Ponte, che secondo Nomos il rischio criminalità è ancora più alto ed evidente. Tali lavori prevedono notevoli volumi di scavo e discarica, oltre al fabbisogno di inerti lapidei per calcestruzzi. Si avranno complessivamente 4,2 milioni di mc di scavo sul versante siciliano e 3,9 milioni di mc su quello calabrese e nonostante le dimensioni di queste opere, il progetto della Società Stretto di Messina non fornisce ipotesi credibili sulla localizzazione e l’utilizzo delle cave e delle discariche necessarie.

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Ci sono poi le infrastrutture di servizio al Ponte, che nel progetto comprendono un volume complessivo di fabbricati per ciascun versante di 2.800 mc, un’area di servizio-ristoro in Sicilia (38.000 mc), un centro commerciale e di ristoro in Calabria (35.000 mc), un centro direzionale sempre in Calabria con un’area d’assistenza e soccorso ed una caserma della polizia (15.000 mc), un albergo ad anfiteatro (23.500 mq), un museo (2.300 mq). “Si tratta di opere rilevanti, che richiederanno un impegno finanziario non indifferente e che facilmente possono richiamare gli interessi dei gruppi mafiosi” afferma il sociologo Rocco Sciarrone. “Il rischio criminalità è dunque particolarmente elevato, tenendo peraltro presente che tali opere saranno considerate secondarie – e anche oggettivamente marginali – rispetto alla realizzazione del manufatto e delle sue infrastrutture principali. Il livello di “guardia” potrebbe essere più basso e ciò comporterebbe di conseguenza un maggior grado di vulnerabilità di queste opere rispetto a eventuali infiltrazioni mafiose”.

Un altro settore particolarmente sensibile alla penetrazione mafiosa è quello relativo all’offerta di servizi necessari per il funzionamento dei cantieri. Oltre alla tradizionale funzione di guardiania, “i mafiosi cercheranno con molta probabilità di inserirsi nelle fasi di installazione e organizzazione dei cantieri, e successivamente anche nella gestione dei loro canali di approvvigionamento. È dunque ipotizzabile il tentativo di controllare il rifornimento idrico e quello di carburante, la manutenzione di macchine e impianti e la relativa fornitura di pezzi di ricambio, il trasporto di merci e persone”. Un’ultima nota del rapporto Nomos sul rischio criminalità è riservata al ruolo che i mafiosi potrebbero cercare di assumere, in termini di intermediazione e speculazione, sui terreni da espropriare per la costruzione delle infrastrutture di collegamento e di servizio. Segnali d’allarme in tal senso, sono stati raccolti dal Forum sociale di Messina tra gli abitanti della frazione di Faro-Capo Peloro, in occasione del recente campeggio di lotta contro il Ponte sullo Stretto. Un 40% delle opere ad alto “rischio di azione criminale” significano 5.600-6.000 miliardi di lire d’investimenti pronti a finire nelle mani delle imprese di mafia. Nonostante lo scenario di forte illegalità e incompatibilità socio-territoriale del progetto Ponte, il vecchio governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato ha scelto di occultare i risultati del rapporto, e per bocca del sottosegretario ai lavori pubblici, on. Antonino Mangiacavallo, ha ridimensionato l’”impatto criminale” dell’infrastruttura, assimilandola ad un qualsiasi progetto per il trasporto multimodale. “Il maggior pericolo, nel caso della realizzazione del Ponte, non appare legato né alla natura dell’opera né alla sua unitarietà” ha dichiarato Mangiacavallo, rispondendo ad una serie di interrogazioni parlamentari. “A rendere più rischiosa tale soluzione sembra solo essere la sua maggiore dimensione finanziaria rispetto alla multimodalità, ma se le risorse pubbliche liberate dalla scelta dello scenario multimodale venissero impiegate per rendere tale stesso scenario più robusto, costruendo ponti, aeroporti e strade (…), l’impatto sulla sicurezza dei due scenari diverrebbe simile”. Nonostante il contorto gioco di parole, il sottosegretario conferma implicitamente che la mafia è pronta a spartirsi i lavori di realizzazione del manufatto.

Al grande appuntamento con il mostro tra Scilla e Cariddi le autorità si stanno accingendo impreparate e senza gli strumenti idonei ad impedire il grande banchetto delle cosche criminali siculo-calabre.

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Debole e per lo meno inopportuna è la soluzione auspicata dagli stessi ricercatori del Gruppo Abele, che nel rapporto sul ‘rischio criminalità’ per i lavori del Ponte prospettano la creazione di una task force guidata dai magistrati “che opererebbero come aggiunti presso le DDA di Messina e Reggio Calabria, coordinati dalla Direzione Nazionale Antimafia e coadiuvati da un apposito nucleo della DIA, allo scopo di compiere una sistematica attività d’indagine e di prevenzione nei confronti di tutti i soggetti economici impegnati nell’opera”.

Valutare come altissimi i costi in termini di militarizzazione e controllo mafioso del territorio nel momento in cui si aprirebbero i cantieri per il Ponte, dovrebbe portare ad una seria messa in discussione del valore e della fattibilità dell’opera stessa. E’ particolarmente ingenuo pensare che l’enorme impatto socio-criminale previsto possa essere ‘bilanciato’ e ‘controllato’ dal potenziamento degli organismi d’indagine e magari di polizia. Il processo di militarizzazione della Sicilia, la realizzazione di mega-impianti di guerra sotto il controllo dei più efficienti sistemi d’intelligence degli Stati Uniti, non ha assolutamente impedito l’infiltrazione criminale nei cantieri e nei servizi delle basi e degli aeroporti. Di contro, esso è stato funzionale alla composizione di nuovi e più agguerriti blocchi sociali moderati e al potenziamento della forza politico-militare della mafia. La realizzazione delle grandi opere militari ha avuto l’effetto, non certamente secondario, di ridurre gli spazi d’espressione democratica e d’organizzazione dei soggetti sociali antagonisti al modello di sviluppo dominante e al complesso bellico-industriale.

C’è poi da chiedersi perché mai dovrebbe avere esito positivo l’implementazione di una task force di magistrati e agenti speciali, in un’area dove le forti contiguità tra i poteri hanno impedito l’esercizio della giustizia e persino inquinato e depistato indagini strategiche per colpire i santuari del crimine?

Non è un caso che l’ipotesi di un ‘nucleo speciale d’indagini’ sia piaciuta ai grandi Signori del Ponte.

Illuminante in proposito quanto ebbe a dichiarare il ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi: “Ci siamo preoccupati d’investire una piccolissima parte delle somme destinate alla realizzazione delle grandi opere per la sicurezza contro il rischio criminalità. Abbiamo siglato un accordo con il ministero degli Interni (si chiama Interno!!!!!!! ndr) e del Tesoro in virtù del quale sui cantieri per le grandi opere saranno presenti tutori dell’ordine a garanzia che tutto avvenga al riparo dalle pressioni mafiose. Monitoraggio costante, dunque, sui cantieri, come peraltro sta già avvenendo in altre zone d’Italia”. Nient’altro che fumo: piccolissime somme di denaro e qualche tutore dell’ordine in più. Per Lunardi, del resto, l’infiltrazione mafiosa nella gestione delle grandi opere non può essere argomento d’allarme. “Mafia e Camorra ci sono e dovremo convivere con questa realtà” ha esternato il ministro nell’agosto 2001. “Questo problema non ci deve impedire di fare le infrastrutture. Noi andiamo avanti a fare le opere che dobbiamo fare, e questi problemi di Camorra, che ci saranno, per carità, ognuno se li risolverà come vuole”.

Mortacci vostra (oggi ci vuole l’espressione volgare in violazione della promessa fatta agli amici “intelligenti” che mi suggeriscono, per non indebolire la credibilità in crescita del blog, di non usare turpiloquio) ma non vedete cosa state combinando?

Ma non finisce qui.

Se dovevate pagare cambiali era meglio mandarle in protesto (anche a me è successo) piuttosto che farsi strozzare dai mafiosi.

E vedremo se mi sbaglio.

Oreste Grani/Leo Rugens

Ora più che mai ho bisogno di aiuto:

Per le piccole cifre abbiamo deciso di prendere soldi da chiunque con le ormai semplici modalità del versamento sul circuito PayPal usando il nostro indirizzo e-mail:  leorugens2013@gmail.com

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“Al nord ci sono più operazioni mafiose che al Centro-Sud”

Le regioni del Nord sono al primo posto per quantità di operazioni sospette delle mafie, con il 46,3%.

Al Sud la percentuale è del 33,8% e al Centro del 18,7%.

Dall’ultima relazione della Dia (Direzione Investigativa Antimafia) “il maggior numero di operazioni finanziarie sospette di ‘interesse istituzionale’, emerse con riferimento alle regioni del Nord, può essere indicativo di una mafia liquida che investe in questa parte del Paese in maniera occulta, utilizzando per i propri scopi criminali delle teste di legno. Una mafia latente che potrebbe, in prospettiva, manifestarsi con caratteri più evidenti”.

Sempre più spesso si individuano soggetti esterni alle organizzazioni criminali, professionisti che “prestano la loro opera proprio per schermare e moltiplicare gli interessi economico-finanziari del gruppi criminali”.