Antonio de Martini e le dinamiche turche

Erdogan-

In rete si trovano cose (a saperle cercare) sufficienti per non partire con l’handicap.

Cose che sarebbe bene sapere prima di avvicinarsi, con superficialità e grande dilettantismo, ad esempio, alla presenza turco-ottomana in Libia. Me ne vado per tanto a recuperare spunti di conoscenza legata a fatti apparentemente minori ma che suggeriscono proprio sentieri non battuti per conoscere personaggi e dinamiche. Ma questo è un altro discorso che ha poco a che vedere con l’attività dei nostri Servizi e della Farnesina, dove state tranquilli ora siede Luigi Di Maio. O forse sono cose solo apparentemente minori che hanno viceversa grande attinenza con ciò che, per semplicità, si chiama Humint.

Il post (come è evidente) è per addetti ai lavori e veri cultori della materia. Gli altri – cortesemente – astenersi. E tra gli altri ci metto Angelo Tofalo che, in Turchia, pensò di andarci con Annamaria Fontana e il di lei marito Mario Di Leva.

Oreste Grani/Leo Rugens   


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NOVITÀ NEL LEVANTE: È TORNATA LA QUESTIONE D’ORIENTE CHE DURA DA OLTRE DUE SECOLI.

di Antonio de Martini (prima parte, da Mehmet il conquistatore al 1980)

 UN PO DI STORIA PER COMINCIARE

L’imperatore Teodosio – uno psicolabile plagiato dal nordafricano vescovo Ambrogio – divise l’impero tra i due figli. La parte occidentale, con Roma capitale, durò poco e perì ingloriosamente scambiata per una gallina, mentre la parte orientale resse altri mille anni (1453) grazie al suo buongoverno, l’organizzazione ferrea, la superiorità navale e una accorta politica estera. Si rovinò per eccesso di teologia e caccia alle eresie dei sudditi che finirono per preferire il dominio arabo che consentiva libertà religiosa a Cristiani ed Ebrei.

Quando Mehmet II il conquistatore si impadronì di Costantinopoli, mantenne tutti i ministri al loro posto – tranne i militari-  dando così modo alla classe dirigente romana, ammirata per la perfetta organizzazione, di continuare l’opera di governo per altri quattrocento e dispari anni. Il patriziato romano (30.000 persone) espatriato, al seguito di Costantino il grande, rimase dunque al governo del Vicino Oriente quasi fino ai giorni nostri, quando Ataturk, rinnegò l’impero (e la dinastia ottomana) e puntò alla riunione di tutti i turchi creando la Nuova Repubblica.

Naturale che l’impero inglese e quello russo, crescendo, a partire dal secolo XVII, ne fossero  gelosi  e, approfittando degli eventi cercarono di rosicchiare l’impero ottomano in concorrenza tra loro e con gli Asburgo.  La leva cui si appoggiarono fu la religione e le nazionalità che l’impero ottomano  – proprio perché tale – manteneva e favoriva, dalle porte di Vienna all’Oceano indiano e dal Caucaso al Marocco.

Questo scontro tra imperi (uno marittimo e l’altro di terra) assunse connotati indiretti sempre più aspri  e furono chiamati “IL GRANDE GIOCO”  in Asia  (da Kabul verso l’India) e “LA QUESTIONE D’ORIENTE” nell’area mediterranea, fino alla Persia. Nessuno di questi problemi ha trovato soluzione a tutt’oggi.

L’Inghilterra approfittò della prima guerra mondiale per avanzare nel Levante e la Russia, della seconda guerra mondiale per affacciarsi nei Balcani, dove aveva già rosicchiato con le guerre balcaniche dei primi dell’ottocento, autoattribuendosi il ruolo di difensore dei cristiani, mentre gli inglesi sposarono le cause nazionali di indipendenza. Nel secondo dopoguerra l’Inghilterra fu sostituita dagli Stati Uniti e cercò di creare una intesa permanente anglosassone aggregando anche i dominions di razza bianca (Australia, Canada e Nuova Zelanda).

AI GIORNI PIU’ VICINI

Il primo a intuire che l’impero Ottomano poteva essere depredato data la ormai iniziata  decadenza e il potere quasi solo nominale sul Nord Africa e sui Balcani, fu Napoleone I.

Nel 1798 la Francia assalì l’Egitto con la vaga scusa geopolitica di interrompere la via delle Indie  agli inglesi (che all’epoca, in realtà, passava per il capo di Buona Speranza), La spedizione francese fallì nel 1801, ma intanto Napoleone aveva acquisito fama ed era diventato Primo Console ed aveva nuovamente piegato gli austriaci a Marengo.

Dopo la vittoria navale di Abu Kir gli inglesi subentrarono ai francesi in Egitto e Palestina, ma il generale Mackenzie Frazer fu sconfitto nel 1807 (dalla cavalleria albanese di Mehmet Ali che inaugurò la sua dinastia  durata fino al 1952) e  il progetto di conquista fu rinviato a miglior data. I  francesi, nel 1827 iniziarono l’occupazione dell’Algeria (anche questa vassalla nominale della Sublime Porta) e successivamente la Tunisia..

Nel frattempo, la Russia, fomentando gli ortodossi balcanici e del Caucaso, riuscì a creare alcuni stati cristiani (Grecia 1821 e Bulgaria 1875) che presto iniziarono a battagliare anche tra loro. Notevole il caso greco: pur non essendo mai diventati uno stato-nazione in tutta la loro storia, i grecisi trasformarono da cultura in Stato unitario e ottennero l’indipendenza grazie alle pressioni del concerto delle nazioni europee succedutesi alla sconfitta navale turca nelle acque di Navarino ad opera degli inglesi.

Il suggestivo esempio ellenico, fu poi seguito dagli ebrei, che trasformarono una religione (e una cultura) in uno stato mai esistito prima, giustapponendolo alla Palestina araba contesa da secoli tra Cristiani europei e arabi mussulmani.

In questo secolo XIX l’Inghilterra riuscì a far scontrare  la Russia con gli ottomani per una decina di volte. A partire dalla “guerra di Crimea” parteciparono anche italiani (Piemonte) e francesi a fianco dell’impero inglese e contro quello  russo. I due imperi furono a tratti solidali nell’aggredire l’impero turco, ferma restando la solidarietà ” europea” e “cristiana” ostentate davanti al mondo. Erano i primi germi della Intesa che ci portò al primo conflitto europeo, impropriamente chiamato mondiale.

Nel nuovo secolo ventesimo, le ostilità contro l’impero turco furono aperte dall’Italia che attaccò, a freddo, la Libia impossessandosi delle città costiere di tripolitania e Cirenaica e, a pace conclusa, ottenne le isole cristiane del dodecanneso. A incoraggiarci, gli inglesi che ci misero in concorrenza con la Russia, sul tema “protezione dei cristiani d’Oriente” (e più tardi anche i francesi).

LA PRIMA GUERRA MONDIALE ( in realtà europea)

Si è trattato in realtà della prima guerra europea che provocò l’inizio della fine dell’Inghilterra e di conseguenza dell’Europa. Alfred Milner, già governatore dell’Africa del sud e artefice della guerra contro i Boeri, usò gli stessi artifici diplomatici per incastrare la Germania e presentarla come aggressore. Il piano riuscì riuscì solo nei confronti  dell’impero austriaco che però trascinò l’alleato tedesco in una guerra da cui nessuno uscì vincitore. Alla fine del conflitto era nata una nuova potenza destinata a soppiantare tutti: gli Stati Uniti d’America.

Iniziata come una rivincita francese per la sconfitta del 1870 e di confronto per l’egemonia tra inglesi e tedeschi freschi di impero, il conflitto  si estese inevitabilmente all’impero ottomano, dove gli inglesi – nell’attuale Irak (nei Vilayet di  Kirkuk e Mossul) avevano trovato il petrolio ed erano i soli ad averne capito il potenziale. Alla Anglo Persian Oil Company (società a capitale pubblico inglese) si affiancò la Irak Petroleum company, sempre pubblica. A Abadan, sullo chott el Arab, si creò la più grande raffineria del mondo con un contratto trentennale di rifornimento per la Royal Navvy che fu la prima a sostituire il carbone.

La Turchia, creduta un boccone facile per le cessioni balcaniche, era invece ormai governata da tre militari (i giovani turchi, di ispirazione mazziniana almeno nel nome): Enver Pacha (guerra 33 anni). Cemal Pacha (Marina 41 anni) e Talaat Pacha (interno 42 anni). Su 4,5 milioni di morti civili durante la guerra (Armeni circa un milione) il resto fu affamato dal blocco navale inglese provato per anni (la Porta, con un territorio prevalentemente desertico, importava praticamente tutto), ma i due grandi tentativi inglesi di invasione si risolsero un altrettante cocenti  e sanguinose sconfitte.

Lo sbarco, voluto da Churchill (primo lord dell’Ammiragliato) nei Dardanelli costò all’impero 250.000 uomini (australiani) e una ritirata umiliante sotto la pressione delle bajonette dei soldati di Kamal Pacha rimasti senza munizioni.

Un secondo corpo di spedizione inviato dall’India (dal vicere Charles Hardinge): L’Indian expeditionary Force D, comandata dal generale Charles  Townshend, forte di 26.000 uomini in marcia verso Bagdad, viene fermata a KUT el AMARA, sull’Eufrate. Il corpo di spedizione assediato, resiste sei mesi  ed infine si arrende. Per evitare lo smacco, una delegazione inglese (di cui fece parte anche il capitano Lawrence) andò a trattare con Halil Bey il comandante turco nipote di Enver Pacha, offrendogli prima un milione di sterline e poi due se avesse desistito dall’assedio. Halil aveva già in mano i termini della resa di Townhend. La vittoria fu tanto importante che Halil, aggiunse al suo nome KUT, divenendo Halil Kut.

Con queste premesse, si capisce meglio come mai, benché la guerra, per i turchi,  fosse iniziata nel 1912/3 e finita nel 1923, nessuno degli alleati se la sentì di guerreggiare contro Mustafa Kemal (successivamente ATATURK) quando questi, ricevuto il comando della 1 armata dal generale tedesco Liman von Sanders decise di opporsi al diktat del Trattato di Versailles, ricacciò in mare francesi e Greci e creò la Nuova Repubblica laica, liquidando il Califfato, l’impero multinazionale, l’alfabeto arabo e l’islam rigoroso e spostando la capitale dalla troppo cosmopolita Costantinopoli a Ankara, la pianura anatolica dove Tamerlano sconfisse Bajazet. Gli alleati stipularono con la Nuova Repubblica il Trattato di Sevres, in cui riconobbero la sovranità turca su tutta l’Anatolia, concessero il Sangiaccato di Alessandretta e si accontentarono della penisola araba che divisero tra inglesi e francesi, con agli inglesi le terre petrolifere e ai francesi la Siria. Gli inglesi crearono una serie di sceiccati e regni indipendenti (Transgiordania, Irak, riconobbero l’Arabia Saudita, e crearono un mandato sulla Palestina e si fecero riconoscere il possesso di Cipro.

I francesi, accettato per un mese Faisal el Hacheimi (lo sceriffo della Mecca poi spodestato da Saud) come re di Siria, lo cacciarono e crearono nella enclave cristiana, lo stato del Libano, valorizzandone le popolazioni in funzione antislamica.

 

LA SECONDA GUERRA MONDIALE E GUERRA FREDDA

Morto ATATURK nel 1939, la seconda guerra mondiale vide la Turchia in prudente attesa e neutralità. Manovrando abilmente in attesa di individuare i vincitori, il governo turco emise una legge, chiamata dal popolino “VARLIK” (quel che c’è)  in base alla quale confiscò i beni degli stranieri (e degli ebrei), ma si tenne lontano da ogni tentazioni di rivincita.

A guerra finita, la Turchia entrò prima nel Consiglio d’Europa come membro fondatore e poi nella NATO, superando le remore greche, grazie agli exploit della brigata turca inviata in Corea: data dagli americani  per accerchiata e arresa, rimasta senza munizioni, si aprì la strada verso le proprie linee a colpi di Bajonetta.

L’occidente aveva trovato a chi affidare l’ala destra dello schieramento antisovietico della guerra fredda.  Gli americani avevano soppiantato gli inglesi nel Vicino Oriente – incluso l’Iran rimasto monopolio esclusivo britannico fino al 1952 – e mostravano certezza di poter governare il mondo con soft power e l’appoggio in zona di Iran e Turchia che consentivano l’accesso al ventre molle dell’Unione Sovietica.

I rapporti con il neonato stato di Israele erano buoni grazie al comune avversario arabo e all’alleato americano, specie in campo militare. Due milioni di uomini alle armi garantivano buona guardia sul fronte del Caucaso e sugli stretti e una grande base logistica per dilagare nella valle di Fergana e tagliare in due la Russia.

Il sistema democratico turco era, all’epoca ritenuto abbastanza  accettabile e in evoluzione (come oggi l’Arabia Saudita e ieri la Siria), si facevano periodicamente  le elezioni, le donne non portavano il velo e l’economia cresceva costantemente e persino gli israeliani non chiedevano la restituzione dei beni confiscati ai correligionari nel 1939 e nemmeno indennizzi.

Quando nel 1974 le Forze turche sbarcarono a Cipro per sventare un tentativo di annessione dell’isola da parte dei colonnelli greci, la NATO ne approfittò per provocare il regime change che consentì alla CEE (Comunità Economica Europea) che all’epoca aveva quindici membri, di avere al suo interno una maggioranza di Repubbliche democratiche rispetto alle Monarchie che divennero sette.

Fedeli alla volontà di Ataturk, i militari intervennero ogni volta che i clericali tentavano di ristabilire un islam più politico e uscire dal chiuso delle moschee: Nel 1960 e nel 1980  e nel 1990 i generali –  capo di Stato Maggiore in testa-  intervennero con periodi di stato d’assedio e qualche impiccagione ma poi restituivano il potere ai civili.  Fino a che il partito moderato mussulmano con a capo l’ex sindaco di Istanbul (Costantinopoli cambiò nome nel 1925) giunse democraticamente al potere e sfidò l’egemonia sociale del corpo degli ufficiali con metodo democratico, uscendone vincente.

(Continua)

 


NOVITÀ NEL LEVANTE: È TORNATA LA QUESTIONE D’ORIENTE CHE DURA DA OLTRE DUE SECOLI.

di Antonio de Martini (seconda parte dal 1980 ai giorni nostri)

LA TURCHIA CAMBIA MARCIA E ARRIVA TURGUT OZAL 

(segue dal post di identico titolo pubblicato ieri)

Ho avuto una fortunata coincidenza tra i miei affari e la Turchia in un momento di particolare ricettività da ambo le parti. Nel 1980 ebbi l’incarico di organizzare una catena charter di oltre mille persone a Istanbul per conto del GRUPPO EDITORIALE FABBRI.

Il Golpe militare appena compiuto rischiava di rendere vana l’operazione di incentivazione dato che era stato proclamato lo stato d’assedio e alle venti  di ogni giorno scattava il coprifuoco e i controlli antiterrorismo. Io ero impegnato con i fornitori, ma nessun cliente avrebbe pagato per passare quattro giorni chiuso in albergo.

Col mio indimenticato amico, Sarim Kibar, andammo dal comandante militare della piazza di Istanbul – un colonnello abbastanza giovane insediato da pochi giorni – con una proposta disperata e sfacciata: esonerare gli italiani dal coprifuoco, previa esibizione del passaporto.

Spiegai che ero, all’epoca, il solo operatore che non adoperava il dollaro USA per i pagamenti, che tra mediterranei dovevamo avere più cooperazione e che avevo scelto Istanbul per dare una mano al turismo colpito dalle disdette delle prenotazioni europee causate dal colpo di Stato.

Non solo questo austero ufficiale decise immediatamente, ma avendogli detto che avevo accettato margini irrisori pur di portare turisti a Istanbul in un momento di crisi, mi mandò dal capo del Bazar (un omone dai capelli rossi) che mi offrì quattromila lire italiane per ogni cliente che avessi portato nel Bazar semivuoto di stranieri.

I militari diedero ordine alla Turkish Airlines di mantenere sempre a terra  in riserva un aereo pronto al decollo in maniera da poter sostituire un velivolo guasto e mantenere la puntualità. Questa decisione “antieconomica” secondo i criteri occidentali, ha fatto la fortuna della Turkish che ormai è tra le linee aeree più gettonate d’Europa. Iniziai a studiare più da vicino questo paese in cui i colonnelli erano audaci, intelligenti e autorevoli al punto di imporsi con una telefonata al capo della maggior impresa della città.

Portai il mio amico Giano Accame, all’epoca giornalista de “IL SETTIMANALE”, una rivista di Rusconi appena uscita che durò poco, e intervistammo RAHMI KOC e, ad Ankara, il ministro delle finanze scelto dai militari e unico civile della Giunta: TURGUT OZAL, un oscuro professore universitario di economia.

KOC, l’Agnelli turco con un fatturato di 2,5 miliardi di dollari all’epoca mi spiegò  – off the records- con una punta di malinconia, che la Turchia riceveva sempre tecnologie obsolete. OZAL, un grassottello dagli occhi vivaci, spiegò che per convincere gli occidentali a dare fiducia, aveva proibito  di spendere valuta nella importazione del caffé (“cosa c’è di più tipicamente turco del caffé” disse), avrebbe abolito ogni restrizione regolamentare, dazio, controllo. Incoraggiato l’industria di esportazione invece che quella di sostituzione che soddisfaceva – male – i bisogni interni in regime protezionistico e iniziato il ponte sul Bosforo.

Negli anni successivi, e per trenta anni – la Turchia ebbe un tasso di crescita del 7% ed entrò nella classifica mondiale come diciassettesima economia del globo, grazie a un professore di KONYA, il principale centro religioso della Turchia al centro dell’Anatolia, scortato di una serie di assistenti provenienti da quella città e non da rampolli dalla elite cosmopolita di Istambul, né dal mondo laico e Kemalista che riteneva di dover governare in eterno per diritto divino.

Ecco come la Turchia fece il primo passo per diventare una media potenza regionale, memore delle passate glorie e delle umiliazioni subite dall’Occidente. “Il malato d’Europa” non era più malato. Alla restituzione del potere ai civili, Turgut Ozal divenne Presidente e si portò appresso i professorini nazional – religiosi. Purtroppo non visse abbastanza da completare i suoi piani, ma abbastanza per ricollegare la Turchia ai paesi turcofoni dell’Asia, visti come sbocco commerciale privilegiato dalla comunanza di cultura e religione (o quel che ne restava dopo la cura comunista).

L’AKP

Va detto anzitutto che il partito religioso turco non era L’AKP e Tajip Recep Erdogan non era il suo leader. A capo del partito islamista rigoroso era Necmettin Erbakan che ebbe breve durata, ma che riuscì a ricollegare la Turchia ai paesi arabo-mussulmani.

L’AKP è una scissione del partito islamista MILLI GORUS (dieresi su o e u e cedilla sotto la s) e si trattò di una scissione moderata. Volevano un islam moderno, adatto ai tempi e non in contraddizione con le conquiste fatte da Kemal di cui volevano temperare l’anticlericalismo eccessivo, ma non la laicità che – dissero – consisteva nel trattare in maniera eguale tutte le religioni, non di soggiogarne una che interessava tutta la popolazione affidandola a un dipartimento governativo. Il troppo storpia ovunque.

Erdogan aderì al nuovo partito e fece una carriera non rapida che comunque lo portò a diventare il sindaco di Istanbul e a scontrarsi con l’elite militare. Istanbul presa tra il rigore militare e l’efficentismo AKP, divenne la città più pulita del mediterraneo, i giardini curati con milioni di tulipani ogni primavera, un sistema di raccolta delle immondizie perfetto e igienico. La notorietà giunse quando Erdogan durante un comizio, rispondendo alla eterna domanda dei limiti imposti dai militari, rispose con i versi di una poesia di un grande poeta turco che diceva pressappoco “le nostre spade sono i versi del Corano”. Si buscò una condanna a diciotto mesi di carcere ma divenne famoso in tutto il paese e quello fu il trampolino che lo portò alla presidenza del consiglio.

Alle soglie del 2000, non c’erano ancora “gli islamisti” il ministro degli esteri ISMAIL CEM annunziò che la Turchia era pronta a divenire un “attore mondiale” lanciata com’era verso l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente in contemporanea.

LA PRESA DEL POTERE 

Nel 2002 il partito AKP vinse le elezioni politiche e portò al potere i “turchi neri” i paesani dell’Anatolia, quelli che non vivevano nelle grandi città, avevano piccole imprese e non erano assistiti dal governo (che privilegiava le grandi fortune costruite sulle confische fatte nel 1939 e vivevano nella città costiere dell’Ovest).

La maggioranza sociologica del paese divenne così maggioranza politica e iniziò a smantellare uno a uno gli ingranaggi amministrativi e politici che avevano consentito ai kemalisti di governare per 40 anni: riaprirono le scuole per Imam, il velo fu consentito negli istituti scolastici ecc.

Il senso di emarginazione sociale provato dai padroni di sempre, abituati a tutti i privilegi della classe dominante, diede il via ad un atteggiamento vittimista ed ai sospetti più oscuri nei confronti dei nuovi arrivati. Non mi dilungo perché il lettore ha sotto gli occhi una situazione identica qui in Italia, oggi.

In questa scalata elettorale l’AKP venne aiutata dalla confraternita Gulen – un incrocio tra P2 e Comunione e Liberazione che aveva un nutrito seguito tra i burocrati e i magistrati  con posizioni oltranziste islamiche, ma solidi agganci in USA – dove risiede il fondatore,  Fethullah Gulen, diventato cittadino americano –  e in Israele.

La rottura tra Erdogan e la confraternita, consumata sulla politica israeliana a seguito dell’incidente del MAVI MARMARA (otto turchi uccisi dagli israeliani), innescò la speranza di ambienti kemalisti di aver trovato la chiave per rovesciare Erdogan, prima con moti studenteschi e poi – dopo un infelice tentativo elettorale – con un colpo di stato. Questo secondo tentativo di stringimento (dopo la condanna a diciotto mesi) fu il trampolino che consentì a Erdogan l’ascesa incontrastata al potere sostenuto dalla intera popolazione.

( continua) nella terza puntata, la crisi con gli USA e con l’Unione Europea.