Renato Carosone e Edward N. Luttwak
Qualche giorno addietro, 3 gennaio 2020, quando il mondo si è ritrovato a fare i conti con le conseguenze dell’attacco americano in Iraq, erano passati cento anni dalla nascita di Renato Carosone. In quel momento Leo Rugens si stava godendo un po’ di ricordi. In particolare (era ancora notte) ascoltavo la celeberrima “Tu vuò fa’ l’americano“. Canzone spensierata ma in quel momento inquietante per i dubbi metaforici che generava. Come, d’altronde, “Caravan Petrol“. A questi stimoli dei bei vecchi tempi andati mi si è aggiunta la segnalazione del lettore Matteo T. che, questa volta trascurando GEV, mi metteva sotto gli occhi la dichiarazione di Edward N. Luttwak a proposito degli ultimi avvenimenti bellici.
Bene, ve lo confido, nulla, come Luttwak, mi coglie “preparato”. Da giorni infatti stavo pensando (mi piace fasciarmi la testa prima di quando accadono le cose) come si potesse giustificare l’invito a Luttwak qualora, come si tenta di fare, da mesi, con saggezza e lungimiranza e pochi onesti soldi in tasca, si fosse riuscito a ridare vitalità (e ruolo) al “Pio Manzù“, benemerita istituzione di ragionamento lasciato spegnere (dopo quaranta anni di intelligente attività diplomatica e di ricerca di soluzioni negoziate intorno alle complessità geopolitiche emergenti) quando venne meno il fondatore Gerardo Filiberto Dasi che, con altri geni della contemporaneità di quell’ora, lo aveva pensato e avviato.
Mi chiedevo come si sarebbe potuto conciliare la personalità aggressiva del pensatore americano (Luttwak era stato più volte tra gli ospiti di quel luogo di eccellenza riminese e membro dell’ultimo Comitato Scientifico) con quella di un riminese doc come Pier Luigi Celli, intellettuale raffinato e pragmatico uomo di potere, e su quali temi si potesse coinvolgere Giuseppe De Rita a sua volta più volte frequentatore di quelle giornate, o i super divulgatori Piero Angela e Milena Gabanelli e tanti altri che ero andato a recuperare nella pubblicazione gentilmente offertami dai figli di Pio Manzoni (Manzù), oggi titolari, con altri, di tale onerosa eredità e l’assoluta necessità di riprendere a dialogare con pacatezza sui temi della cittadinanza planetaria, quando Trump ha alzato la palla sotto rete. Palla che stalla e che va schiacciata senza ulteriori indugi. Il Pianeta (e l’Italia in particolare) è orfano di luoghi di pacato ragionamento e sarebbe utile, se non indispensabile, che ne sorgessero di nuovi. Nel caso del Pio Manzù basterebbe, seguendo l’indicazione di Edgar Morin, farlo rigenerare dopo averlo fatto, per cause di forza maggiore, degenerare. E questo in tempi in cui anche la libertà e la democrazia sembrano pronte a degenerare se non le si rigenera.
Vediamo pertanto di non cincincischiare (e lo dico agli amici cari più che agli ovvi e scontati avversari di chi vuole, in sincerità, ridare vita a quel luogo necessario a che si faccia nuovamente “lezione” sui perché, come si vede e come sostiene, da anni, questo marginale e ininfluente blog, la politica estera sia tutto. Anche perché non esiste più, se non sul lettino dello strizzacervelli, il dentro e il fuori. Anche di uno Stato. E così ci siamo capiti da dove, da quale indice direi, si potrebbe ripartire se dovessero rinascere le indimenticabili giornate riminesi del Pio Manzù.
Oreste Grani/Leo Rugens