Il trattamento delle informazioni: Ovvero perché Leo Rugens si interessa di Stefano Davidson
La citazione è interessante anche perché recupera un Luigi de Magistris del suo periodo da magistrato prima che si mettesse a fare il sindaco della Bella Napoli. Quello, per essere chiari, di quando provò ad accendere le luci sul caso Why Not, Poseidon, Comunione e Liberazione, la Calabria, la criminalità organizzata, molti politici (anche di grande caratura nazionale e internazionale) e la immancabile (quando si parla di soldi) RSM. Che sta per Repubblica di San Marino. In realtà parlo di un Luigi de Magistris che cercò di capire, tra l’altro, quale spessore avesse la testimonianza di una tale Caterina Merante relativa ad un ipotetico comitato d’affari che, se fosse esistito, avrebbe avuto sede nella Repubblica del Titano.
Parlo quindi di quel de Magistris che solo in parte riuscì a strappare la maschera a criminali raffinati e abilissimi nel dissimularsi come persone qualunque, se non perbene. Persone, viceversa, riconducibili, ad ambienti, nazionali ed internazionali, spesso impastasti con mondi spacciati per latomistici ma in realtà costellati, prevalentemente se non esclusivamente, di furfantelli paramassonici.
Chi sa leggere tra le righe Leo Rugens sa che, da mesi, in relativa solitudine, questo vecchio e malandato signore (si fa per dire signore perché in realtà sono in uomo formatosi sul marciapiede) è attratto dalle vicende, non solo politiche, della Repubblica più antica del mondo. Attratto e stupito che la stampa italiana, sostanzialmente, rimanga indifferente a quegli avvenimenti. La stampa, la politica, le agenzie di Intelligence. Lo faccio, con i miei limiti, perché considero, viceversa, la RSM un tassello delicatissimo di quanto avviene anche in Italia. La citazione che ho recuperato e che apre un post comparso in questi giorni sul sito Segretidibanca, mi ricorda un periodo in cui si consolidò la collaborazione tra l’attuale sindaco di Napoli e il dottor Gioacchino Genchi, oggi avvocato. E spero che in molti sappiate chi sia Genchi, e che lo stimiate, come lo stimo io. Dico questo perché nell’avvicinarmi ad un blog cerco sempre indizi semantici e concettuali che mi rivelino chi in realtà abbia davanti (intendo i promotori) e di chi stia leggendo la prosa.
Il web è un labirinto complesso e come tale va frequentato. Con la massima prudenza. O ci si può smarrire. Soprattutto se si hanno 73 anni e non si è nativi digitali. Sono pertanto attratto non solo da chi redige gli articoli ma con che finalità vengano lasciate, nel mare magnum dell’Infosfera, notizie di difficilissima interpretazione per i cittadini mediamente informati.
Quando poi si mettono in rete carte, foto (con o senza didascalie), richiami a fatti di giustizia di cui nessuno ha sentore, raccapezzarsi nel labirinto che si vuole arrivare a descrivere da parte del blogger di turno risulta ancora più difficile.
Interessante, comunque, direbbe il mio amico, cittadino israeliano, critico d’arte di valore mondiale, Amnon Barzel.
Questioni di un certo interesse quindi le vicende che stanno a cuore al “figlio di Davide” al secolo Stefano Davidson. Questa è la prima sensazione leggendo gli articoli che la testata Segretidibanca pubblica: un sito intrigante e, nel leggerlo, dobbiamo essere consapevoli che stiamo entrando nell’antinomia per eccellenza quale è “luce-ombra”. Faccio questa prima impegnativa affermazione non per evocare fatti oscuri bensì per evidenziare campi intermedi, cioè le sfumature fra i due domini. E lo faccio, vista la delicatissima materia e le modalità audaci con cui viene trattata da Davidson cercando di dare luce alle zone d’ombra. L’itinerario che mi sono prefisso di scegliere è quello che si affronta con metodologia aperta a tutte le sorprese (l’esperienza ci dice infatti che dietro a questo approccio complesso – luce ed ombra – ci potrebbero essere finalità recondite) e di cercare di coglierne i rapporti tra le due parti della rappresentazione. Anche grafica. Cose da pittori che io non sono ma lo è il Davidson. Il mio approccio si chiama banalmente investigazione e non certamente in chiave poliziesca-giudiziaria che compete ad altri. Mi prefiggo pertanto (è un fatto tassativo) affrontare questo caso di τέχνη (arte e tecnica informativa) solo partendo dalla piena consapevolezza di trovarmi di fronte ad un blogger (non è una scelta semantica riduttiva perché io stesso mi sento tale) che mostra una valenza artistica e, ritengo, un uso sapiente delle parole e delle suggestioni. Opportunamente calibrate.
Mi attirano pertanto il nome e il vissuto di Stefano Davinson che trovate a seguire. E se mi attira quest’artista e scrittore, se qualcuno sa qualcosa di me, sa che un motivo ci deve pur essere. Mi piace, ad esempio, quanto, con coraggio, seppe scrivere di Giorgio Napolitano. (Leggete)
Torniamo alla maestria necessaria nel fare informazione onesta.
Non ci può essere casualità se ho evocato Amnon Barzel, cittadino israeliano, posizionandolo non solo tra i miei amici ma tra i critici d’arte di valore mondiale. Israeliano e mondiale quindi Barzel. Chissà cosa mi avrebbe saputo dire del lavoro artistico di Davinson? Così Rivka Rinn altra splendida artista con cui mi sono, in assoluta amicizia, per anni, professionalmente relazionato. E soprattutto cosa, un altro amico della comunità ebraica Scialom Bahbout detto Mino del fatto che questo blogger viene accolto con suoi scritti nell’autorevolissimo luogo telematico … dove non possono scrivere persone non passate, come si suol dire, ai raggi X.
Rimaniamo pertanto sul promotore del blog che mi ha incuriosito, non nella casualità.
Casualità che lascio ad altri come motore degli avvenimenti umani. Io cerco sempre il movente. Che può essere, in un tentativo di classificazione scientifica, per difesa, successo, gioco e divertimento, fastidio, piacere sessuale, vendetta, invidia, imitazione, induzione, compassione, follia, gelosia, rifiuto. O per motivi strumentali. O, diciamolo, per denaro. I moventi (possono essere, notoriamente, più di uno che, sinergicamente, spingono all’attività perfino criminale) indicano l’ambientazione e l’humus dove la decisione prende sostanza, Freud o non Freud. E il movente per chi sia interessato ad una lettura non superficiale è la porta centrale dell’investigazione attinente all’agire umano. Se si imbocca la porta centrale si va spesso verso la soluzione definitiva. Sempre, quindi, partire dal movente.
Il vecchio antico saggio “cui prodest, scelus is fecit”. A chi da vantaggio l’azione? Non solo ovviamente quella criminale. Perché, così dovrebbe essere, in questo caso, non di azione criminale si tratta.
Andiamocene, per un rigo solo, su come lo scopo principale (il movente quindi) viene perseguito.
“La tragedia del nostro tempo – ebbe a dire il filosofo Heidegger – è che i due significati di τέχνη (rifacendosi alla Grecia classica ndr) si sono sempre di più allontanati tra loro: oggi abbiamo un’arte senza tecnica e una tecnica senza arte”.
Temo, dico io nella mia marginalità e ininfluenza, condizionato dal mio non saper scrivere, ci voglia τέχνη anche nel trattamento delle informazioni.Anzi, soprattutto.E trattare le in formazioni è da professionisti.
Le tele sono tele, ma le parole sono altro. Farsi “Pecorelli” (e lo dice uno che lo ha conosciuto e da cui ha percepito, nel lontanissimo dicembre 1968, il mio primo “mensile” di 60.000 lire ) è arte con tecnica. Altro, è altro. Comunque, mi inoltro in questa mescolanza tra luce e tenebra in spirito di curiosità per capire, con sana disposizione d’animo, dove vogliono andare a parare gli animatori del blog Segretidibanca. E sopratutto cosa cerchi, con onestà d’intenti, l’artista-scrittore Stefano Davidson, il figlio di Davide. Ritengo (spero per lui), l’amica verità. Anch’io. O, almeno, così dicono quelli che sanno di me.
Oreste Grani/Leo Rugens
P.S. “.. rapide picchiate nel fantastico o, addirittura, si vira bruscamente nell’onirico dove, spesso, ci si accosta a quell’istanza profonda che Freud ha descritto nel teorizzare l’inconscio” leggerete queste espressioni verbali più avanti nella biografia del pittore, scrittore e giornalista genovese. Ho avuto in casa, fino a quando non ho avuto bisogno di venderli, due quadri di Oscar Saccorotti, anch’esso pittore ligure.
In realtà erano lavori abbastanza semplici ma a me ricordavano lo stabilimento balneare di Quinto, l’Andrea Doria, davanti a Villa Croce, in un tratto di costa dove si diceva che il generale Giuseppe Garibaldi stesso si fosse fermato, prima di partire verso Marsala, alla guida dei Mille, dalla contigua Quarto.
Che centra questo riferimento a Garibaldi, caro Grani, tu che, notoriamente, sei mazziniano? Centra, centra. Come sempre quando giro in alto, disegnando cerchi larghi, per provare ad avere consapevolezza di cosa accada nel terreno sottostante. E non lo faccio per perdere tempo ma per cercare di capire le dinamiche e le scelte utili alla pianificazione-attuazione dei comportamenti e dei livelli di difficoltà attuativi e delle qualità oggettive e soggettive minimali per attuarli. Interessante, come ho già anticipato, avrebbe detto Barzel, questa immagine affrescata in quel di San Marino.
E il manufatto artistico che si intravede vale la pena di essere studiato. A modo mio che sarebbe sempre conscio dei miei limiti e inadeguatezze.
O – forse – no! Invecchiando, come vedete, mi faccio indulgente.
Stefano Davidson
Nato a Genova il 29 Maggio 1962.
Pittore, scrittore e giornalista
Vive e lavora a Roma.
– L’arte di Stefano Davidson pare voler raffigurare un mondo differente da quello reale, quotidiano, nonostante spesso ne utilizzi le forme e non si possa fare a meno di catalogarla tra i “figurativi” più classici. Nei suoi quadri si respirano però atmosfere molteplici e si va da quelle vagamente legate ad una sorta di neo-romanticismo, ad altre che si impennano nell’allegoria. Alle volte ci si trova a precipitare con rapide picchiate nel fantastico o, addirittura, si vira bruscamente nell’onirico dove, spesso, ci si accosta a quell’istanza profonda che Freud ha descritto nel teorizzare l’inconscio. Nell’opera di Davidson quindi non si tratta più di osservare la natura così com’è o di leggervi un mondo a noi familiare, nonostante l’artista si esprima attraverso tratti assolutamente formali e palesemente figurativi, ma di attingere a qualcosa di insolito che allontani lo spirito dal quotidiano, che dia voce alle angosce e, perché no, alle nevrosi, che presti lo sguardo al sogno più profondo. Ma attenzione! Questo sogno non deve essere attribuito all’individuo, o all’autore soltanto, bensì alla collettività e alla sua cultura, che si snoda sinuosa come un grasso anaconda tra le rovine di una memoria classica, ormai totalmente sbiadita e le macerie di un futuro che, da lontano e molto debolmente, comunica un presentimento di fine del mondo imminente. E’ per questo vagare di Davidson all’inseguimento di ognuna di quelle sinapsi che donano al cervello l’ebbrezza della creazione che, osservando la sua opera, ci si può trovare di volta in volta ad osservare incubi antichi o recenti, mistiche disperate, o addirittura ci si addentra nel simbolico e nel surreale.
In sintesi, per dirla con J.K. Huysmans:
“Aveva voluto, per il diletto dello spirito e la gioia degli occhi, qualche opera suggestiva che lo precipitasse in un mondo ignoto, che gli svelasse le tracce di nuove congetture, che gli lacerasse il sistema nervoso con erudite isterie, con incubi complicati, con visioni indolenti e atroci.”
– Yves Lirriverance –
Fondatore nel 2008 del movimento artistico NON la cui Prima Esposizione Mondiale si è tenuta a Roma il 24 Aprile scorso presso le Sale d’Arte Contemporanea del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali con il Patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e del Comune di Roma ed Introduzione al catalogo del Sovrintendente al polo Museale della Città di Roma Prof. Claudio Strinati.
“Il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma ormai da tempo è sede di Mostre di arte contemporanea e non, tenute presso le ampie sale ad esse adibite. In quest’occasione La Soprintedenza è lieta di ospitare la Prima Esposizione Mondiale NON, un progetto dell’artista Stefano Davidson la cui opera in quest’occasione trasferisce l’arte “visiva” in una dimensione diversa da quelle abitualmente ritrovabili in Mostre di stampo più tradizionale. La si potrebbe infatti definire forse “Surreale”, “Concettuale” o “Provocatoria”, visto che comunque questi sono termini entrati ormai da decenni nel linguaggio dell’arte, anche se di tanto in tanto vanno considerati in accezioni diverse da quelle comunemente adottate. Ciò accade poiché le suddette parole vanno a descrivere “categorie” artistiche legate non tanto all’irreale se non addirittura al bizzarro, bensì a qualcosa di estremamente “stravagante” che esula dai canoni tradizionali di catalogazione. Si potrebbe quindi pensare, assistendo a questa Prima Esposizione Mondiale del NON, che questo sia uno di quei casi. Lo si potrebbe pensare in quanto il suo autore, l’artista Stefano Davidson, è sempre stato legato ad un genere di arte molto tradizionale, la pittura, ed ha sempre preferito descrivere i suoi temi con tratti prettamente figurativi, che esulano completamente dall’astrattismo o dal concettuale. Lo si potrebbe pensare nonostante il figurativo di Davidson molto spesso sfoci nell’onirico, nel simbolico, se non addirittura proprio nel surreale (ricordiamo i dipinti “Cesenacido” o “Palingenesi surrealista” su tutti). Nel caso di questa mostra non però, la provocazione, che non si può negare esista, così come la concettualità, è comunque legata, secondo l’autore, ad una sorta di figurativo “personale” cioè la capacità di generare immagini all’interno di se stesso da parte di ogni essere umano. Ecco quindi che ciò che ci troviamo di fronte, non è più poi così lontano dai canoni di rappresentazione tradizionali; anzi, le informazioni che riceviamo su ciascuna opera dal relativo titolo e dalla sua spiegazione ci consentono di comprendere forse meglio queste ultime rispetto a molte altre forme d’arte dove il concetto espresso fa parte dell’interiorità dell’autore rimanendo “suo proprio”, mentre nel NON è parte intima dello spettatore stesso. In conclusione, a parte queste brevi considerazioni sui contenuti dell’esposizione non, ritengo assolutamente attuale il concetto di necessità di assenze espresso dall’autore, non solo per il sovraccarico di tutto e di più nella nostra società civile, come da lui più volte sottolineato, ma poiché la “crisi” contingente sta lentamente abituando ciascuno di noi a fare a meno di un po’ di superfluo facendo così rientrare un po’ di NON in ognuna delle nostre vite, e chissà che ciò, in fondo, non possa farci anche un po’ bene.”
Prof. Claudio Strinati (Sovrintendente Polo Museale Città di Roma)