Il riposo del guerriero tra viti, ulivi, grano e castagni
Devo fare una premessa poiché il mestiere delle armi fino a tempi recenti mi è stato lontano per ragioni culturali, religiose e filosofiche.
Avendo trascorso gli anni della giovinezza ai piedi del Monte Grappa, lungo la via che porta direttamente alla cima, ho ricevuto dalla mia amata nonna paterna i racconti di una bimba, era nata nel 1905, che aveva vissuto il conflitto sulla prima linea e che aveva dovuto abbandonare la casa vivendo da “sfollata”, così diceva, nelle Marche. Il suo racconto dei giovani che vedeva passare lungo la strada sulla quale si affaccia ancora adesso la casa paterna e che non fecero ritorno, si accompagnava al racconto di come i nostri soldati andassero “all’assalto” storditi dalla grappa per scontrarsi con altri giovani euforizzati dalle “pastiglie”.
La ragione religiosa fu ricavata dalla mia educazione cattolica e ruotava sul noto comandamento “non uccidere”.
La ragione filosofica fu maturata durante gli studi liceali, quando le domande sull’Essere, sul vuoto e sul pieno, sugli atomi nonché sul paradosso di Achille (guerriero svogliato) e la tartaruga mi convinsero che dopo tutto la guerra non aveva alcun senso se non per chi ci doveva guadagnare mandando a morire gli altri.
Con gli anni ho parzialmente cambiato idea, sia occupandomi in chiave sussidiaria delle forze armate sia leggendo Shooting Up: A History of Drugs in Warfare di Lukasz Kamienski, il quale mi ha fatto riflettere in merito alla speciale figura del soldato, un individuo che ha la morte quale elemento caratterizzante l’orizzonte della propria professione, il che lo pone al pari del medico, del magistrato serio e di chi si occupa di ordine pubblico in una posizione speciale rispetto ai cittadini comuni. Last but not least avendo frequentato per anni la “scuola” di Oreste Grani e avendo ricevuto la preziosa informazione da un uomo dei servizi, attualmente nelle patrie galere per corruzione e altro, che “stavano raccogliendo soldi per togliermi di mezzo” – devo costare troppo se sono ancora qui a scrivervi – ho un po’ riletto la questione che però non è argomento del post.
Chiusa la premessa, segnalo che in questi giorni, consolidando un “trend” partito un paio di anni fa, stanno aumentando le domande di giovani e meno giovani di poter andare a coltivare la terra, ovvero di diventare agricoltori.
Qui mi si affollano i ricordi, un po’ Virgilio un po’ i veterani delle legioni romane a quali la Repubblica poi l’Impero offriva un appezzamento di terreno da lavorare e sul quale trascorre il meritato riposo dalle fatiche della guerra e godere i frutti del proprio sudore, non più speso per dare morte.
Sono anni che rifletto nel merito e mi chiedo se a molti dei nostri valorosi veterani dell’Irak o del’Afganistan o del Libano o altro, non farebbe piacere trascorrere il resto della propria vita sulle pendici dei monti italiani a coltivare castagne o altro, oppure ripristinare uliveti e vigneti abbandonati, alla faccia delle quote imposte dalla UE. Quando vedo così terre incolte in Italia mi sale una rabbia che non so descrivere. Non avete idea di quanto sia serio in proposito.
A pensarla così non sono solo, come un soldato mi ha suggerito, citando il caso della Legione Straniera il cui motto, “Honneur et Fidélité”, dice che per uomini che hanno qualche conto in sospeso con la propria Patria, la Légion è pronta a offrire se stessa, come nuova casa, per sempre. In particolare, agli invalidi che hanno combattuto per essa mette a disposizione “Le Domaine du Capitaine Danjou, à Puyloubier au pied de la Montagne Sainte-Victoire, héberge l’Institution des Invalides de la #LegionEtrangere”.
Ritengo che la mia idea, riprendendo una antica tradizione italica, mettiamola così, sia un po’ meglio e un po’ più utile, anche perché la presenza di veterani in certi territori potrebbe non poco aumentarne la sicurezza, favorendo la diffusione presso i civili della conoscenza non tanto del mestiere delle armi quanto della complessità di avere operato in terre lontane.
Sogno a occhi aperti, ma visti i tempi ritengo che solo i sognatori abbiano diritto di parola.
Alberto Massari
P.S. Jean Pierre Mustier, il gran capo di Unicredit, si dice sia un ex legionario, il che, se poprio dovesse andare male un buen ritiro ce l’ha assicurato; ancora mi chiedo come sia possibile che un uomo della sua tempra non solo non si sia accorto che Jérôme Kerviel gli sfilava sotto il naso 5 miliardi di euro bensì non l’abbia strozzato con le sue mani. Forse nella Légion non glie l’hanno insegnato a farlo?
Ma Dai? Eddichissaràmmai questa idea??? Che non ho ben compreso?
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