Il Guardasigilli Bonafede chiama la complicità con le mafie “correntismo”

In Italia, lo prevedono i politologi più attendibili e sensibili, emergerà, tra non molto, una nuova grave ostilità verso la rappresentanza politica e le istituzioni a cui, fino a ieri, almeno in parte, si dava credito.

La maggioranza degli Italiani si sentiranno stanchi del passato che sono stati “obbligati” a vivere: l’opinione che maturerà sarà che sono tutti degli incapaci, spesso anche ladri e corrotti. L’idea/richiesta dilagante sarà: toglietevi di mezzo e consentiteci di organizzare liberamente il nostro futuro. Toglietevi di mezzo “spontaneamente” che è meglio per tutti. Lo facciano almeno quelli di voi che si sono fatti, quasi inconsapevolmente, trascinare da qualche incantatore di capitoni. Fatelo prima che la vostra inadeguatezza e le altre peculiarità negative inneschi l’irreversibile. Il sentimento si radicherà con l’altro (per quasi tutti gli 11 milioni di elettori pentastellati) quale è quello – rabbioso – dell’occasione mancata.

Perché è questo il grande dolore che si diffonderà. Quando infatti hanno fatto irruzione in Parlamento le donne e gli uomini del M5S, eletti numerosissimi in Sicilia, in Calabria, in Puglia e in Campania, sia nel 2013 e ancora di più nel 2018, in molti abbiamo sperato che fosse possibile assistere all’indispensabile ravvivarsi (comincio da qui avendo sotto gli occhi il Caso CSM/Palamara) della lotta contro la criminalità organizzata (e i suoi pupari politico-finanziari) con quel vigore e passione civile a suo tempo organizzata intorno alla Commissione Nazionale di Inchiesta sulla Mafia quando essa era stata opportunamente influenzata – sia pur esponenti della minoranza parlamentare – da giganti quali Cesare Terranova e Pio La Torre.

Mi sembra che fossimo al 1978, anno che, non a caso, coincideva con il terrorismo politico in espansione e all’attacco fino alla condanna a morte di Aldo Moro che certamente, a differenza del suo rivale Giulio Andreotti, non era colluso con le mafie.

Terranova, che ho citato, era un grande magistrato e La Torre un grandissimo politico e sindacalista.

Stendo un velo pietoso sulla composizione dell’attuale Commissione (ma solo per questo post) ripromettendomi di tornare su chi, nomi e cognomi, ha ereditato (cominciando a dire “indegnamente”) una tale compito etico-morale-culturale-strategico indispensabile per la salvezza della Repubblica.

È andata come andata e invece di vedere l’intero comparto della Giustizia divenire centrale nella strategia del MoVimento, a guidare questa indispensabile attività contro le mafie e ai loro complici partitocratici, ci siamo ritrovati (da subito dovevamo capire che aria tirava) quale Presidente della Commissione Giustizia (cioè il cuore di un eventuale buon governo), la riminese Giulia Sarti, non solo mezza cartuccia del diritto ma, pur giovane, già connotata da un dubbio stile di vita che l’ha portata ad essere oggetto di un non ancora chiarito episodio relativo a foto e film, a sfondo erotico. Quella scelta fu o il segno di una pochezza assoluta o il segnale di menti raffinatissime. Capire bene oggi come si arrivò a tale “promozione apicale” sarebbe determinante per capire chi ha sabotato la speranza di un futuro di legalità repubblicana.

Quando, successivamente, nel 2018, i cittadini, ancora speranzosi, vi hanno affidato 11 milioni di voti, avete piazzato alla presidenza della Commissione Antimafia l’incerto (a volte, viceversa, isterico-aggressivo tanto da sfasciare un tavolo di cristallo dello Stato, con un pugno, in quando si era sentito contraddetto) “professore di lettere e filosofia” Nicola Morra che abbiamo visto come ha saputo guidare il contrasto alla criminalità: zero spaccato di elaborazione e di indicazioni strategiche per fermare il dilagare delle mafie.

Il malaffare infatti che ruota intorno alla droga, alla prostituzione, all’usura, al traffico delle armi, ai fondi illecitamente assegnati non solo non è stata disarticolato organizzativamente e culturalmente (non vuol dire che i vari Nicola Gratteri non stiano facendo il loro lavoro) ma la certezza che i più hanno è che la catastrofe economica che incombe, renderà i mafiosi padroni del campo e consegnerà la maggioranza delle PMI incaprettate nelle mani dei violenti e dei loro padroni.

E, a compiere l’opera assassina, saranno stati proprio i capetti politici che, arrogantemente, si sono sentiti, senza alcuna umiltà metodologica, all’altezza del compito. Scoprono oggi ciò che era ad opera di Antonio Galdo era già descritto – dettagliatamente – sin dall’aprile del 2000. Che sarebbe come dire un ventennio addietro. Bisognava semplicemente saper leggere e soprattutto che ai vertici di un MoVimento che aveva raccolto 11 milioni di voti non ci finissero persone che non leggevano.

La mafia è, ancora più di prima, certamente da quando è entrato in Parlamento il M5S, macroscopicamente in mezzo a noi; solo che è ancora più abile nel camuffarsi e a fare il minimo sforzo per ottenere il massimo risultato.

A volte, come si è visto nelle vicende legate al CSM e ad un Palamara che piazza in posizioni nodali, procura per procura, decine “dei suoi” (ma di chi in realtà?), i vertici delle mafie non hanno bisogno di fare nulla se non aspettare che i loro complici (a volte semplici utili idioti, altre corrotti ambiziosi pronti a tutto) gli spianino le autostrade del discredito delle istituzioni repubblicane, come se fossero tante Salerno-Reggio Calabria. Le vicende del CSM e i giudici mascalzoni stanno lasciando un segno indelebile per la tenuta democratica. Le mafie brindano e temo che torneranno ad ubriacarsi. Temo.

Oreste Grani/Leo Rugens

P.S.

A molti cittadini, spesso vittime di inspiegabili sentenze, interessa soprattutto sapere se questa “rete delle reti”, ramificata in tutte le principali procure della Repubblica, sia stata anche usata per pilotare giudizi. La cortina fumogena sul Caso Salvini è platealmente un diversivo per non approfondire le mille e mille volte in cui chi aveva ragione, si è trovato dalla parte del torto.

P.S. al P.S.

Il Caso Palamara è un caso anche “calabrese” e non solo per le origini familiari del magistrato. Un caso che, come comincia ad emergere, riguarda il più grande scandalo degli ultimi anni relativo ad un’ingerenza su un’inchiesta giudiziaria delicata come fu Why Not. Nomi come Nello Rossi, Achille Toro, Simone Luerti, Giuseppe Cascini, Luca Palamara, Angelo e Giuseppe Gargani, Antonio Saladino si ritrovano nelle stesse pagine (494 e 495) del volume “Il caso Genchi“. Quando scrivo “il più grande scandalo” non mi riferisco alle stronzate sulla massa delle “intercettazioni” che in molti mascalzoni denunciarono essere state fatte da Genchi a discapito di onesti politici e magistrati e forze dell’ordine ma, viceversa, su come alcuni riuscirono a non far scoperchiare la cloaca maxima di cui in questi giorni cominciamo a sentire i maleodoranti fumi. Siamo all’inizio della “rilettura” dei casi Poseidon e Why Not. Ho scritto che siamo all’inizio. Io, che non sono nessuno, ad esempio andrei perfino a cercare scampoli di verità nel licenziamento di Carlo Vulpio, un giorno giornalista del Corriere della Sera fino a quando arrivò a pubblicare i nomi dei personaggi eccellenti che affioravano nei casi appunto Poseidon e Why Not.