La Repubblica è in affanno e le morti di Falcone e Borsellino non sono estranee a questa insana condizione
Qualcuno, in questo caso Giocacchino Genchi, uomo che, tempo addietro, si definì “in balia dello Stato“, ha deciso di festeggiare il 2 giugno con dichiarazioni gravi. Se anche dirompenti, vedremo. Leggete a seguire ed evitate di sottovalutare forma e sostanza. E per sostanza intendo anche la tesi “statunitensecentrica”.
Le dichiarazioni/rivelazioni di Genchi pare non siano finite. Se inoltre le dichiarazioni di Genchi le si abbina a quanto continua ad emergere dal mondo giudiziario “contemporaneo”, si intuisce la gravità della situazione in cui continua a trovarsi il comparto della giustizia e delle istituzioni adibite al contrasto alla criminalità organizzata. Misteri lasciati tali, ministro della Giustizia dopo ministro della Giustizia e decenni senza interventi risolutivi dei vertici apicali delle organizzazioni preposte alla sicurezza dello Stato.
Decenni senza che si stato possibile arrivare a chiarire dinamiche che oggi, ancora una volta, Genchi denuncia. Perché le cose che “ricorda” in queste ore in realtà le aveva già indicate in alcuni versetti della Bibbia, “Il caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato“.
In realtà oggi mi sembra semplicemente riordini ricordi.
Oreste Grani/Leo Rugens
LE BUGIE DELLA BOCCASSINI. UN RISERVATO DOCUMENTO INEDITO LO CONFERMA
Comunicato stampa – 21 febbraio 2020 – di Gioacchino Genchi
“Non avevo alcuna fiducia in Gioacchino Genchi. Il suo apporto nelle indagini era stato praticamente nullo, era una persona pericolosa”. Queste quanto riferito da Ilda Boccassini, ex procuratore aggiunto di Milano, da poco in pensione, al processo sul depistaggio dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio.
La p.m. Boccassini, però, non nutriva gli stessi sentimenti nei confronti del dottor Genchi nel 1992 e fino al 25 maggio 1993, quando dopo averlo incaricato di svolgere le indagini più riservate sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, inveì per la sua improvvisa decisione di lasciare il gruppo di indagini per asserite “ragioni di sicurezza”, come La Barbera aveva dato a credere ai magistrati di Caltanissetta, che di contro hanno ritenuto di chiedere conto a Genchi delle sue decisioni solo 16 anni dopo, agli inizi del 2009, con una audizione che è stata la vera causa della sua strumentale “sospensione” dal servizio e della sua successiva destituzione dalla Polizia di Stato, proprio per avere riferito nel corso di un pubblico convegno dei depistaggi di Arnaldo La Barbera e dei vertici del Ministero dell’Interno dell’epoca sulle stragi del 1992.
Facciamo un passo indietro nel tempo. I primi giorni dell’ottobre del 1992 sembrano decisivi per risolvere il rebus delle stragi: su via D’Amelio, Genchi aveva contribuito ad individuare l’intercettazione a casa della sorella di Borsellino e pensava di aver scovato il telefonista, Pietro Scotto.
Quanto a Capaci, ci sono i contenuti delle agende elettroniche di Giovanni Falcone, con l’annotazione del viaggio in America alla fine di aprile del 1992.
Non appena la consulenza viene depositata, nonostante le pressioni per non farlo, i “ringraziamenti” a Genchi per il recupero dei dati non mancano: gli vengono revocati i due incarichi. E viene trasferito dalla direzione della Zona Telecomunicazioni per la Sicilia Occidentale e dal Nucleo Anticrimine, che per volontà del Capo della Polizia Parisi congiuntamente dirigeva da alcuni giorni prima della strage di Via D’Amelio, all’XI Reparto Mobile di Palermo, per occuparsi di manifestazioni e cortei. Dalle stragi agli stadi, in un lampo.
Il questore di Palermo Matteo Cinque – Genchi si rifiuterà di salutarlo con la sciabola durante una parata, sapendo del suo arresto che sarebbe stato eseguito alcuni giorni dopo – gli prospetta “necessari provvedimenti di autotutela”, e gli assegna una scorta di 1° livello con due macchine blindate. Il primo passaggio per giustificare il futuro trasferimento. Genchi rinuncia e rifiuta decisamente e rintuzza con una lunga lettera e continua ad usare la sua Fiat Uno, muovendosi da solo e pure disarmato, come aveva sempre fatto prima, senza però abbandonare la sua vera e unica arma di difesa: il computer.
È chiaro, quindi, che Genchi non aveva nessuna paura a fare il suo lavoro, come La Barbera aveva voluto far credere nel maggio del 1993 ai magistrati di Caltanissetta che non hanno ritenuto nemmeno di chiedere conto a Genchi sulle effettive ragioni del suo volontario e repentino abbandono del gruppo di indagini sulle stragi, dopo l’epico scontro con Arnaldo La Barbera, protrattosi per tutta la notte dei giorni fra il 4 e il 5 maggio 1993.
Eppure, Arnaldo La Barbera diffonde la voce che Genchi aveva abbandonato le indagini sulle stragi perché temeva per la sua sicurezza.
Ma, privata del poliziotto su cui fa perno l’inchiesta, i magistrati di Caltanissetta titolari delle indagini, Fausto Cardella e Ilda Boccassini, puntano i piedi. Prendono carta e penna, e scrivono al procuratore Giovanni Tinebra.
Agli atti della Procura di Caltanissetta, infatti, è stato depositato un documento riservato che sbugiarda Ilda Boccassini su tutta la linea.
Dopo la sua sua deposizione è giusto che gli italiani abbiano piena cognizione di quel reperto documentale di ineguagliabile valore che smentisce le falsità dichiarate da Ilda Boccassini ai giudici di Caltanissetta.
Così scriveva la pm milanese e al suo procuratore:
“La parte più complessa e delicata di tale attività investigativa era stata affidata al dr. Gioacchino Genchi che appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza nel settore della telefonia”, si legge all’inizio.
Poi l’affondo finale: “Ha sorpreso, quindi, molto sorpreso il fatto che, pochi giorni orsono, il dott. Genchi abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, secondo quanto riferisce il dr. A. La Barbera, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti”.
Quindi Genchi ha volontariamente abbandonato il gruppo di indagini sulle stragi e non è vero che è stato “cacciato”, come la Boccassini ha cercato di accreditare in più occasioni negli ultimi 20 anni.
E fu così che si arrivò al gruppo d’indagine Falcone-Borsellino, una soluzione posticcia per mettere una pezza al trasferimento di Gioacchino Genchi e lasciare indisturbato ad Arnaldo La Barbera il pieno controllo delle indagini. E non ce ne sarebbe stato alcun bisogno visto che la polizia aveva già valide strutture, come la squadra mobile, la Criminalpol e lo Sco, che potevano proseguire il lavoro con la stessa tenacia con cui lo avevano intrapreso.
Poi, la collaborazione del falso pentito Vincenzo Scarantino, l’uscita definitiva di Gioacchino Genchi dal gruppo Falcone-Borsellino sbattendo la porta dell’ufficio di La Barbera, ormai fa parte della tragica storia di questo Paese.
Accreditato dallo stretto rapporto personale e professionale che Arnaldo La Barbera aveva instaurato con Ilda Boccassini, intrapreso l’abile depistaggio delle indagini, a La Barbera è stato facile condizionare l’agire e l’operare dei magistrati che a Ilda Boccassini (e Fausto Cardella) si sono succeduti nella conduzione di quelle indagini, condizionando e subornando gli esiti dei processi, con lo scopo – si badi bene – di fare condannare degli innocenti per non cercare e tenere nascosti i reali autori e i mandanti di quelle stragi.
Questo è l’aspetto più eversivo di quella vicenda, del quale Arnaldo La Barbera non è stato l’unico ed esclusivo protagonista, posto che sugli esiti di quelle indagini si sono fondate le carriere dei capi della Polizia che dopo Fernando Masone e prima di Franco Gabrielli si sono succeduti ai vertici del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Vero è che Ilda Boccassini, in più occasioni, ha invitato e diffidato i suoi colleghi della Procura di Milano a diffidare di me e a non affidarmi degli incarichi.
È vero pure, però, che molti magistrati della Procura di Milano, che hanno dimostrato di fidarsi più di me che della collega Boccassini, mi hanno affidato numerosissimi incarichi in vari processi di criminalità organizzata e di stampo mafioso, di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, armi, per reati contro la pubblica amministrazione e reati fiscali.
Fra questi la consulenza tecnica nel processo per frode fiscale che ha portato alla condanna in via definitiva di Silvio Berlusconi, che ne ha anche determinato la decadenza da Senatore della Repubblica, a differenza dei processi istruiti a carico di Silvio Berlusconi da Ilda Boccassini, dai quali è stato sempre assolto e che hanno contribuito alla sua martirizzazione, al punto da conservare ancora lo status di leader di una forza politica, che con il pensionamento della Boccassini prevedo vada in estinzione, per “cessazione della materia del contendere”.
Quanto alla storia dell’ “archivio” dei tabulati, la Boccassini ha ripreso un tema tirato in ballo da altri suoi illustri colleghi, fra i quali l’ex procuratore aggiunto della Procura Nazionale antimafia Alberto Cisterna ed altri magistrati e politici calabresi, primo fra tutti l’ex senatore Giancarlo Pittelli, che leggerà questo post dal carcere di Nuoro.
I tabulati che io ho acquisito ed elaborato come consulente tecnico dei pubblici ministeri sono sempre rimasti a disposizione dei magistrati che li avevano acquisiti ed utilizzati nei processi.
La mia attività è diventata sospetta e “criminale” (secondo alcuni, fra cui la Boccassini) solo quando io ho iniziato a svolgere delle indagini su dei magistrati calabresi, che ho trovato in combutta con dei mafiosi, con degli affaristi e con dei politici.
Una recente sentenza del Tribunale di Palermo ha annullato la sanzione che il Garante della privacy mi aveva inflitto, mettendo la parola fine a questo ritornello dell’ “archivio”, anche sul quale Ilda Boccassini ha perso una ulteriore occasione per stare zitta.
Avendola conosciuta bene, la cosa non mi sorprende affatto, posto che non è stata la prima volta e sono certo che non sarà l’ultima.
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“BOCCASSINI ERA CON CHI DEPISTÒ. MI ATTACCA SOLO PER ASSOLVERSI”
L’EX CONSULENTE TIRATO IN BALLO DALL’EX PM: “IL PENTITO SCARANTINO FU ACCREDITATO GRAZIE ALLA SUA COLLABORAZIONE CON LA BARBERA”
il Fatto Quotidiano – 21 febbraio 2020 – di Giuseppe Lo Bianco
Avvocato Genchi, Ilda Boccassini nei suoi confronti va giù duro, la definisce una persona “pericolosa per le istituzioni perché aveva creato un archivio di dati pazzesco”. Secondo la pm milanese lei vedeva “complotti e depistaggi ovunque”. A parte il fatto, piuttosto ovvio, che dopo 27 anni le indagini le hanno dato ragione, il depistaggio di via D’Amelio è ormai un fatto acclarato, lei come replica?
Piuttosto che infangare l’onorabilità di persone per bene, Ilda Boccassini farebbe bene a riflettere sul suo passato e chiedere scusa alle istituzioni per i suoi errori se non altro per rispetto di Giovanni Falcone del quale sosteneva di essere amica anche se, invero, nei tabulati dei suoi cellulari non ho trovato nemmeno il frammento di una sola telefonata con lei dai primi mesi del 1990 fino al 23 maggio del 1992.
Boccassini sostiene di avere contribuito a esautorarla dalle indagini: “Non mi piaceva il suo modo di lavorare, così fu allontanato –ha detto –Tinebra non voleva perdere la mia capacità lavorativa, quindi da quel momento Genchi non si è più occupato di stragi”.
Guardi, io non sono mai stato cacciato dal gruppo “Falcone Borsellino” e c’è una lettera che lo dimostra, inviata da Boccassini e Sajeva dopo che Arnaldo La Barbera aveva diffuso la voce che avevo abbandonato le indagini per “motivi di sicurezza”. Nella lettera i due pm comunicano a Tinebra di essere “sorpresi ” della mia decisione, perché avevo mostrato di essere “ben consapevole dell’onere e dei rischi dell’indagine”. In realtà io sono andato via per non avere voluto partecipare ai depistaggi delle indagini che La Barbera sia apprestava a compiere e che ha potuto portare alle estreme conseguenze solo grazie allo stretto rapporto che in quel periodo ha intrattenuto con Ilda Boccassini. Rapporto che ha imposto anche agli altri magistrati della Procura di Caltanissetta che a lei sono subentrati e che non hanno potuto fare a meno che continuare ad avvalersi di La Barbera che lei e solo lei aveva accreditato fino al punto da renderlo insostituibile nelle indagini di tutte e due le stragi.
E questo rapporto di fiducia con La Barbera che conseguenze ha avuto, secondo lei, per le indagini?
Ilda Boccassini a distanza di quasi un trentennio da quegli eventi non si rende ancora conto di essere stata – probabilmente senza volerlo – la prima vera responsabile dei depistaggi delle indagini sulle stragi che grazie a lei Arnaldo La Barbera ed altri, sopra e sotto di lui, hanno potuto compiere.
È un’accusa grave. Cosa glielo fa pensare?
La sua repentina fuga da Caltanissetta dopo avere contribuito ad accreditare il falso pentito Vincenzo Scarantino, il suo passaggio dalla Procura di Palermo e il ritorno a Milano, ne sono una conferma. E poi c’è un episodio personale.
Si riferisce alla pista americana?
Esattamente: quand’era pm a Caltanissetta, dopo avermi richiesto ed autorizzato ad analizzare i computer e i dispositivi informatici di Giovanni Falcone, oltre che ad acquisire i tabulati delle sue utenze cellulari, non mi ha consentito di verificare dalle sue carte di credito l’effettiva trasferta in America alla fine di aprile del 1992, che Falcone aveva scrupolosamente annotato nel suo data bank Casio, che delle manine di Stato su cui la Boccassini non volle mai indagare avevano provveduto a cancellare.
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Mi stavo domandando se non fosse opportuno, dati gli ultimi eventi e le recenti rivelazioni, sentire anche Genchi e De Magistris in commissione antimafia.
Spero ci abbiano già pensato e programmato.
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Oreste darling, nell’andirivieni tra passato e presente (e tra i continenti!) che mi ha catturato (i cui frutti spero di mostrarti quanto prima per discuterne con te – il fatto è che è una matrioska impressionante!) mi sovviene un dubbio che vorrei condividere e che, forse, trova un senso nel delirio Palamara.
Ricordi quell’avvocato nato a Palermo, con pericolose relazioni SLOT (un tipo al quale certamente non sarebbe stato il caso di affidare una BANCA!), il cui nome era uscito fuori in articoli su Consip e Amara, Bigotti e, soprattutto ENI), senza che poi se ne sapesse più nulla??
Alla luce di alcuni approfondimenti in vecchie storie sicule e del modo in cui sono stati fatti uscire alcuni nomi su quotidiani al puro scopo di lanciare messaggi, ma non è possibile che un’operazione del genere si sia ripetuta? col povero Amara “agnello sacrificale” (beeeee)?
È un fatto, tra l’altro, che il babbo di un importante magistrato, oggi divenuto assai devoto, si chiamasse Francesco…
ENI ENI ENI SEMPRE ENI (anche il babbo Francesco, che certamente ormai è defunto)! Altro che fratelli! Ci sono eredità paterne ben più rilevanti!
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Si fanno uscire nomi sui giornali: per avvertire qualcuno (ma al nostro già gli avevano fatto una perquisizione! anche se il primo articolo dell’Espresso è del 2017), oppure per dirgli di stare zitto. Oppure per una “guerra” in corso.
Fatto sta che Amara bela, e il nostro dispone di una banca (LUI dispone?).
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Né vanno dimenticati i rapporti molto stretti con i discendenti del vecchio direttore del Banco di Roma (QUELLO) che sono molto “americani” (anche italo-americani, se è per questo…). Hanno studiato a Houston..
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non sono così bravo nella decifrazione di messaggi che cifrati erano la specialità del poi fu Pecorelli;quindi i nominativi in chiaro please se vi sono fatti di supporto non falsati;
il 13 giugno 1997 il buon vigna ha ricevuto un versione LEGGERMENTE differente dalla vulgata corrente da trenta anni e le notizie GRATISSE sono state fornite da un ex collaboratore della buonanima di Mino ( non il generale CC deceduto chissà come ) ma di cognome pecorelli;
l’informatore aveva ottime frequentazioni con il ROS e in precedenza mi aveva avvertito che sarei stato contattato da un emissario del sisde per ” mollare ” un prefetto e in cambio avrei avuto la documentazione su qualche spicciolo ( 450 milioni ) pagati per occultare una strage;
ho dovuto riferire il tutto ad un gran maestro della massoneria ANCHE procuratore di perugia che poi ha archiviato TUTTO MA PROPRIO TUTTO ;
mi domando: è mai possibile che funzionari di polizia e magistrati abbiano protetto due stragi con UNDICI morti tra cui due loro defunti colleghi seppure mal tollerati ( prevalentemente Falcone ) ?
quale è la stata la ASSOLUTA necessità delle due devastanti stragi ;
si è vociferato della mafia russa che avrebbe operato in sicilia senza la obbligatoria autorizzazione di totò e di bernardo che comunque avrebbero dovuto chiedere la SUPERIORE autorizzazione a Roma;
finita questa SUPER CAZZATA vi è anche quella che gli AMERICANI erano nervosi bla bla bla di una persona super fidata;
Genchi è stato un funzionario di polizia in aspettativa sindacale senza stipendio per conto di un sindacato dei funzionari MA retribuito con compensi stratosferici quale consulente delle procure e sul punto ho avuto non poche perplessità di vario tipo;
Genchi insiste che il telecomando per via d’amelio è stato premuto dal castello utveggio sede non tanto coperta del sisde;
se ricordo bene è stato accertato con una presunzione maggiore delle affermazioni non riscontrate del genchi che il telecomando è stato premuto da un edificio vicino a via d’amelio;
allora questo ” cazzataro ” il 13 giugno 1997 ha proposto al vigna di aggirare le vulgate ed i pentiti ufficiali di stato con la loro pappardella governativa ed in forza di adeguato corpo indiziario univoco e sufficiente di penetrare il super fesso del sistema criminale dell’antistato, cioè il consiglio nazionale delle ricerche ed in tal modo sarebbe stata ricostruita una parte non secondaria dell’antistato e quantomeno avremmo spazzato via false notizie ed avremmo inchiodato l’antistato così da chiarire ANCHE e quantomeno Capaci
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