Le opere e le élite sono complementari

Le prime sono promosse dalle seconde (il lavoro frettoloso e “sotto schiaffo” pandemico di Colao è sostanzialmente un lungo elenco di “opere”), ne costituiscono il banco di prova, eventualmente, e, se esistessero le élite, le rinsalderebbero e diventando, sempre eventualmente, fonte di consenso.

Le élite italiane (se qualcuno negli ultimi venti anni ci avesse pensato a formarle e se da quando esistono i pentastellati questo fosse stato il loro primo obiettivo) potrebbero contribuire, nella fase drammatica europea/mediterranea/planetaria in cui ci troviamo, ad avviare un cambio paradigmatico culturale capace di indicare la strada ad una smarrita umanità. Ma questo non è stato e nessuno di chi aveva l’opportunità e l’ha mancata, può mettere bocca. A cominciare da Giuseppe Grillo da Genova che ha consentito (se non provocato) la Grande Dissipazione. Di Battista è nella stessa condizione di responsabile del disastro. Un po’ meno per il gioco delle parti, ma sempre responsabile.

Per anni, appannatisi (così molti hanno voluto che avvenisse non lavorando alla loro “coltivazione ed evoluzione”) i valori a cui gli ultimi anziani (e non tutti a cominciare da criminali nostalgici come Silvio Berlusconi o Lele Mora) si richiamavano (Resistenza/Ricostruzione/Imprenditorialità) e disperse scientemente (volendole alcuni sconfiggere) intuizioni felici della creatività olivettiana, si è parlato di modernizzazione del Paese (ma veramente non sapete quante volte questi pianuccoli/pianetti alla Colao sono stati ipotizzati e stilati come ordini del giorno risolutivi?) rimuovendo il dettaglio di esordio di questo post amaro ancor più di altri che, senza classe dirigente, le chiacchiere potevano solo che rimanere tali. Anzi favorendo solo, come si è visto, la criminalità organizzata, lei sì sempre pronta ad elaborare nuove strategie ed élite capaci di attuarle.

La Repubblica, viceversa, mi dispiace per voi, ha saputo solo ciclicamente cercare aiuto nelle università (piene di corrotti piazzati a loro volta dai partiti o dalle logge preposte a fare formazione strategica) e in qualche gruppo privato permeato e controllato a sua volta da cultura “multinazionale e finanziaria” chiedendogli di prestare manager e ministri quasi cercasse, attraverso i “professori”, una competenza certificata, una moralità garantita capaci di compensare la carenza di competenza e moralità della classe partitocratica al potere che veniva selezionata con criteri di fedeltà di banda e prioritariamente di disponibilità a favorire illeciti arricchimenti mediate saccheggio della cassa comune.

Nessuno, finita la spinta delle “scuole di partito”, ha pensato che senza percorsi formativi adeguati alle complessità emergenti, previste e prevedibili, ci saremmo trovati nel vicolo cieco in cui siamo: la complessità planetaria ha fatto irruzione e quattro ragazzotte e ragazzotti che nel frattempo si sono insediati nella maggioranza e nell’opposizione, la fanno da padroni e minacciano perfino di usare la forza se qualcuno dovesse porre, anche democraticamente, il tema della loro inadeguatezza al compito.

Compito che sembra ormai impossibile da essere affrontato da personaggetti (aiutaci Crozza) finti litigiosi, in realtà veri ladri di Pisa, propensi a conservarsi nel privilegio bunkerizzato dei soldi e del potere alla vigilia della Grande Tempesta, perfetta o meno risulterà essere.

La scelta e la decisione (due momenti diversi) delle “cose da fare” e “a che fine” per incanalare positivamente le grandi forze in gioco (perché di questo si tratta pandemie comprese), siano esse la risultante di storici avvenimenti esterni o la concausa dei profondi rivolgimenti interni che potrebbero verificarsi in tempi brevi, è questione vitale.

Ma saper fare scelte sulle priorità quando ormai si ha l’acqua alla gola e si è nel Titanic in affondamento, non sarà cosa semplice. L’individuazione delle forze trainanti, dei gorghi, dei mulinelli e delle paratie stagne (per continuare nella metafora del dedalo in cui ci si trova quando un bastimento affonda), avrebbe bisogno di una capacità di tenere conto dei fattori internazionali, delle tendenze (se ci saranno) prevalenti nel Mondo, a cominciare, penso io, da cosa sta accadendo nell’Europa del Sud, Mediterraneo compreso, lago a nord dell’Africa. Cioè capirne di “politica estera“. Posizione occupata, per tornare all’inadeguatezza dell’élite, da Luigino Di Maio.

Oreste Grani/Leo Rugens