Luca Palamara da Santa Cristina d’Aspromonte. Calabria
Ad alcuni amici e non ad altri.
Quando in tempi non sospetti evidenziavo la complessità di figure come il magistrato Luca Palamara, sottolineando che “non era” romano (lasciate perdere l’anagrafe, dicevo) ma calabrese e in questa classificazione territoriale non mi permettevo di offendere niente e nessuno ma richiamavo l’attenzione su un mondo a più letture, anticipavo ciò che oggi sarà sotto gli occhi di tutti, avendo il magistrato chiamato, a sua discolpa, mi sembra, più di 130 testimoni. Palamara con il suo plotone di convocati, mi comincia a diventare quasi simpatico. Ho scritto “quasi”. Non è proprio uno Zamorani, ma poco ci manca. Comunque gli ipocriti di quel mondo stessero attenti. Perché, attenzione, guai a ritenere Palamara, il figlio d’arte di Rocco, uno che accetterà di fare il capro espiatorio.
Tenete conto che sono talmente vecchio (e vissuto) che ho perfino conosciuto (e bene) l’autore del pezzo-intervista che ho recuperato nella rete e che trovate, gratuitamente, a seguire: Franco Oliva. Oliva l’ho conosciuto bene quando era repubblicano “pacciardiano” e tanto bene da essere stato, con lui, a Santa Cristina d’Aspromonte, nel lontanissimo biennio 1966-67, dove ho incontrato anche qualcuno della famiglia Palamara. Quelli all’epoca in loco. In questa fase di “rifondazione” del CSM e dell’ANM bisogna leggere e ancora leggere per capire a quali livelli di complessità si può arrivare quando si lasciano crescere i grovigli bituminosi di questo Paese. Comunque, intervista interessante (Oliva è sempre stato un raffinato professionista cresciuto, tra l’altro, alla scuola del Mondo del Gruppo Rizzoli – Corriere della Sera), elaborata e svolta da “calabrese a calabrese”, forse anche, se ben ricordo, tra loro parenti. Ed era il 2011.
Oreste Grani/Leo Rugens