L’Italia in odore di mafia? Direi che la puzza ci soffoca

Piera Aiello, la testimone di giustizia, eletta alla Camera nella fila del M5S, ha deciso di riappropriarsi del proprio volto. Cognata di Rita Atria, la giovane che si dissocio’ dalla sua famiglia mafiosa morta sucida dopo l’omicidio di Paolo Borsellino, Piera Aiello oggi ha 51 anni; da 27 vive sotto protezione, in una località segreta fuori dalla Sicilia.
ANSA

Questo post oltre ovviamente alla memoria dei caduti, è dedicato ad una donna che, in questo ultimo anno trascorso, ho avuto l’onore di conoscere personalmente.

Mi riferisco alla cittadina-parlamentare Piera Aiello, di cui altre volte vi ho scritto. Oggi, maledetto 19 luglio, in particolare a lei penso e alla sua vita vissuta – drammaticamente – soprattutto dopo la morte di Paolo Borsellino. Che a lei teneva tanto.

Veniamo all’oggi e con speranza e determinazione ai futuri possibili.

9 aprile del 1991 il Corriere della Sera, testata all’epoca certamente più autorevole (e con più lettori) di quanto lo sia oggi, lancia il titolo di apertura in prima pagina: “L’Italia in odore di mafia“.

Spero che a nessuno sfugga il valore della data: notoriamente il 1991 viene subito prima del 1992 e del 1993. Cioè quello che in molti oggi ricordano (per quanto tempo ancora?) essere stato il biennio stragista in cui muoiono Falcone e Borsellino. E non solo loro ovviamente. Oggi è appunto il 19 luglio e noi continuiamo a voler ricordare Borsellino e Falcone. Promettendo, per quel poco che ci compete e sappiamo fare, di non mollare. Anzi, estendendo il fatto concettuale del comportamento “mafioso” a quelli che, per l’approccio e per lettura tradizionale, mafiosi non dovrebbero essere considerati.

Alcuni di voi avranno notato che quando scrivo di me ammetto di essere un italiano provinciale. Anzi, lo scrivo spesso perché lo penso. Certamente non ho un vissuto internazionale. Al massimo ho avuto maestri che sono stati cittadini del mondo. A cominciare da Randolfo Pacciardi per come non aveva temuto di andare in Spagna a difendere le ragioni della Repubblica e dell’antifascismo, passando poi negli USA, via Marocco (è a Pacciardi e a sua moglie che Michael Curtiz si ispira nel mitico film “Casablanca“). Nel dopoguerra, da Ministro della Difesa della ricostruzione, aveva dovuto visitare mezzo mondo. Poi, per un periodo intenso, ho avuto come mentore e ispiratore Paolo Milano di cui si poteva pensare ciò che si voleva ma certamente non che fosse un provinciale. Pompeo De Angelis non ricordo dove non fosse stato a cominciare dall’Algeria insanguinata, passando per il Cile, finendo nel Portogallo prima e dopo la rivoluzione dei Capitani o dei garofani rossi. E poi ho avuto modo di frequentare figure femminili che avevano viaggiato ovunque per il mondo. Mia moglie Ariela prima di legarsi al sottoscritto provincialotto era stata in tutti i continenti. Pertanto, quasi “da fermo”, ho vissuto una intera vita sentendomi/ritenendomi uno specialista curioso solo del mio Paese, che, viceversa, ritengo di conoscere molto bene. Non parlo dei borghi, dei musei grandi e piccoli o delle trattorie fuori porta ma di quello che accaduto in questa nostra Italia da quando sono stato in grado di intendere. A forza di parlare del mio provincialismo una persona intelligente che ho conosciuto recentemente mi ha fatto omaggio del libro di Giorgio BoccaIl Provinciale – Settant’anni di vita italiana” uscito nel 2007. 

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Mi hanno colpito il gesto sensibile, il sottotitolo del testo “Settant’anni (di fatto la mia età) di vita italiana” e il fatto che Giorgio Bocca, proprio quest’anno sarebbe divenuto un centenario. Uno che non aveva fatto il militare a Cuneo (come viceversa un personaggio di Totò) ma che in quella cittadina c’era nato, il 28 agosto 1920. Così, grazie a questo post e al dono ricevuto, sono il primo che lo ricorda e comincia a scriverne di questo grande italiano/piemontese veramente cazzuto. Un provinciale quindi ma grande combattente a cui, mentre mi godo il libro che conoscevo ma non avevo mai letto, dedico a voi alcuni ricordi di quanto, anche i suoi occhi, avevano dovuto vedere. Episodi che mi sovvengono pensando a Bocca e ai personaggi a cui aveva dedicato interviste e articoli coraggiosi. Sono anni determinanti per capire la degenerazione partitocratica (ancora in essere), l’integrazione tra l’economia della corruzione e l’economia del crimine nelle sue varie e articolate espressioni. Sono anni in cui si consolidano gli intrecci di cui – proprio in un’intervista che gli viene fatta – parla Bocca con grande preveggenza politologica. Chissà se si dice così. Ed era il 12 febbraio del 1975.

“Me l’immagino un’Italia più decomposta: si apre la radio e si ascolta che il ministro Colombo, o il ministro Marcora, hanno preparato i loro programmi di rilancio economico (quanto hanno da fare, da decenni, questi governativi sempre impegnati a rilanciare! ndr), che il ministro Malfatti ha tenuto un applaudito discorso di fronte al parlamento europeo e che il Consiglio nazionale democristiano ha preso atto della funzione insostituibile del partito. E intanto – continuava Bocca – ci si è ormai abituati a vivere in città dove si spara, si rapisce, si rapina, si ruba, dove certi quartieri, intere provincie sono ormai sottratti al controllo legale”.

Che all’inizio degli anni Novanta (sarebbe quando vengono uccisi Falcone e Borsellino e tanti altri) siano sottratte al controllo legale intere regioni (certamente Sicilia, Calabria, Campania) è dichiarazione ufficiale dei magistrati e di alti funzionari dello Stato preposti alla lotta contro il crimine organizzato. E poi lo ha già scritto Grani nel post CHI E COSA HANNO TIRATO LA VOLATA AL BIENNIO STRAGISTA 1992-1993? che oggi, a buon diritto, ripubblico paro paro.

Se sapete mettere insieme la prosa di quel vicino-lontano 16 agosto 2017 (facciamo belli belli tre anni) e quanto non cesso di scrivere per richiamare l’attenzione sulla fase contemporanea (ogni tanto, ad esempio, ancora oggi qualcuno si sveglia e si industria finanziariamente per trovare mezzi sufficienti a comprare il Corriere della Sera) capirete perché troppe analogie (la variante affascinante è data dalla pandemia in essere) mi allarmano e spero di avere strumenti sufficienti per richiamare la vostra attenzione sui pericoli imminenti. Lasciare questi spunti è il mio modo di onorare Paolo Borsellino che, con troppi altri, andò a pagare quanto non si faceva  a che la violenza mafiosa non dilagasse. Loro, i nostri eroi, sono morti e in troppi ancora comandano grazie a quelle morti.

Comunque “qui siamo” o, come si diceva tempo addietro, “hic manebimus optime“.

Oreste Grani/Leo Rugens

e il prof. Pasquale Saraceno non era sicuramente un fesso

 


CHI E COSA HANNO TIRATO LA VOLATA AL BIENNIO STRAGISTA 1992-1993?

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L’ultimo libro di Stefania Limiti, La strategia dell’inganno, ha una sottotitolazione (1992-93. Le bombe, i tentati golpe, la guerra psicologica in Italia) particolarmente impegnativa. L’autrice definisce quel biennio il più nero della nostra Repubblica. Classifica difficile da stilare, se si ricordano altri bienni. Comunque certamente tragico quello a cui la specialista di cose complesse si è dedicata scrivendo questo libro più attuale che mai. La controcopertina del volume recita: “La grande crisi di sistema che colpì l’Italia tra il 1992 e il 1993, e che trovò soluzione nella nascita della Seconda repubblica, è segnata da avvenimenti tragici dai risvolti ancora non chiari. Il cosiddetto golpe Nardi, l’assalto alla sede Rai di Saxa Rubra da parte di un gruppo di mercenari in contatto con la Cia, le stragi di Milano, Firenze, Roma, quelle mafiose di Palermo, il black-out a Palazzo Chigi, e in mezzo Tangentopoli, gli scandali del Sismi e del Sisde, la fine dei partiti storici, la crisi economica. La sequenza di avvenimenti di quel biennio ricostruita in questo libro ha qualcosa di impressionante e fa pensare a una regia che passa attraverso le nostre stesse istituzioni. Come dimostra l’autrice, tutti questi fatti portano il segno di una grande opera di destabilizzazione messa in pratica anche con la collaborazione delle mafie e con l’intento di causare un effetto shock sulla popolazione, creando un clima di incertezza e di paura, e disgregando le nostre strutture di intelligence. Centinaia di testimonianze, inchieste, processi hanno offerto le prove che in Italia è stata combattuta una guerra non convenzionale a tutto campo e sotterranea. Furono azioni coordinate? E se sì da chi? Non lo sappiamo. Dì certo tutte insieme, in un contesto di destabilizzazione permanente, provocarono un ribaltamento politico generale. Un golpe a tutti gli effetti“.

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Io, nella mia semplicità, dico che, avvicinandosi al biennio in oggetto, ci sono anni altrettanto terribili, caratterizzati da decine e decine di scandali, ammazzamenti mai spiegati in quantità, intrecci rizomici tra politica e criminalità organizzata da confondere il più certosino dei cacciatori di spunti investigativi. Inoltre, all’inizio degli anni Novanta, già si può parlare (direi affermare senza ombra di dubbio alcuno) di intere regioni (Campania, Calabria, Sicilia) sottratte al controllo legale. Queste affermazioni vengono fatte paradossalmente nelle stesse ore (siamo nel 1987) in cui si dichiara che l’Italia ha certamente superato l’Inghilterra divenendo la “quinta potenza economica” del Mondo dopo Stati Uniti, Giappone, Germania Occidentale e Francia. Questa economia florida viaggiava tutt’uno con l’espansione di quella sommersa del crimine in particolare spinta dai fatturati della droga e della vendita delle armi. Quelle che era “lecito” vendere e le altre piazzate con mille trucchi e triangolazioni. In questo quadro che non si può definire in nessun modo (positivo? negativo?) si colloca un fenomeno che avrebbe dovuto allarmare, se fossero esistiti, i custodi della Repubblica: l’avventarsi di finanzieri d’assalto, sempre legati al potere politico, sul “boom” borsistico i quali propongono il modello di una economia privatistica che fanno della Borsa e dei suoi derivati il tempio della nuova religione del privato. Gli adepti di questo credo si moltiplicano in Italia dove si sostiene (e ci si fa vanto) che anche gli operai e le casalinghe, ormai giocano in Borsa e ne seguono i listini. Comincia la grande stagione dei Bagnasco, dei Cultrera, degli Sgarlata. Tutti nomi che oggi dicono poco o niente. Il primo è l’inventore dell’Europrogramme (titoli atipici garantiti da immobili, centomila sottoscrittori, milleduecento miliardi di raccolta), il quale, si diceva che si mordesse le mani per aver fallito il colpo dei colpi del mercato delle testate comprate/vendute: l’acquisto del “Corriere della sera”. Il colpo l’aveva tentato alla fine del 1981, con l’aiuto di Giulio Andreotti. Ma nel 1985 l’Europrogramme venne messo in liquidazione, e nel 1986 (come vedete ci avviciniamo all’Italia del Biennio nerissimo 1992-93!) ben 75.000 sottoscrittori cazzoni restano in attesa dei rimborsi. Nel gennaio 1989 Orazio Bagnasco si ritira, cedendo agli stessi sottoscrittori l’Europrogramme  per la cifra simbolica di un franco svizzero. Ma i beni immobiliari si dimostrarono di difficile collocazione e certamente i sottoscrittori persero almeno metà dei loro risparmi. Vincenzo Cultrera fonda nel 1978 (l’anno del rapimento Moro) l’Istituto Fiduciario Lombardo che nel 1985 aveva già raccolto da cinquemila sottoscrittori, 160 miliardi di lire. Ripara all’estero quando non è più in grado di far fronte agli impegni  e la sola soddisfazione dei sottoscrittori è di vederlo condannato nel 1988. Luciano Sgarlata fonda “Previdenza” , investimenti ad alta redditività per piccoli risparmiatori, che accorrono in ventimila, sottoscrivendo 270 miliardi. Viene arrestato nel maggio 1986 con l’accusa di appropriazione indebita, falso in bilancio, truffa, associazione a delinquere. Ottiene gli arresti domiciliari nella sua villa nell’esclusivo quartiere romano dell’Olgiata, dove muore d’infarto nel 1991. Vedete come ci avviciniamo al 1992?

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Fidandosi di questi titoli atipici, si calcola che circa centocinquantamila cittadini abbiano perso 1.800 miliardi! Questo terrore finanziario, ben indotto, muove le mandrie dei risparmiatori/giocatori verso il boom borsistico. Nel lontano 1982 erano quotati in Italia titoli per circa 20 mila miliardi di lire che alla fine del 1984 salivano a 52 mila miliardi, per diventare 195 mila alla fine del 1986. Cifre che devono far riflettere su quanta ricchezza entra nel giro. La politica interrogata se ci fosse molta speculazione dietro a questi numeri, risponde: “Non credo. C’è fiducia nella congiuntura economica e nel miglioramento dell’economia italiana. E soprattutto c’è denaro. Molto denaro. Tanto quanto non c’è n’è mai stato prima. Stiamo vivendo un’occasione unica per valorizzare la Borsa Italiana e portarla al livello delle grandi piazze internazionali“.

In realtà spero capiate che era tutta una messa in scena che doveva favorite esclusivamente gli speculatori. Era la stessa politica che, a distanza di poco, avrebbe convissuto con la stagione delle stragi e di Tangentopoli. Il boom borsistico, artificiosamente incoraggiato dall’ottimismo della partitocrazia, corrotta e corruttrice, si sarebbe esaurito e sarebbe iniziato il declino senza alcun reale modificazione dell’economia italiana. Questa sostanziale condizione artificiosa dei mercati dei capitali avrebbe infatti, da quel momento in poi, favorito solo la ripulitura del denaro sporco integrazione tra economia della corruzione e quella reale e robusta del crimine. Vedremo se mi sbaglio quando non potrà non scoppiare il più grande scandalo della “storia patria” relativo alle prassi consolidate per il riciclo.

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I soldi giravano e sembrava un Paese felice ma in realtà si stava assestando le fondamenta di quello Stato colluso con l’illecito che ancora (sempre di più) potete riconoscere negli avvenimenti contemporanei. Se si vuole capire non tanto le dinamiche (in questo il libro della Limiti è un vero gioiello) eversive ma come si sia deteriorato “l’ambiente” prima di tali attività destabilizzanti, sarebbe interessante avere forza e volontà di ripercorrere il susseguirsi di eventi, nei rapporti tra corruzione e politica, tipo i “fondi neri dell’IRI”, le “carceri d’oro”, senza rimuovere Ustica, lo scandalo delle Ferrovie che culmina con l’assassinio (28 proiettili) di Lodovico Ligato o il così detto Irpiniagate. Tanto per citare un po’ di roba.

Questi episodi gravi e complessi (ognuno disgustoso per le complicità che affiorano) si intrecciano con una serie di vicende minori e con quella che verrà definita dal procuratore della Repubblica di Napoli, Franco Roberti, “egemonia militare” del gangsterismo urbano  che scatena anche faide interne ai clan e miete vittime innocenti pur di riaffermare il proprio controllo del territorio e dei vari business. Eravamo di fronte ad una strage a Napoli ed era l’aprile del ’91. Come vedete – continuo a ricordarvelo – ci avviciniamo non solo al biennio caro alla specialista di cose complesse Stefania Limiti ma al grande rivolgimento di Mani Pulite. Egemonia militare quindi che a differenza di quanto lo Stato moderno si era prefisso di fare (sottrarre ai privati il monopolio della violenza come banalmente si aveva nel Medio Evo), la post-modernità italiana che si afferma in quegli anni sta nella rinuncia a tale monopolio in favore delle milizie scelte della Mafia e della Camorra che iniziano il loro arruolamento sul territorio dai fanciulli poco più che decenni.

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La ‘ndrangheta, in quanto ad egemonia militare, è ancora più forte e radicata delle criminalità campana e siciliana. Non credo che da allora (l’esternazione di Franco Roberti) le cose siano migliorate. Lo Stato italiano ci prova grazie a tanti/pochi Nicola Gratteri ma la situazione per quanto riguarda l’egemonia militare penso che sia veramente imbarazzante.  Dicevamo che gli scandali vanno letti come raccordo da un decennio ad un altro accompagnati da un altro elemento che non sottovaluterei per capire la gravità della situazione: la sostanziale immunità per gli scandali precedenti apre la strada a quelli successivi.  I trucchi giudiziari, le abilità di avvocati ammanicati, tanti soldi per rallentare i già lenti itinerari giudiziari, sono fattori che non vanno disgiunti da quanto poi accade negli anni successivi. Veramente i mafiosi si incazzano quando qualcuno li vuole punire perché le complicità, i patti, sottoscritti o impliciti, non prevedono il prezzo da pagare. In un clima in cui la giustizia è una vera rappresentazione (parlo per alcuni, ovviamente) dove si sa come si va a finire quando si procede in Appello o in Cassazione, i criminali impastati con la politica decidono di forzare la mano ogni volta che gli sembra che le cose non siano come dovrebbero essere. Ad esempio lo scandalo dei petroli degli anni Settanta dà luogo a eventi drammatici (di cui nessuno ha più ricordo!) all’inizio del decennio successivo (suicidio del col.Carnevale, ad esempio, il 18 marzo 1983), arresti nel corso dell’anno dei gen. Giudice e Lo Prete, comandante e vice-comandante della GdF, del luogotenente di Moro (ormai morto) Sereno Freato e del suo amico e finanziatore, il petroliere Bruno Musselli (ma chi se lo ricorda?), dell’ex sottosegretario Danilo De Cocci (e di questo Carneade a chi può interessare?) ma nei dieci anni successivi si aggiusta tutto e vengono assolti quasi tutti o condannanti a pene leggerissime. Non perché fossero vittime di errori giudiziari. Questa prassi avvelena l’ambiente e crea le condizioni perché alcuni dicano sostanzialmente: ma solo con noi vogliono fare i duri?

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È una mia idea bizzarra come quasi tutte le mie idee ma quella di come vanno a finire sempre “in Cavalleria” le gravi colpe dei ladri di Stato, penso che sia una questione strategica che ha aumentato la gravità dei comportamenti criminali. Gli scandali cominciano sempre a dramma, finiscono sempre in burletta o nell’oblio. Ricordatevi ad esempio la vicenda del Banco Ambrosiano (con la tragica fine di Roberto Calvi impiccato a Londra nel 1982). All’inizio degli anni novanta stavamo ancora a “caro amico” delle comunicazioni giudiziarie inviate anche a personaggi di cui poi nessuno si ricorda essere stati coinvolti nelle vicende gravissime. De Benedetti e Ciarrapico, ad esempio. Ma la vicenda non ha avuto esito sostanziale decenni dopo. Tecnicismi, lentezze, atti proditori del potere politico. Pensiamo ad esempio all’inchiesta del giudice Carlo Palermo su traffici d’armi e droga. Finisce con il suo trasferimento da Trento a Trapani. Avete idea di cosa voglia dire? T&T: Trento e Trapani!!!!!!! Non a caso il giudice, a Trapani, aprile del 1985, sfugge ad un’attentato. Vengono uccise al posto suo una madre con due bambine!!!!!! E lui si ritira dalla magistratura dopo inchieste che lo vessano in quanto protagonista di istruttorie attivate senza spirito equo. E’ lui il cattivo. Siamo al 1989-90! E la criminalità raccoglie segnali.

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Mi fermo ma vi tornerò a parlare di Fondi Neri dell’IRI, di Zampini, di Trane, di Teardo, di “carceri d’oro, di Irpiniagate, di Ligato, di Mondiali ’90, di BNL, di Ustica. I silenzi, le non condanne, le trame di complicità evidenti, preparano il biennio 1992-93. E con esso le bombe, i tentati golpe, la guerra psicologica in Italia. Guerra che, a mio giudizio, comincia e viene considerata lecita (se non necessaria), quando fai trovare uno impiccato sotto un ponte a Londra e alla fine nessuno paga per il delitto.

Oreste Grani/Leo Rugens