Dove sono le donne nel Clan Conte e perché non ce ne sono?
Cercherete inutilmente il femminile in questa mappa di potere che ad oggi appare esclusivamente maschile. Può sembrare cosa minore ma, fidatevi, è il cuore del limite della squadra in aggregazione. Il collante, intendo il tessuto intelligente collettivo, se anche ci fosse, è non solo maschile ma pericolosamente obsoleto e strabico. Tutto quello che la gola profonda ha descritto al giornalista che, ipotizzo (questo faccio per il mio piacere) cercava banalmente una qualche bugia che divenisse buccia di banana per l’esecutivo e quindi per questa maggioranza parlamentare, ci porta dritto per dritto alla verità che si mimetizza in questi grovigli bituminosi di interessi e relazioni personali, alcuni leciti, altri al limite, altri pericolosamente sconfinanti verso i santuari criminali dell’illecito: le donne, non solo sono escluse ma quando sono presenti, al massimo, “inciuciano”. O si ritiene, cosa ancora più grave, servano a fare altro. Su questa questione del femminile espulso da una armonioso equilibrio di responsabilità e consapevolezza (questa potrebbe essere la funzione di transizione affidata a Giuseppe Conte) la bolla esploderà. Quanto prima. Non sul risultato elettorale quindi che potrebbe fare banalmente da innesco.
Si cerca una bugia e – secondo H. Melville – si può trovare la verità. E la verità destinata a nascondersi in questa fitta tessitura, se affiorasse, potrebbe lasciare sconcertati soprattutto se, come la storia di questo sofferto Paese lascia ipotizzare, sia stato possibile, lecitamente o meno, cristallizzare contenuti dichiarativi (e di opinioni intime) di questo plotone di fedeli “contiani”. Che hanno, nei mesi trascorsi, parlato tantissimo, con migliaia e migliaia di persone (come è ovvio e doveroso se uno si applica alla propria missione) ma che nel parlare abbiano affidato alle macchine autoapprendenti, scelta lessicale dopo scelta lessicale, la lettura univoca del sentimento di questo gruppo.
Torno a chiedermi preoccupato: dove sono le donne, e perché non ci sono?
Oreste Grani/Leo Rugens
Lei coglie un aspetto culturale fondamentale, ritengo di portata storica, della possibile transizione post-democratica italiana (tutto ciò è tendenziale e non irriversibile):
1) nella misura in cui algoritmi e macchine logiche determinano sempre più la comunicazione politica di potere, spiazzano il femminile come contenuto vitale, contraddittorio rispetto alla macchina riproduttiva tecnologica, anche se paradossalmente (paradosso apparente) esaltano “le donne” e il loro ruolo decisionale nell’ambito del ciclo produzione-consumo
2) trovano una strada spianata nel femminismo che si appoggia ancora al vocabolario vetero-socialista di una uguaglianza che è però giocata solo ed esclusivamente come “rivendicazione”
3) l’abisso storico-sociale che la lunga crisi ha aperto nel 2008-2009, poi accentuato dall’ideologismo “occidentale” degli anni Dieci, è arrivato ad un punto di soglia con il “paternalismo sanitario-securitario contro immigrati, stranieri, contaminazioni di ogni tipo (con tutto ciò che di “iper-identitario” questa mozione paternalistica comporta).
4) un paternalismo statale non patriarcale è il brodo di cultura delle tirannie che promettono una salvezza, una palingenesi nello Stato e il nazionalsocialismo e il fascismo furono movimenti a forte connotato omoerotico, nati sul cameratismo degli ex-combattenti spesso combattenti mancati, fortemente anti-patriarcali, soprattutto il primo (il rovesciamento simbolico era quello operato contro il Dio-Padre ebraico-cristiano)
PS: Ottimo articolo dell’Espresso!
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Effettivamente, nazismo tedesco e fascismo italiano si sono caratterizzati anche per l’uso strumentale della questione femminile, esaltandole solo apparentemente e del tutto a senso unico il ruolo sociale, con le varie istituzioni (in Italia) tipo la Casa della Madre e del Fanciullo ecc…
Strutture che avrebbero potuto essere “reinterpretate” in senso democratico come rete territoriale di presidi socio-sanitari e che invece sono state viste soltanto come pozzi di S.Patrizio di denaro pubblico, mucche da mungere fino alla loro inevitabile soppressione negli anni 70.
Conciliare figli e lavoro è oggi, per le donne, impresa assai difficile anche dal punto di vista economico: ad esempio, dopo la fine dell’anno scolastico a giugno i centri estivi per i bambini comportano un costo per le famiglie e per chi non può permetterselo non resta che affidare i propri figli alla strada, ritenendo che questa possa essere “maestra di vita”.
All’interno di ragionamenti di questo tipo si può collocare anche la surreale polemica di questi giorni su chi debba misurare la febbre ai bambini\ragazzi che vanno a scuola (le famiglie o gli insegnanti?), tenendo conto, però, anche delle mutazioni socio-culturali legate all’ideologia neo-liberista, che sembra aver reso la maternità più uno status symbol che un atto di responsabilità.
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Buonasera gentile lettore. Ritengo lei sia il Ciaccia che penso io. A maggior ragione gradisco il suo intervento puntuale e utile a continuare a ragionare di transizione.Di transizione che ci obbliga a superare quanto il bisogno di libertà spingeva a fare contro gli stati assolutistici; l’idea di fraternità vista ormai insufficiente a riconoscersi tra pari come esseri umani; l’uguaglianza come speranza per tutti di aspirare ad una propria vita.Si delinea il tempo della consapevolezza , della condivisione e, soprattutto, dell’equità. Tre parole scritte sulla bandiera che tarda ad essere issata per guidare la riorganizzazione del fare umano e delle sue logiche. Grazie ancora per la scelta di scrivermi.
O.G.
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Donneeeeee, se ci siete – cortesemente – battete un colpo. Possibile che di donne in-politica non ci sia una che capisce cosa stia accadendo? O che, capendolo, voglia dire la sua? Oreste Grani imbarazzato per tanto silenzio complice.
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