Sedicente analista? Mi dite, calmi calmi, che cosa vuole dire? Autodidatta lo capisco, sedicente un po’ meno

Sedicente analista d’intelligence? Come se stessimo riparlando delle “sedicenti” Brigate Rosse? Quando sento usare giornalisticamente il termine “sedicente” mi si riacutizza il morbillo. Tenete conto che nessuno che operasse realmente “a contatto” con i terroristi o immerso nella palude che li accoglieva e proteggeva, pensava una stronzata del genere: le BR esistevano ed erano quello che dicevano di essere, cioè dei comunisti pronti, in quella contingenza storica, ad impugnare le armi. 

Le  pistole e qualche raro fucile mitragliatore Mab – ebbe a dire Renato Curcio a proposito delle prime armi nelle mani dei brigatisti – erano residuati bellici conservati da compagni partigiani che ci li consegnarono spesso con cerimonie commoventi. Ho un ricordo tenero e malinconico di quei vecchi comunisti, ormai scomparsi, che vivevano l’amarezza della disillusione; consegnarci – concludeva il fondatore delle BR – la pistola con cui avevano combattuto i fascisti trent’anni prima era come passarci un testimone“. Niente “sedicenti” quindi. Sento pertanto odore di “bruciato” quando nei telegiornali si comincia a parlare della signora Cecilia Marogna come di una “sedicente” analista di intelligence o comunque una che frequentava l’ambiente.

Aspettiamo le carte, diamo tempo al tempo e poi vediamo se la signora inventa tutto o se, viceversa, era organica a quell’approccio “privatistico” che nelle nostre agenzie di intelligence tarda ad essere liquidato. Anche se mi sembra di capire che il successore all’AISE di Luciano Carta (sardo di Bolotana, comune a soli 30′ di macchina da Pattada, altro comune sardo, dove, mi sembra, sia nato l’ex cardinale Giovanni Pecciu), Giovanni Caravelli ci sta mettendo le mani per, alla fine della fiera, cambiare i paradigmi culturali del Servizio. Da troppo tempo infatti, in troppi, con il denaro pubblico, una volta piazzati nei “servizi”, si adoperano per triangolare tra il soggetto istituzionale (con le sue finalità codificate), esponenti della società civile (che si prestano spesso convinti di servire il Paese) e fini “numismatici”, direbbe un mio amico. Queste triangolazioni quasi sempre finiscono per tornare utili all’interesse privato dei coinvolti e quasi mai (come sono tollerante oggi) per quello della comunità. Comunità come Repubblica e luogo altro di ciò che è esclusivamente proprio. Troppo spesso (non ho scritto sempre per non essere il solito estremista) si ha riscontro di comportamenti decisi in funzione di rapporti fiduciari di cortissimo raggio (da una tasca all’altra, da un letto all’altro, da un proprio vizio e quello simile dell’altro) che determinano forme di solidarietà ad esclusivo beneficio dei soli componenti del “gruppo“, della “cordata“, della “banda” di appartenenza.

Non a caso sono gli stessi nomi che, negli anni, ricorrono. Nomi e prassi in cui si confonde sempre il “proprio” con il “comune” e il “pubblico” con il “privato“. E sempre in una sola direzione: quella del peculato, della distrazione, dell’assenza di giustificazioni convincenti. Mai, viceversa, negli anni, un gesto di generosità unilaterale e in spirito di servizio

La signora Marogna venga accompagnata a spiegare, in modo comprensibile a tutti, cosa faceva e per chi. “Cosa” si potrebbe arrivare a capirlo dai riscontri. Per “chi” lavorasse è, paradossalmente, materia più complessa. Visti i nomi che la sedicente analista ha già fatto di sua spontanea volontà prima di essere arrestata, sarebbe il caso, senza morbidezza alcuna o distogliendo lo sguardo dall’interesse della Repubblica, che questa volta si andasse fino in fondo: Papa Francesco per capire chi prova a danneggiare lui e la Chiesa e lo Stato Italiano, una volta per tutte, per saldare il conto con chi, da troppi anni, è libero di mestare. Arriviamo a pensionare che può essere pensionato a che mai e poi mai possa essere considerato un modello encomiabile. 

Forza e coraggio che il fianco (se lo si vuole vedere) è scoperto.

Oreaste Grani/Leo Rugens