Segui i reagenti e trovi il denaro

La coraggiosa Gloria Riva, membro del consorzio di giornalisti che ha pubblicato i Panama Papers, sa benissimo a che guaio o pericolo si espone attaccando le aziende farmaceutiche; personalmente inoltre le sono grato perché conferma un dato che possiedo da qualche mese, oltre a farmi sentire meno solo.
Che denunciare le farmaceutiche sia molto impegnativo e rischioso l’ho compreso il giorno in cui davanti all’ingresso del Ministero della Salute che sorge sulle rive del Tevere, all’epoca era presieduto da Giulia Grillo, mi imbattei in un gruppo di ceffi davvero inquietanti. Fosse la suggestione o non so che altro, i soggetti mi parvero deformi e dagli sguardi truci, ma solo dopo avere saputo che si trattava di rappresentati di case farmaceutiche riunitisi per un convegno, mi fu tutto chiaro.
Faccio presente che la dottoressa Giulia Grillo, oltre ad avere commissariato le ASL calabresi, osò chiedere conto alle farmaceutiche di circa un paio di miliardi che lo Stato regalava loro, attirandosi perfino le ire dell’ambasciatore statunitense (https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2019/04/18/news/big-pharma-usa-contro-il-governo-italiano-pronti-a-investire-ma-non-ci-ascoltano-1.33696222). A ripensarci mi chiedo se il Ministro non sia stato indotto a fare una scelta suicida per assecondare appetiti altrui.
Ebbene, la Riva, nel suo articolo denuncia ciò che un giovane e valente virologo mi aveva suggerito al tempo della prima chiusura, fosse marzo o i primi di aprile non saprei: “alle farmaceutiche non interessa minimamente spendere miliardi in vaccini perché il guadagno non sta lì, quanto nella produzione dei reagenti per i test”. EUREKA
Oggi, a metà ottobre, quando sento parlare di milioni e milioni di test al giorno nel mondo, test fatti pagare in Italia davvero cari, da 20 a 150 euro in strutture private, mi confermo nella certezza che BIG PHARMA è un pericolo serio per la ricerca scientifica a causa della sua capacità e propensione a corrompere come la storia insegna.
Alberto Massari


Quello che ha detto il giovane e valente virologo è esattamente quello che va ripetendomi da circa un mese (da quando, cioè, sono iniziate le incredibili file ai drive-in, a Roma) un mio amico, medico ospedaliero in una grande struttura pubblica romana (che, tra l’altro, è stata più di una volta al centro di inchieste giudiziarie): “i tamponi? ormai non servono più. È che devono spendere!”.
Ed il verbo “devono” può essere interpretato in molti modi. Il termine potrebbe infatti riferirsi a pressioni di vario tipo da parte di case farmaceutiche. Oppure potrebbe significare che la spesa per tamponi e reagenti costituisce un’opportunità (una verità e propria manna dal cielo) per riciclare denaro di provenienza non dichiarabile.
Non so quale delle due ipotesi sia corretta, ma il fatto che, oltre tutto, l’una non esclude necessariamente l’altra mi preoccupa non poco, soprattutto se penso che in un Policlinico romano veniva curato in gran segreto MARCELLO DELL’UTRI, bypassando le liste vergognosamente chilometriche dei comuni mortali in attesa per anni di essere visitati per patologie anche gravi. Un’amica, residente a Roma, che deve (qui il verbo si riferisce a dolori all’addome continui, di intensità crescente e persistenti da circa un mese, tali da richiedere antidolorifici) fare una colonscopia con sedazione, dovrà attendere fino a gennaio per poterla fare a Sora. Senza sedazione la cosa è più veloce, ma più dooorosa. Oppure può rivolgersi ad una delle tante strutture private del Lazio, a circa 800 € (è necessaria anche la presenza di un anestetista, e non è gratis).
Ancora di più mi si drizzano i capelli in testa se penso che alcuni di quelli che “devono spendere” sono anche coinvolti nella ricerca di quello che, non so perché, continuano a chiamare “il vaccino italiano”, su cui stanno lavorando i ricercatori inglesi di AstraZeneca e che verrà poi prodotto a Pomezia da uno che fino a due anni fa si occupava di produzioni televisive ed adesso è diventato una sorta di Salvatore Della Patria.
Del viceministro PIERPAOLO SILERI qualsiasi attento osservatore avrà notato che, al di là dell’apparenza, si è prodotto in repentini cambiamenti di idea, quasi dei tentativi di sondare il terreno: prima un’improvvisa dichiarazione sulla necessità di fare ricorso al MES (questione per la quale certo non l’assiste la sua specifica competenza di colonproctologo) per investire nel SSN, senza argomentare in alcun modo questo suo orientamento. E poi la marcia indietro, dopo le dichiarazioni della maggior parte degli esponenti del M5S.
Più di recente, la dichiarazione a favore dell’aumento del numero di spettatori negli stadi, anche quella rimangiata dopo lo stop di virologi, immunologi ed epidemiologia tutti. Non mi risulta che lo abbiano contraddetto anche i colonproctologi, ma magari non ho prestato la dovuta attenzione.
Poi il tentativo di coinvolgere il prof. ZANGRILLO nel CTS (“fa parte del mio CTS personale”, oltre ad essere il medico “personale”, appunto, dell’uomo con la carica virale più alta d’Italia, al quale a suo tempo diagnosticò una provvidenziale UVEITE), in clamoroso conflitto di interessi. Zangrillo, infatti, è un professore ordinario del SAN RAFFAELE di Milano, dove Sileri, tra il Conte1 e il Conte2, ha finalmente vinto un concorso per professore associato, stranamente bandito 2 anni prima, dopo non esserci riuscito a Pescara, Pisa e Roma Tor Vergata (in quest’ultimo caso nemmeno procurando lui stesso, per mezzo del suo “protettore” LUCIO GASPARI, figlio di REMO, le risorse economiche necessarie, presso un imprenditore abruzzese della sanità).
Non mi soffermo sulle minacce che il viceministro sostiene di aver ricevuto e denunciato alle Autorità competenti né sul processo, attualmente in corso, scaturito da un esposto buono per farsi eleggere all’uninominale con il M5s, né sulle sue amicizie nel mondo dei vecchi SISMI e SISDE.
Tanto meno spenderò una sola parola sulla sua ultima fatica editoriale (firmata insieme al massone dichiarato ALESSANDRO CECCHI PAONE), furbescamente intitolata “COVID SEGRETO”, che induce a chiedersi se il senatore viceministro abbia bisogno di liquidità. In tal senso può essere visto anche il suo fastidioso (per me) ma costante e, direi, inesorabile apparire da qualsiasi schermo a qualsiasi ora del giorno (anche mentre uno sta pranzando o cenando, e non è uno spettacolo che favorisce una corretta digestione)
Ciò che mi limito ad evidenziare è che, al di là delle ripetute “fughe in avanti” e relative “marce indietro”, c’è una costante nella comunicazione del viceministro SILERI, quasi un mantra: FARE I TAMPONI FARE I TAMPONI FARE I TAMPONI FARE I TAMPONI FARE I TAMPONI FARE I TAMPO….
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