Chi è/era Roberto Rosso citato in Report trasmissione che tanto ha fatto incazzare Giorgia Meloni?

Chi fosse Roberto Rosso (e non nella versione realistica ma semplicistica che da alcuni giorni è nota al grande pubblico di Report) ve ne potevate fare un’idea sin dal 20 dicembre 2019 leggendo i post che gli avevamo dedicato dopo il “clamoroso” arresto. Contenti comunque che l’oberata redazione della storica trasmissione finalmente si sia accorta di questo personaggio. Nell’accorgersene sarebbe stato interessante che i giornalisti della RAI si fossero spinti a interpretare la pericolosità di Rosso e implicitamente dell’intelligenza strategica della criminalità. A tal proposito, credete a me, non basta proprio che un signore a modo come Guido Crosetto, da piemontese, provi a semplificare il caso gravissimo esponendosi a fare il garante di uno come Rosso arrivando a dire che il collega di partito è solo smoderatamente ambizioso. Crosetto parli di fanti e lasci stare i santi intendendo dire che Rosso, secondo le carte e altre prove documentali, era/è nelle mani di ambienti che a loro volta controllano il movimento mondiale del riso. Cioè il vero uranio (spero che nessuno si offenda) del settore agroalimentare e, pertanto, geopolitico planetario. Cose di cui Crosetto, il gigante troppo buono di Fratelli d’Italia, dovrebbe intendersene avendo ricoperto importanti ruoli in sede governativa attinenti anche la sicurezza dello Stato. Ma, non me ne voglia l’ex onorevole, capire fino in fondo cosa accade intorno al riso, in Italia e nel mondo, è questione da veri specialisti. Comincerei a dire di intelligence. 

Per evitare di scrivere cose con una dose imbarazzante di superficialità attinenti all’arresto di Roberto Rosso (e in generale sugli altri catturati aderenti a Fratelli d’Italia) e di cosa quell’arresto provvidenziale è riuscito (temo solo temporaneamente) a sventare (a prescindere dal voto di scambio), consiglio Crosetto di leggere alcuni post in Leo Rugens dedicati a Roberto Rosso, pregandolo di arrivare almeno a fare 2+2. Glielo consiglio ritenendolo alla fine un uomo probo, un imprenditore onesto, ma sempre, non provi a dimenticarlo, un politico impegnato a fianco di Giorgia Meloni. Quella che per uscire dalla condizione in cui il servizio di Report, in un Paese normale, l’avrebbe dovuto inchiodare, arriva ad evocare a sua garanzia Paolo Borsellino solo perché, il magistrato, prima di essere ucciso, era un semplice elettore di destra. Anche mio padre era un liberale e quindi un uomo di destra ma mai si sarebbe fatto rappresentare da uno come Roberto Rosso o dagli altri citati nella puntata di Report.  

Torniamo terra-terra a chi stava per piazzare a custode della risorsa strategica “riso” un criminale come Rosso e da questa verità incontrovertibile proviamo a superare i confini di una trasmissione televisiva chiedendoci se non sarebbe il caso di affiancare la magistratura con un’azione politica parlamentare attenta a quanto ho appena terminato di scrivere. 

O vogliamo lasciare mano libera a chi movimenta il riso nel mondo rimuovendo il dato certo che le informazioni sui consumi che circolano intorno a questo alimento basilare, combinati con altri mega dati, generano algoritmi in grado di prevedere le carestie (scrivo quindi di fame nel mondo) con mesi di anticipo, inviando informazioni (anche se poi, temo, nessuno le legga) ai decisori politici che potrebbero, viceversa, se volessero, reagire per tempo al destino di oltre 800 milioni di persone denutrite. 

Intorno al riso non si muove solo business ma una lotta furibonda, di milioni di esseri umani per acquisire abbastanza cibo, al giorno, per non morire e al tempo sentirsi liberi di pensare. Per milioni di persone mangiare è una lotta quotidiana senza quartiere e la politica estera potrebbe passare anche per una capacità intelligente di schierarsi dalla parte degli ultimi. Non è comunque materia da lasciare in mano ai vari Rosso, La Russa, Scotti, Sempio. O all’indulgente Crosetto

Oreste Grani/Leo Rugens 

NON SOLO VOTO DI SCAMBIO

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Nicola Gratteri ha dovuto accelerare la maxi retata o la “fuga di notizie” (migliaia di uomini delle Forze dell’Ordine coinvolti) avrebbero salvato qualcuno. Una notizia nella notizia.

Il contenitore (gli arresti, la quantità e la qualità degli stessi) contiene chissà quant’altro (bisognerà portarli a processo e sarà un maxxxxxxxi processo) ma certamente questo aver dovuto accelerare non è un buon indizio. Comunque quella della retata è una  straordinaria notizia. Evviva Nicola Gratteri e tutti i suoi fedeli collaboratori. Evviva Gratteri che conosce la pericolosità dell’indifferenza alle metastasi. Gratteri è ciò che è (cioè un fuori classe) perché, fin da giovane, non si è girato dall’altra parte. A volte racconta che conosce molto bene i criminali calabresi perché lui stesso è calabrese. Fa l’esempio perfino che è andato a scuola nelle stesse scuole di alcuni pupari. Grande patrimonio investigativo e culturale emergerà dalla retata. Forza, che non tutto è perduto.

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Certamente il 26 gennaio 2020, tra poco più di un mese, si voterà in altro clima. Non mi permetto di entrare nel merito di tali complessità ma io, oltre che all’Emilia Romagna, terrei d’occhio la Calabria nel momento dello scrutinio perché è anche la massoneria che ieri è stata colpita. La massoneria calabrese che si compiace, proprio a Vibo, di presentare libri e di essere stata, con le sue logge coperte, determinate per l’elezione del Gran Maestro del GOI, Stefano Bisi. Quello che per anni ha sostenuto, viceversa, il candore dei grembiuli e dei guanti ritenuti bianchi degli affiliati. Guanti, invece, così appare, anche rossi di sangue. La retata parte da quella Calabria dove in troppi e per troppi anni sono stati eletti con il “voto di scambio“. Voto di scambio ed altro. Evviva, evviva, evviva tre volte. Ma non lasciamo solo Nicola Gratteri e i suoi.

il voto di scambio

Ultima ora: nel profondo Piemonte, questa mattina (con grande sorpresa di Giorgia Meloni) è stato arrestato quell’onorevole, patriota in Fratelli d’Italia, gagliardo e tosto, di Roberto Rosso, che deve aver giurato, oltre che alla Repubblica Italiana, anche alla ‘ndrangheta, a dare retta al mandato di cattura. Roberto Rosso ha rizomi che possono portare lontano (fino a Francesco Sempio di Curtiriso ad esempio?). Certamente il politico malandrino di turno potrebbe averlo conosciuto molto molto molto bene. Intendo scrivere, a scanso equivoci, che Roberto Rosso potrebbe aver conosciuto Francesco Sempio.  E rimaniamo in fervida attesa per l’eco nel web di questo arresto. Vediamo di non mollare e di cominciare, con l’anno nuovo, a ramazzare ramazzare ramazzare.

Oreste Grani/Leo Rugens che quando ci mette la faccia dicono che sa di cosa si tratta.

E trattandosi di criminali calabresi ci mette non solo la faccia. Ma a noi (e la nostra storia lo conferma) “audace ci piace”. E anche il riso. Tranne quello nero. Nero come il cuore dei criminali. E ora una bella querela a Orestino Granetto ci starebbe bene.   

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FIN DOVE POTREBBE PORTARE IL CASO ROBERTO ROSSO?

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Se vogliamo parlare seriamente del caso Roberto Rosso, direi di partire da un approccio metodologico che consiglia di non ritenere che aver arrestato Rosso sia cosa minore: Roberto Rosso mi risulta essere (se mi sbaglio chiedo scusa sin da subito) in strettissimi rapporti con tale Francesco Sempio. Sempio è persona che definire complessa è una semplificazione che, altrettanto, bisogna da subito evitare di fare. Altrimenti si arriva al paradosso di storpiarne il cognome e, nel farlo, renderlo invisibile a conclusioni investigative che invece tutto avrebbero dovuto divenire meno che dei vicoli ciechi. Come sono diventati rispetto alla sua persona e al sistema imprenditoriale che Sempio rappresenta. Vediamo se, arrestato Rosso, si esce da questa cecità indotta e, viceversa, passo dopo passo, cerchio concentrico dopo cerchio concentrico, i meriti investigativi di chi ha acchiappato il politico Roberto Rosso ci portano a scoperchiare ben altri crogioli bituminosi. Dobbiamo inquadrare (se vogliamo fare un buon lavoro utile alla collettività) gli eventuali rapporti politici, economici, culturali intercorrenti tra il Rosso e Sempio in un quadro più ampio attinente la scenaristica alimentare planetaria trattata in un volume (quello del 1/2015) di Gnosis Rivista Italiana di Intelligence.

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Me ne vado lontano quindi ma solo perché come poi mi auguro emerga (se non sto prendendo una gravissima cantonata per omonimia) stiamo parlando del sistema mondo. E come se stessimo scrivendo di petrolio, armi, rifiuti, droga. Il riso infatti è materia prima di livello strategico e vediamo di trattarlo come va trattato. Se non ne sapete, studiate come ho fatto io. E ora so che anche le più inimmaginabili ipotesi criminali, intorno al riso, sono possibili. E non perché il riso faccia male. Anzi.

Qui mi fermo perché vorrei evitare di mandarmi di traverso il cenone che, nella nostra semplicità, come è tradizione, mia moglie ed io, affronteremo insieme. Guardando con fermezza e coscienza a posto, l’anno entrante e il tempo passato. Nel 2020 (che bel numero e come si presenta anche graficamente bene) vedremo di capire meglio che pesce sia stato pescato in Piemonte e come stiano gli eventuali rapporti tra il politico di turno e il re italiano del riso. Francesco Sempio, se è lui, potrebbe essere personaggio che deve le fortune imprenditoriali non solo al caso o a sue peculiari capacità personali. Come la vita insegna, ci sono sempre degli esordi difficili a cui bisogna dare una soluzione creativa e nel caso di Sempio la creatività potrebbe avere le fattezze di tale Giancarlo Piumazzi che lo condusse, partendo dalla provincia, a conoscere addirittura Angelo Epaminonda, il Tebano di Catania, a sua volta trasferitosi al nord e operativo addirittura per conto di Francis Turatello sul terreno delle bische (da far nascere e proteggere), della polvere bianca (solo cocaina si vantava Epaminonda di aver commerciato), prostituzione e quanto si poteva lucrare con modalità illecite.

Se non sono tutti casi di omonimia, Sempio un po’ di favori li ricevette da questi ambienti che proprio noti al mondo per far circolare denaro lecito non sono rimasti nella memoria collettiva di questo Paese (ci sarà pure qualche appunto riservato che si riferisca quel periodo e a quei contatti?), dell’FBI e, soprattutto, riguardando, negli anni successivi, anche business insediato a Cuba, negli archivi della CIA. Non vi faccio fare neanche lo sforzo di andare a consultare fonti aperte e vi riporto io quanto si può leggere del Tebano così, se fosse vero che Sempio gli deve qualcosa, avreste chiaro di quale complessità rizomica stiamo parlando.

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Angelo Epaminonda, detto il Tebano (Catania, 28 aprile 1945 – aprile 2016), è stato un criminale e collaboratore di giustizia italiano, attivo nel corso degli anni settanta e ottanta, soprattutto nella città di Milano.

Nato a Catania il 28 aprile del 1945, ancora bambino si trasferisce con la famiglia a Cesano Maderno, in Brianza, dove il padre, di professione scalpellino, tenta di sfuggire ai numerosi debiti di gioco accumulati. Minorenne, mette incinta una ragazza di origine veneta e, pertanto, si trova costretto a sposarla. Cambia spesso lavoro perché non riesce ad accettare le gerarchie e con lo stipendio da dipendente non può mantenere i suoi crescenti vizi: le donne, le carte e la cocaina. In seguito, il suo secondo figlio muore di polmonite a pochi mesi di vita. Il rapporto con la moglie si deteriora sempre di più, per i suoi tradimenti, le sue lunghe assenze da casa e la scarsa voglia di lavorare e condurre una vita familiare.

Inizia a frequentare alcuni locali e night del centro di Milano, frequentati allo stesso tempo dalla Milano Bene e dalla Mala. Inizia a compiere piccole truffe e alcune rapine in banca finché entra nel giro del potente boss della Milano dell’epoca, Francis Turatello, allora re indiscusso delle droga e bische clandestine, che gli affida la gestione di alcune di esse e lo introduce ai vertici della malavita locale.

Tra gli anni settanta e ottanta a Milano si contavano in media 150 omicidi all’anno. Proprio in quel sanguinoso contesto Epaminonda prese il posto di Turatello, e divenne il nuovo referente lombardo della mafia catanese.

Nell’inverno 1979 è autore della celebre strage di Via Moncucco, al ristorante “La strega”, in cui persero la vita 8 persone.

Gestisce diverse bische tra Imola e Riccione. Le prende tutte, sottomette i gestori e ne uccide due, il primo perché non voleva sottostare alle regole imposte e l’altro per dare una dimostrazione ad un altro gruppo di mafiosi. Si chiamavano Calogero Lombardo e Arcangelo Romano, uccisi nel 1983 e nel 1984. Uno a San Giuliano Mare, l’altro a Igea Marina.

Arrestato la prima volta nel 1980 per sequestro di persona, ma assolto per insufficienza di prove, fu rispedito in carcere il 30 settembre 1984 accusato di essere il mandante dell’omicidio di Turatello.

Dopo l’arresto, Epaminonda è stato il primo pentito di mafia a Milano. Ha confessato al magistrato milanese Francesco Di Maggio di aver ordinato o di essere stato complice di 17 omicidi, ricostruendone un totale di 44. Ha ammesso di aver gestito imponenti traffici di cocaina, in aggiunta al controllo del gioco d’azzardo e di alcuni casinò, ma ha sostenuto di non aver mai fatto vendere un solo grammo di eroina. Ai poliziotti che lo arrestarono Epaminonda fece i complimenti perché erano riusciti a scoprire la sua parola d’ordine e a pronunciarla in dialetto catanese. Le sue rivelazioni hanno consentito ai magistrati milanesi di arrestare 120 persone.

Il processo a Epaminonda, che fu il primo maxiprocesso a Milano, fu addirittura teatro di una sparatoria: il catanese Jimmy Miano sparò contro il presunto mandante dell’omicidio Turatello nell’aula bunker di San Vittore a Milano. Pur certificando il suo importante contributo alle inchieste antimafia, i giudici della corte d’assise inflissero al boss 29 anni di carcere, confermati sia in appello che in Cassazione. Una condanna che Epaminonda scontò quasi totalmente fuori dal carcere grazie alle normativa sui pentiti.

Nel 2007 Epaminonda è tornato in libertà cambiando per ragioni di sicurezza i propri dati anagrafici. Si è allora trasferito in una località segreta assieme alla sua famiglia.

È morto nell’aprile 2016 all’età di 71 anni, ma la notizia è trapelata solo nel dicembre successivo.

Nel libro Epaminonda racconta del rapporto con alcuni personaggi dello spettacolo ai quali vendeva cocaina, come Walter Chiari e Franco Califano. Racconta inoltre di quando fu visitato e operato dall’oncologo Umberto Veronesi e quando Turatello offrì rifugio al latitante Graziano Mesina.

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Per intendersi e scendere ad un linguaggio di più facile comprensione,  sempre se non ci fosse un caso di omonimia, questo Sempio a Berlusconi gli farebbe un baffo a tortiglione, se non una pippa. Ma, se non mi sto sbagliando, ad entrambi sono sempre piaciute le donne e quindi niente metafore sessuali. Di cattive frequentazioni comunque stiamo certamente parlando per entrambi. Agli esordi. Dopo è sempre difficile ricordare come è andata e chi ha messo i primi soldi. O chi ha consentito ad uno senza credito sufficiente di passare dalla piccola oreficeria (questo dicono che fosse l’attività di Francesco Sempio) a mettersi nelle risaie e a fare piccoli/grandi affari con Ligresti (quello) e Cabassi (quello). Per fare soldi bisogna avere soldi. Punto. E quando dico Ligresti mi torna in mente Catania (da dove saliva il Tebano e in generale da dove provenivano i mafiosi siciliani dalla pistola facile) e i grovigli bituminosi che hanno sempre accompagnato la fortuna/sfortuna dei Ligresti. Comunque se si avesse certezza di qualche business tra ilFrancesco Sempio e don Salvatore Ligresti direi di porci il problema di come sia stato possibile sedersi a quei tavoli. Tavoli a cui in quella Milano si arrivava anche grazie all’avvocato Antonino La Russa, anche lui siciliano proveniente dal comune di Paternò, provincia di Catania, e padre di Ignazio La Russa, 50 anni dopo compagno di partito di Roberto Rosso e di Giorgia Meloni.   

L’intelligenza, scrivo in altra sede, è circolare, frattalica e mai binaria.

Ho accennato ad affari del Sempio con Cabassi. Intendo Giuseppe Cabassi cioè il top di quegli anni. Se non sono mai avvenuti questi piccoli grandi investimenti e contaminazioni finanziarie, chiedo scusa ai Cabassi. Ma se viceversa l’ex sfigato Sempio ci si è seduto a quei tavoli, bisogna continuare a chiedersi come e perché.

Roberto Rosso arriva molti anni dopo a reggere la coda del Gruppo Euricom/Curti Riso/La Habana ma quando parla di riso nelle vesti di pubblico amministratore, al riso dei Sempio si riferisce. Questa è la sostanza. Sperando, per amor di Patria, di non scoprire che quando uno parla del riso dei Sempio si riferisce solo al loro legittimo aver saputo fare impresa.

Comunque se conoscete un po’ Leo Rugens cominciate a capire che se chi di dovere ci mette il naso, le orecchie, le dita, l’arresto di Rosso potrebbe portarci dove, viceversa, qualche anno addietro, un trucco semantico, ha impedito di capire come gira il mondo.

E non ritengo solo quello del riso. 

Oggi è l’ultimo dell’anno per cui mi è facile dire ci vediamo nel 2020 per continuare a trattare la materia.

Materia affascinante e pericolosissima se non ci troviamo di fronte a casi di omonimia o di errori calligrafici.

E poi – diciamolo – che il rosso non è solo il colore del sangue (e qui di sangue anche non metaforicamente ne è scorso) ma quello del cognome (Roberto Rosso appunto) del bandolo del fil rouge e, infine, cosa non minore, quella della MN Jolly Rosso.

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In che casino cromatico mi sto mettendo? O vi sto per mettere?

Oreste Grani/Leo Rugens