Però Regeni non era una spia

Nota a un post che era stato oscurato

Il 28 giugno del ’18, sollecitato da un articolo di Dario Del Porto apparso su “Repubblica” tornavo sulla questione Regeni cercando di chiarire il non detto e le curiosità sorte intorno all’espressione “operatore di intelligence culturale”. Poiché mi ero visto dare dell'”avvelenatore” dal Foschini, notai che Del Porto, riprendendo il tema di un anno prima, si limitava a sottointendere qualche interrogativo attraverso un “però”, il che oggi mi appare un passo avanti. Naturalmente (?) nessuno si è fatto avanti a chiedermi conto di tale “bizzarra” definizione, forse perché non risulto amico di nessuno degli amici o perché è noto che non sono in vendita né facilmente impressionabile, del resto come potrei accompagnarmi a un leone se lo fossi?

Oggi che David John Moore Cornwell non c’è più, lui sì, insieme a Maughan, Greene, Forsyth, veri modelli di operatori di intelligence culturale, dal silenzio che lascia si potrà capire perché piango la morte di una giovane promessa qual era Giulio Regeni, il cui articolo inviato al Manifesto, oggi sotto attacco del solito Crimi che cerca di tagliargli i fondi un’altra volta, era il germe, più semplice, di una delle attività di quella intelligence che definisco culturale.

16.12.2020

Però Regeni non era una spia

Dopo il vaglio dei filmati forniti dagli investigatori egiziani alla Procura di Roma in merito alla morte di Giulio Regeni, filmati del tutto inutili come era ovvio aspettarsi, ho deciso che è venuto il tempo di riprendere il “dialogo” con “la Repubblica”, che mi ha dedicato ulteriore attenzione il 14 giugno 2018.

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Il Dario Del Porto, collega del Bonini e del Foschini, i bramini custodi della memoria di Regeni, ritiene che il sottoscritto, Alberto Massari, sia degno di essere ricordato in chiusura del ritratto del neo Sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, in quanto autore di un pensiero che definisce Giulio Regeni “prototipo dell’operatore di intelligence culturale del futuro”.

Il giudizio di Del Porto in merito a quanto affermai e affermo, è racchiuso il quel “però”.

Recita il vocabolario Treccani: “Però… Cong. avversativa con valore analogo a ma, di cui è d’uso meno frequente avendo senso più decisamente avversativo”.

Dalla definizione, ne ricavo che Del Porto consideri la mia valutazione contraria o conflittuale con il senso dei “seminari ed eventi” che Angelo Tofalo organizza; perché?

L’esiguità dello spazio del box, inzeppato di nomi pesanti, non ha evidentemente permesso al Del Porto di argomentare in merito al “però”, tuttavia non credo di sbagliare a intendere che il sottotesto della congiunzione avversativa “però” sia l’analisi, si fa per dire, che il Foschini mi ha dedicato un anno fa:

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REGENI, IL VELENO NELLE PAROLE
Non abbiamo ancora una verità sulla morte di Giulio Regeni, ma c’è chi si prodiga per diffondere interpretazioni malevole sulla sua vita. È accaduto pochi giorni fa a Montecitorio, durante un convegno sull’intelligence organizzato dal deputato M5S Angelo Tofalo, membro del Copasir che lo scorso anno ha girato il Mediterraneo in compagnia di due presunti trafficanti d’armi. Uno degli oratori ha sostenuto che «Regeni incarna il prototipo dell’operatore di intelligence culturale del futuro», come a dire, insomma, che Giulio era una spia: uno dei «tanti giovani che lavorano nel mercato privato dell’informazione che prospera nelle università inglesi». Sono parole pronunciate da Alberto Massari, presidente di un’associazione che si occupa di intelligence, consigliere del movimento grillino in tema di sicurezza forte della pubblicazione di alcuni volumi con la Casaleggio Editori. Le frasi di Massari dimostrano una pericolosa superficialità: Giulio Regeni non ha mai lavorato nel mercato dell’informazione né dell’intelligence [Falso; Oxford Analytica, società privata di intelligence ha dichiarato che Giulio ha lavorato per un anno presso di essa ndr], come hanno ribadito più volte gli inquirenti italiani. Era, invece, un ricercatore che si occupava di economia e scienze sociali. Quelle dichiarazioni invece hanno una portata grave perché rilanciano, dal palazzo che è il cuore della nostra democrazia, un argomento posticcio che il regime egiziano, lo stesso che ha permesso il massacro di Giulio, ha usato sin dal principio per dirottare la verità altrove. Un argomento che ogni giorno viene utilizzato da chi cerca di depistare e inquinare le indagini. Ne saranno felici al Cairo. Ne sarà felice chi sostiene che il tempo sia maturo per rimandare in Egitto il nostro ambasciatore, dibattito sul quale tra l’altro non è dato conoscere la posizione dei 5 Stelle, che certo non si sono distinti in questi mesi in attivismo per le battaglie a favore della causa Regeni. Non bisogna mai dimenticare la paura, l’umiliazione fisica e psicologica che per nove giorni Giulio ha dovuto subire senza alcuna colpa. Non bisogna mai dimenticare il dolore di una madre e di un padre che hanno visto abbattersi sul figlio una violenza mostruosa. Non bisogna mai dimenticare che in gioco non c’è solo il lutto di una famiglia ma la dignità di un Paese e di un continente tutto, perché Giulio era un cittadino europeo. Quando si parla di Giulio Regeni, soprattutto dal palco di Montecitorio, si devono usare parole precise. E le uniche possibili continuano a essere: giustizia e verità per Giulio.

Giuliano Foschini

Lascio a voi lettori interpretare l’accostamento del sottoscritto a quello di una super “esperta” quale Anna Maria Fontana o di un libico ambiguo, per non parlare della Signora Ministro Trenta, di un magistrato autorevole e di un paio di “soggetti da sbarco” quali il Di Leva e il Pardi. Mi permetto invece di approfondire l’unico tema che mi interessa, ossia l’intelligence “culturale”.

Il Dott. Marco Cannavicci, psichiatra militare presso l’Ispettorato della Sanità Militare dello Stato Maggiore della Difesa ha sostenuto che “I Servizi inglesi… non hanno quasi nessun militare e poliziotto: il 99 per cento degli agenti li reclutano nelle Università, scegliendo le menti più intelligenti e vivaci. E hanno addirittura creato, a Nord di Londra, un’Università di formazione dell’intelligence, ”Bletchley Park”». Anche il Mossad recluta tutti? «Sì. Un po’ perché in Israele tutti sono militari o militarizzati…”. Mi permetto di aggiungere che circa nove anni fa lessi un articolo su uno dei principali quotidiani italiani, purtroppo non lo ritrovo, nel quale si annunciava che il servizio segreto britannico si apprestava a reclutare decine di migliaia di giovani nelle università. Pareva impossibile, una esagerazione ma nel tempo capimmo che non era così. A differenza di quanto è avvenuto in Italia, dove a fronte di oltre 16.000 richieste di studenti universitari, tra i quali ne furono selezionati solo una trentina per accedere al servizio, i britannici hanno utilizzato una strategia completamente diversa, pescando ugualmente nelle università.

In altre parole, l’intelligence di sua Maestà, ha creato una galassia di agenzie di intelligence private sul modello di Oxford Analytica, agenzie che hanno reclutato tra migliaia di giovani di ogni nazionalità, affidando loro compiti più o meno rischiosi. Senza farne il nome, a una giovane fu addirittura proposto da una società inglese di aprire un ufficio in uno stato africano con funzioni di antiterrorismo.

Secondo Foschini o Del Porto come si dovrebbe chiamare il lavoro o il mestiere che a giovani come Regeni o a questa ragazza sono stati proposti se non “intelligence”? Certo si potrà disquisire e distinguere tra società private (?) fondate da ex numeri uno dell’intelligence statunitense o britannica e università / college privati come Cambridge, ma la sostanza non cambia. Sempre di studenti in gran parte stranieri si tratta, giovani coraggiosi e curiosi, che non trovano nel proprio paese di origine, l’Italia per esempio, l’opportunità di dedicarsi alla propria passione.

Regeni era un giovane curioso, coraggioso, sopra le righe, guascone e soprattutto “fornito di qualche soldo la cui provenienza non era chiara”, così me lo descrissero in perfetta onestà. Regeni non era una spia bensì uno studioso che raccoglieva dati e informazioni da riportare ai suoi tutor o datori di lavoro. Come lo volete chiamare un mestiere così cari giornalisti?

Spero così di avere chiarito che se utilizzo una espressione che non è mia ma la cui portata e valore condivido, “operatore di intelligence culturale”, lo faccio non solo a ragion veduta, ma perché, da curioso della materia, nemico del pregiudizio e dello stereotipo, me la rischio nel mio piccolo seguendo unicamente il mio demone, che mi spinge incessantemente a interpretare i segni e cercare di migliorare il mondo che mi circonda. Mai da solo.

Alberto Massari

P. S. Maneggiare il caos non è da tutti.