Chissà a scoperchiare realmente le tombe cosa può succedere? In questo caso quella di Sergio Piccini

Nella storia politico-giudiziaria della Repubblica, ci sono storie che se ancora oggi dovessero venire evocate, devono trovare il mio lettore capace di districarsi tra le fonti aperte con modi che gli consentano di non avere di quelle vicende una visione semplicistica o “schiacciata” su luoghi comuni o verità stereotipate. 

Versioni spesso costruite proprio per nascondere verità inconfessabili o scomode per i potenti sopravvissuti. Uno dei casi più complicati/complessi da interpretare è certamente stato la vicenda Parmalat/Calisto Tanzi

Per sapere come siano andate le cose intorno a quel crack (storia non minore), non avendo a disposizione un testimone eccellente quale sarebbe stato Sergio Piccini in quanto lo stesso deceduto, nel lontanissimo 2000, in un “provvidenziale” (certamente per decine di corrotti e spennatori mantenuti “a latte”) incidente di macchina, mentre tornava, mi sembra una domenica sera, da un Pavarotti Day, ci vorrebbe una idea investigativa geniale. Il Piccini infatti, ex sindacalista della CISL, originario di Sansepolcro, organico ai macro interessi, anche internazionali, del Gruppo Parmalat, quando morì prima dello scoppio formale dello scandalo, era usato da Calisto Tanzi per distribuire le mazzette ai politici. E non solo. Basterebbe, per cominciare, a fare le domande giuste al fratello di Sergio, il meno noto (o forse paradossalmente di più) Pio. Chissà. Intendo quel Pio del crack Omega ed altri, figura molto molto molto legato a Licio Gelli e alla banda di quelli che, anni addietro, facevano capo a Villa Wanda, in quel di Arezzo

I carabinieri si attivarono in occasione della morte sospetta di Sergio interrogando a lungo proprio il fratello Pio (non certo sospettandolo), ma non riuscirono a cavare un ragno dal buco. Pur informati che lo stesso Sergio era già scampato ad un incidente mentre viaggiava su un aereo privato tra Roma e Parma. Pur informati dell’importanza del giovane ex sindacalista (alimentaristi ovviamente) quale ufficiale pagatore della Parmalat. 

Calisto Tanzi

Dato certo (quello di questa funzione già di per se rischiosa) a cui suggerisco di aggiungerne un’altro: a me personalmente (e un numero significativo di volte), il fratello Pio, disse che il vero referente (e garanzia soprattutto quando operava all’estero) di suo fratello maggiore Sergio, era il generale Nicolò Pollari. A guardare bene il quadro sinottico degli avvenimenti che riguardò il duo, si capisce che Pollari e Piccini possa essere credibile che costituissero un’asse di ferro, dovendo trattare il Piccini, per conto di Tanzi, affari a dir poco loschi, mentre Pollari era nella posizione delicatissima (e di grande potere) di Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza. Chissà se millantava Pio o se, viceversa, diceva la verità, evocando il fratello a cui, si capiva quando lo evocava con affetto e ammirazione, doveva tutto. Questo (Piccini Sergio + Pollari Nicolò) è un esempio di quelle che io chiamo “strane coppie” che, se interpretate, facilitano la comprensione di un mondo e di come siano andate, per troppo tempo, le cose in Italia. A volte, queste relazioni pericolose vengono risolte da una “botta di culo” che, mettendo fine al rapporto prima che si scoperchino i coperchi, rende al sopravvissuto dei due la vita facile. Facendo scendere sulle loro vicende un silenzio di tomba. Chissà cosa (ma ci vorrebbe un vero giornalista d’inchiesta che si appassionasse), nel ventennale della scomparsa di Sergio, trovato il bandolo della matassa, si potrebbe arrivare a capire del grande tracollo che non solo di un gruppo industriale di quelle dimensioni ma della fine di una vera e propria opportunità per la nostra Italietta? 

Nicolò Pollari

Certo che ormai non interessa più a nessuno l’eventuale movente di quella provvidenziale morte (ribaltamento del fuori strada con autista che si ferisce appena ad una mano) ma, nel caso contrario, tenete conto che della vicenda sono ancora vivi, tra tanti altri, certamente due protagonisti eccellenti di quegli anni che per il racconto che mi fece Pio, andrebbero intervistati. Anche per il solo sfizio di vederli negare la conoscenza profonda del corruttore. Andrebbero intervistati pertanto il boss di Nusco, Ciriaco De Mita e, appunto, Nicolò Pollari

Ciriaco De Mita

Pollari che, morto Piccini nel 2000, andò avanti nella carriera fino a divenire direttore del Sismi a partire dal 15 ottobre 2001 per decisione dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Pollari, tra l’altro, fu investito di ampi poteri (e mezzi), trovandosi ad operare nel periodo immediatamente successivo ai fatti dell’11 settembre 2001. Il Pollari ha conservato la carica di Direttore del SISMI sino al 20 novembre 2006, quando è stato sostituito da Bruno Branciforte. È andato in quiescenza con il grado di generale di Corpo d’armata.

Il 25 gennaio 2007 sempre Pollari è stato nominato dal governo Consigliere di Stato (incarico ricoperto a partire dal 9 febbraio), con il “conferimento di un importante incarico speciale alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio Romano Prodi (quello citato più volte nelle carte giudiziarie del crack Parmalat/Tanzi) a Palazzo Chigi”. È stato membro della IIa sezione consultiva del Consiglio di Stato, fino alla quiescenza nella primavera del 2016. Poi, da allora, sempre con Giancarlo Elia Valori

Romano Prodi

Se si guarda bene quindi uno più bipartisan di Pollari non credo che ci sia mai stato ai vertici dei nostri servizi. Tenendo conto che Tanzi ha raccontato (non creduto come, viceversa, andava fatto) che aveva dato, anche tramite Sergio Piccini (il provvidenzialmente deceduto), tonnellate di soldi alla politica italiana. Capite cosa sostengo? L’asse che rassicurava Sergio Piccini era con i vertici della GdF, in quel momento rappresentati operativamente (quello è tra l’altro il peso del Capo di Stato Maggiore) proprio da Pollari. Che, destino beffardo, è ancora vegeto e, soprattutto, silente su quel groviglio bituminoso che fu il Crack Parmalat. Silenti lui (il ragazzino del gruppo avendo 77 anni), Romano Prodi (81 anni), Ciriaco De Mita (92 anni), Cesare Geronzi (85 anni) e Giancarlo Elia Valori, di soli 80 anni. Dimenticavo: Tanzi, a sua volta, ha 82 anni e se uno vuole cominciare a raccontare l’ipotetica storia del rapporto tra Nicolò Pollari e Sergio Piccini (facendone un libro di fantapolitica economica?) si deve dare una mossa.  

Cesare Geronzi

Penso che, se richiesto, Tanzi, il più sfortunato di tutti (è quello che ha perso tutto e ha fatto la galera), racconterebbe con dovizia di particolari, come conobbe il giovane Piccini, come gli sembrò un ragazzo in gamba, come se ne avvalse. E come alla fine fosse Sergio a mantenere i “rapporti istituzionali”. E Tanzi lo potrebbe raccontare a prescindere dalle carte processuali. Così facendo consentendo di alzare un velo su come a volte (o troppo spesso?) vanno le cose in questa nostra ancora bella Italia. 

Senza dimenticare ovviamente di cominciare il racconto da un chiacchierata con Pio, il rispettoso amico fraterno del commendator Licio Gelli

Giancarlo Elia Valori

Oggi mi è presa così, in realtà senza un vero perché se non che passa il tempo e alcune cose diventano sempre più difficili ricordarle, raccontarle, rivelarle. Compreso che tra un Natale e Capodanno, Tanzi e sua moglie tentarono, dopo essere passati per Fatima a pregare la Madonna, di salvare il salvabile. La Madonna non fece la grazia e dopo un giro in Equador, Tanzi rientra in Italia e viene arrestato il 27 dicembre 2003. Domani è l’anniversario ed io per questo mi sono messo a ricordare. Il caso Parmalat merita di essere nuovamente interpretato, mai dimenticando che senza collusioni internazionali (intendo anche l’Opus Dei di Gian Mario Roveraro, altro personaggio morto/ucciso provvidenzialmente nel 2006), i legami con la “finanza” ENI (Florio Fiorini), gli sguardi benevoli della CIA/FBI (tramite Ettore Giugovaz?), tutti quei soldi (più di 1000 milioni di dollari/euro non si sono più “trovati”) non si sarebbero mai potuti volatilizzare. 

Oreste Grani/Leo Rugens

P.S.

E se non credete a me leggete a seguire, tenendo conto che Giuseppe Oddo di grovigli bituminosi finanziari capisce come pochi giornalisti italiani. Da decenni. 

Parmalat, il giallo irrisolto dei misteri del più grande crack del mondo

PUBLISHED ON 31 OTTOBRE 2008 BY AUTHOR GIUSEPPE ODDO

Propongo ai lettori del blog la storia dei misteri della Parmalat che ho scritto di recente per “IL”, il nuovo mensile del “Sole-24 Ore”. Accanto alla verità giudiziaria, di cui dovranno dar conto i processi in corso a Milano e a Parma, resta infatti un lato oscuro della vicenda Parmalat su cui la magistratura non è ancora riuscita a far luce. Affiora dal più grande crack industriale del secolo, come dal sottofondo di una valigia, una lunga catena di intrighi in cui ritroviamo i servizi segreti italiani, la Cia, il Vaticano, banche internazionali compiacenti, faccendieri di ogni risma. La Parmalat era un taxi su cui viaggiava di tutto. Eccone il racconto.

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La goccia che fece traboccare il vaso e che portò alla luce la più grande bancarotta di tutti i tempi fu un capitale di 150 milioni di euro con cui Parmalat avrebbe dovuto rimborsare i possessori di un bond in scadenza l’8 dicembre 2003. Per un gruppo che aveva emesso obbligazioni per 7 miliardi di euro, sempre regolarmente sottoscritte dal mercato, si trattava di un importo relativamente modesto. Ma nelle casse della società, sul finire di quell’ anno,non era rimasto un centesimo, anche se ufficialmente erano in pochi a saperlo.
Il suo fondatore, nonché presidente e maggiore azionista, Calisto Tanzi , era andato a battere cassa dappertutto, eppure non trovò nessuna banca disposta a soccorrerlo. Quegli istituti di credito che, dalla seconda metà degli anni Novanta, s’erano prestati a collocare le obbligazioni della Parmalat, in quel dicembre 2003 si tirarono tutti indietro. Per quale motivo, se è vera la tesi che le banche non erano a conoscenza del dissesto? Perché, se è vera la tesi che sarebbero state truffate al pari di qualsiasi risparmiatore?
Anni di indagini non hanno ancora chiarito la questione. Il mistero rimane.

Enigma bancario 
Può darsi che le banche cominciassero a guardare con sospetto ai 4 miliardi cash che Parmalat teneva inspiegabilmente appostati in una finanziaria delle Cayman : la Bonlat. Che un gruppo all’apparenza così liquido continuasse a stampare obbligazioni e a pagare interessi più alti di quelli di mercato era oggettivamente un controsenso.
Per di più, a fine 2003, sarebbe arrivato a scadenza un accordo che imponeva alla Parmalat di riacquistare per 400 milioni di dollari una quota della sua consociata in Brasile, che era stata ceduta a investitori istituzionali Usa. Può darsi che la concomitanza di eventi avesse messo in allarme le banche. È tuttavia singolare l’apparente indifferenza ostentata dalle medesime banche qualche mese prima, quando nel febbraio 2003 le quotazioni di Borsa della Parmalat erano crollate del 9 per cento in un solo giorno all’annuncio che la società avrebbe emesso l’ennesimo bond. La reazione degli investitori aveva costretto il consiglio d’amministrazione della Parmalat a una marcia indietro e a offrire in pasto al mercato le (finte) dimissioni di Fausto Tonna , l’uomo che con Tanzi è tra i principali artefici della bancarotta.

L’incidente di febbraio avrebbe dovuto far drizzare le antenne alle banche. Invece, proprio a partire da questo momento, Deutsche Bank, Morgan Stanley, Ubs intensificano i rapporti con il gruppo e architettano operazioni finanziarie che – stando all’accusa – sarebbero servite a mascherare al mercato l’insolvenza della Parmalat.

Insomma, alcune tra le più grandi banche d’affari del mondo continuano a dare ossigeno a ColleCChio per tutto il 2003; i maggiori istituti di credito italiani, con in testa Capitalia, Intesa, Monte dei Paschi, si affannano nell’inutile tentativo di salvare dal fallimento la Hit, la società per il turismo della famiglia Tanzi; ancora nel dicembre 2003 Citigroup raccomanda agli investitori l’acquisto del titolo Parmalat e Standard & Poor’s dà un buon giudizio sul grado di solvibilità del gruppo. Le banche italiane continuano a vendere obbligazioni Parmalat fino al momento dell’insolvenza, come se nulla fosse.
E tuttavia, nel momento in cui – l’8 dicembre – bisogna mettere insieme 150 milioni, non c’è più uno disposto a far credito a Tanzi.
Nell’estate-autunno 2003 la credibilità della Parmalat e quella del suo azionista di controllo avevano subito un ulteriore colpo per via di Epicurum, il fondo chiuso delle Cayman di cui nessuno conosceva l’esistenza, dove la Parmalat diceva di aver investito quasi 500 milioni della sua fantastica liquidità. La smobilizzazione della somma, data sempre per imminente, era rinviata di settimana in settimana e ai primi di dicembre apparve a tutti evidente che i soldi di Epicurum erano spariti. Ma ecco la svolta, il miracolo: il denaro che fino all’8 nessuno concede, il 16 è erogato da
Intesa, Popolare di Lodi, Popolare dell’Emilia- Romagna e Bpu. Il prestito da 150 milioni è rimborsato, però fuori tempo massimo e dopo che un quotidiano ha già scritto che in Parmalat c’è un buco da 9 miliardi. In realtà a Collecchio s’è aperta una voragine da 14,5 miliardi.

Quel salvatore di Lugano 
Il 6 dicembre Capitalia, Intesa e Sanpaolo-Imi, in una riunione a Roma con Tanzi, prendono conoscenza delle effettive condizioni di dissesto dell’azienda. Ciononostante, da lì a qualche giorno, gli istituti riaprono per l’ultima volta i cordoni della borsa alla Parmalat. Non si dichiara immediatamente il default, ma per farlo si aspetta il 27 dicembre, dopo che Tanzi s’è dimesso da tutte le cariche sociali e gli è subentrato Enrico Bondi (commissario straordinario e futuro amministratore dell’azienda). Forse, nel frattempo, bisognava dar tempo al governo di varare il decreto legge salva-Parmalat. È un’ipotesi. Sta di fatto che, proprio in quei giorni, le banche non smettono di intermediare azioni e obbligazioni della società, il cui valore è di fatto prossimo allo zero. A comprarle sono i piccoli risparmiatori.

Eppure il 18 è stato comunicato al mercato che il conto Bonlat, su cui avrebbero dovuto trovarsi circa 4 miliardi in contanti (depositati presso la sede di New York di bank oF ameriCa ) è un’invenzione della premiata ditta di Collecchio. La notizia provoca il crollo definitivo delle quotazioni della Parmalat. Ma i Tanzi sperano ancora in una via d’uscita e in prossimità di Natale la primogenita di Calisto, Francesca, corre a Lugano per incontrare un uomo d’affari, Luigi Antonio Manieri, che dice di avere in mano 3,7 miliardi che potrebbero rientrare in Italia subito grazie allo “scudo fiscale” per essere investiti nella Parmalat.

Riunione a Quito 
Una storia incredibile, quella di Manieri. Pugliese, sconosciuto alle cronache, di professione ignota. Di lui non circola nemmeno una fototessera. Il primo a farne il nome è Sergio Cragnotti, il bancarottiere della Cirio che, quasi in concomitanza con Tanzi, nel novembre 2002 ha mandato alla rovina uno dei primi gruppi agroalimentari italiani (e che con Tanzi ha condiviso diversi affari tra cui la cessione della Eurolat alla Parmalat, dove è rimasto invischiato con l’accusa di estorsione aggravata l’ex presidente di Capitalia Cesare Geronzi, oggi numero uno di Mediobanca). Manieri si presenta a Cragnotti nella veste di “cavaliere bianco”, accompagnato dal suo avvocato, Giacomo Torrente (che ha lavorato per la Gemina e ha trattato affari con il Sanpaolo) e da un finanziere italo-svizzero, Luigi Colnago. Gli dice di attendere l’autorizzazione a far rientrare dall’estero una somma ingente, ma non concretizza mai l’offerta.

A Tanzi ripropone un copione analogo. Prima, in luglio, sembra interessato all’acquisto della Parmatour, in cui sono confluite le attività turistiche della famiglia che ricadono sotto la responsabilità di Francesca Tanzi. Poi tenta di acquistare da Tanzi un’azienda agricola, ma lo paga con un assegno scoperto. Poi, in prossimità del default, sembra intenzionato a rilevare il controllo della Parmalat e chiede al Sanpaolo- Imi di Torino l’apertura di un conto dove far affluire il denaro. Un ex manager della Parmalat ha raccontato che alla banca pervennero alcuni bonifici per importi rilevanti, provenienti da varie piazze internazionali, e che i vertici del Sanpaolo li rifiutarono per il timore che potesse trattarsi di capitali riciclati. Qualcuno addirittura azzardò che i fondi potessero provenire da un “tesoro” riconducibile a Calisto Tanzi. L’operazione, comunque, fallisce. E alla fine Francesca Tanzi va a Lugano, accompagnata da Colnago, per aspettare dei versamenti che dovrebbero arrivare da Manieri. Ma è tutto tempo perso.

Nel frattempo Calisto e signora sono partiti per l’Ecuador passando per il Portogallo, dove hanno trovato il tempo di recarsi a Fatima per un’orazione alla Madonna. Ora, se uno mentre sta per fallire va in Sudamerica (in un Paese privo di trattato d’estradizione con l’Italia) non ci va per turismo, ma per sfuggire all’arresto. Tanzi, però, va e torna in pochi giorni. E in questi pochi giorni, a cavallo tra la Vigilia di Natale e Santo Stefano, due persone partono da Milano per raggiungerlo: una è un suo uomo di fiducia, Ettore Giugovaz, che in Ecuador è di casa; l’altra è un commercialista di Lissone, Gian Giacomo Corno, socio in affari di Giugovaz.
Ricapitoliamo: il 19 Tanzi e la moglie, Anita Chiesi, vanno a Lisbona; il 21 volano a Quito, dove soggiornano all’Hotel Akros prenotato per loro da Giugovaz; il 25 Giugovaz e Corno arrivano nella capitale ecuadoregna, si uniscono ai Tanzi non si sa per far che cosa; forse debbono incontrare qualcuno. Poi i quattro si rimettono in volo per Milano il giorno successivo. Il 27 Tanzi è arrestato. Perché un viaggio così precipitoso prima che accada l’irreparabile? E chi è Ettore Giugovaz, detto Franco?

Intrecci libanesi 
Veneziano, ingegnere, ex giocatore della nazionale di rugby, ex dirigente della Lodigiani, Giugovaz conosce Tanzi negli anni 70. Con il Cavaliere è socio della Bonatti, un’azienda emiliana di costruzioni, di cui ha rilevato il 10 per cento con la liquidazione della Lodigiani (quota che finirà per cedere a Tanzi). È Giugovaz ad aprire alla società le porte del mercato libico entrando in rapporti con l’ex direttore finanziario dell’Eni FLorio Fiorini.

La Bonatti prende commesse lavorando al seguito del colosso petrolifero, per poi affrancarsene gradualmente grazie al legame che Giugovaz ha stretto con Regeb Misellati, il banchiere al servizio di Muammar Gheddafi , che ha negoziato proprio in quegli anni l’ingresso della Lafico nella Fiat. Quando nel gennaio 1986 William Wilson, ambasciatore americano presso la Santa Sede, vola a Tripoli in gran segreto per incontrare il leader libico, è Tanzi a mettergli a disposizione il suo jet privato. E sull’aereo, con l’americano, c’è anche Giugovaz.

La notizia del viaggio di Wilson, organizzatogli dal ministro degli Esteri Giulio Andreotti senza autorizzazione ufficiale da parte della Casa Bianca, suscita reazioni indignate. Nello stesso tempo per la società di Tanzi si aprono spazi in ecuador, dove Giugovaz ha lavorato con la Lodigiani. Ed è infatti Giugovaz a intrecciare le relazioni che possono permettere alla Bonatti di crescere nel Paese. Qui Giugovaz si stabilisce mettendo su casa e creando una rete di rapporti ad alto livello con esponenti del governo locale e sembra anche con il colonnello Lucio Gutierrez, il presidente della Repubblica che sarà spodestato nel 2005.

Archivio segreto 
È in continuo movimento, Ettore Giugovaz, la cui collaborazione con Tanzi si è estesa anche al gruppo Parmalat. Viaggia spesso negli Usa, dove ha rapporti con la lobby che sostiene il presidente George Bush e con personaggi di spicco come Edward Lutwak, consulente del dipartimento di Stato e del Centro internazionale di studi strategici di Washington. E viene spesso anche in Italia, dove vivono due dei suoi tre figli. Quando pietro Lunardi , vecchio amico di Tanzi, è eletto ministro dei Trasporti del secondo governo Berlusconi e si vede costretto a cedere la maggioranza della Stone, la sua società per il monitoraggio di opere sotterranee, è a Giugovaz che passa il testimone.
Tra le numerose carte sequestrate a Giugovaz dopo il crac gli inquirenti hanno rinvenuto un floppy-disc con l’intestazione “Cia” scritta a mano di suo pugno, un documento bancario che attestava la giacenza di 50 milioni di dollari su un conto dell’uomo d’affari arabo Adnan Khashoggi, incartamenti relativi a rapporti con Misellati, biglietti da visita di agenti del fbi di Miami (città in cui peraltro risiede il terzo figlio) e altro ancora. Non avrebbe meritato, questo archivio segreto, un esame più accurato prima che la Procura di Parma ne decidesse la restituzione in originale al suo legittimo proprietario?
Dunque: che cosa vanno a fare a Quito una figura di questo calibro e un commercialista di Lissone? E chi incontrano insieme a Tanzi? Anni dopo sapremo che Giugovaz, Corno e Tanzi s’erano visti una prima volta a Parma l’11 dicembre 2003 per discutere verosimilmente della possibilità di costituire una Nuova Parmalat, vale a dire per tentare l’estremo salvataggio del gruppo. Con quale denaro? Non si può escludere che Tanzi, o qualcuno per suo conto, avesse costituito un fondo nero all’estero. Un indizio affiora dall’inchiesta sul delitto di Gian Mario Roveraro, il finanziere dell’ opus dei fatto a pezzi ai primi di luglio del 2006, che, attraverso la Akros (società omonima dell’albergo presso cui i Tanzi soggiornarono a Quito) aveva organizzato nel 1990 l’aumento di capitale della Finanziaria Centro Nord: l’operazione che darà vita al processo di quotazione indiretta in Borsa della Parmalat.

Un testimone ascoltato dai magistrati, Francesco Todescato, ha riferito che il “soprannumerario” dell’organizzazione religiosa fondata dal beato José María Escrivá avrebbe occultato fondi della vecchia Parmalat su un conto Ubs intestato a un’importante società finanziaria di cui ha detto di non conoscere il nome.

Confidenze 
Che cosa vi sia di vero non è dato sapere. Anzitutto, perché Todescato riporta una confidenza che Roveraro avrebbe fatto al suo assassino, Filippo Botteri, e che Botteri avrebbe trasferito a Todescato. In secondo luogo, perché Roveraro è stato prosciolto, al termine dell’udienza preliminare sul crac Parmalat, dall’imputazione di concorso in bancarotta. Il dissesto della Parmalat, secondo il giudice, è stato visibile solo a partire dal 1993. Quindi tutti i fatti antecedenti non sono rilevanti sul piano penale. Ma gli inquirenti hanno trasmesso a Parma le dichiarazioni di Todescato? Queste affermazioni non avrebbero meritato un supplemento d’indagine? Che parte del denaro distratto dalla Partanzi malat possa essere stata occultata da qualcuno dei protagonisti della bancarotta è, del resto, ipotesi tutt’altro che campata in aria. Nella ricostruzione dei movimenti contabili manca all’appello circa un miliardo di euro. I magistrati sono arrivati fin dove hanno potuto. Hanno per esempio scoperto che un manager della sede italiana di Bank of America, Luca Sala, ingaggiato in seguito dalla Parmalat come consulente, era riuscito a mettere da parte una fortuna. Sui conti esteri a lui riconducibili erano transitati da 59 a 65 milioni di euro provenienti dalle casse di Collecchio.

Il denaro prima di arrivare a destinazione veniva fatto girare su diversi conti correnti per camuffarne la provenienza. L’attenzione è in particolare rivolta a prelevamenti di contante per importi elevati, effettuati anche dopo il crac. A chi erano destinati? Soltanto a Sala? L’ipotesi investigativa è che la Parmalat abbia foraggiato manager di banche internazionali che avevano potere decisionale su operazioni decisive per la sopravvivenza del gruppo e personaggi dislocati lungo la catena dei controlli (dai consigli d’amministrazione alle società di revisione, dalla Procura di Parma alla Guardia di Finanza). In questa prospettiva, Luca Sala potrebbe rappresentare la punta dell’iceberg. Ma è un’ipotesi, al momento.

Ufficiale pagatore
Chissà che cosa potrebbe raccontare a questo proposito Sergio Piccini, che della Parmalat curò a lungo i rapporti istituzionali. Piccini è morto nel 2000 in un incidente d’auto qualche mese dopo essere scampato a un incidente aereo mentre viaggiava su un velivolo privato tra Roma e Parma. Piccini era un ex sindacalista della Cisl. Dal suo ufficio romano teneva i collegamenti tra Tanzi e il mondo politico. Era considerato l’ufficiale pagatore dei partiti, come ha lasciato intendere lo stesso Tanzi. E aveva una frequentazione con l’allora capo della Guardia di Finanza, Nicolò Pollari, che sarà nominato direttore del Sismi, l’ex servizio segreto militare, prima di essere travolto dal caso Abu Omar. Uno dei magistrati che hanno indagato su Parmalat confidò a due giornalisti (il sottoscritto e una collega del Corriere della Sera) che Piccini e Pollari si vedevano in un bar di Roma e che il nome di Piccini era emerso a Napoli nel corso di un non meglio precisato procedimento giudiziario.

Nell’ambito di questo procedimento – confidò il magistrato – qualcuno parlò del rapporto tra partiti, uomini politici e aziende, citando Piccini come fonte di queste notizie. Per verificare l’attendibilità di queste rivelazioni fu ordinata un’inchiesta ai Carabinieri, che diede esito negativo. Ma quando a fine 2003 esplode il caso Parmalat, ai Carabinieri ritorna improvvisamente la “memoria” (questo il termine usato dal magistrato) e l’Arma stende su Piccini un rapporto di segno contrario. Perché? E dov’è finito questo documento?

Prima Repubblica addio
Tutti questi fatti potranno non avere rilevanza penale, ma la loro conoscenza sarebbe indubbiamente d’aiuto per comprendere a fondo le cause della bancarotta e portare alla luce la rete delle protezioni, delle complicità, dei depistaggi di cui godette Tanzi. Le sue relazioni politiche andavano oltre i confini della Dc e l’amicizia di Giovanni Marcora e Ciriaco de Mita. I suoi rapporti con l’allora segretario di Stato Vaticano, Agostino Casaroli, non erano solo frutto delle sue convinzioni religiose se è vero che nell’abitazione di Tanzi sarebbe avvenuto persino un incontro tra il cardinale e l’allora segretario del Psi, Bettino Craxi, in prossimità della riforma concordataria il cui testo fu sottoscritto a Villa Madama il 18 febbraio 1984 proprio da Craxi e Casaroli. C’è anche chi segnala qualche puntata a Collecchio dell’arcivescovo Paul Marcinkus, l’allora presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, al quale si deve il coinvolgimento della banca vaticana nel crac dell’Ambrosiano.

L’impressione è che Tanzi sia stato parte integrante di un sistema di potere molto influente che aveva raggiunto l’apice nella Prima Repubblica. In questa prospettiva, il crollo della Parmalat sarebbe da addebitare alla caduta di questo sistema che è andato in frantumi negli anni 90. E all’incapacità, o all’impossibilità, di Tanzi di riciclarsi nella Seconda Repubblica.

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Il crac Parmalat fu uno scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio finito col fallimento della Parmalat. Considerato il più grande scandalo del genere perpetrato da una società privata in Europa, venne scoperto solo verso la fine del 2003, nonostante successivamente sia stato dimostrato come le difficoltà finanziarie dell’azienda fossero rilevabili già agli inizi degli anni novanta.

L’ammanco lasciato dalla società di Collecchio, mascherato dal falso in bilancio, si aggirava sui quattordici miliardi di euro; al momento della scoperta se ne stimavano la metà. Con l’accusa di bancarotta fraudolenta, è stato rinviato a giudizio e in seguito condannato a diciotto anni di reclusione il patron della Parmalat, Calisto Tanzi, nonché numerosi suoi collaboratori tra dirigenti, revisori dei conti e sindaci. Il crollo finanziario della Parmalat è costato l’azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti, mentre i risparmiatori che avevano investito in bond hanno ricevuto solo un parziale risarcimento.

L’impresa italiana, grazie agli effetti della legge 18 febbraio 2004, n. 39, fu salvata dal fallimento e la sua direzione fu affidata all’amministrazione straordinaria speciale di Enrico Bondi, che ne risanò parzialmente i conti a partire dal 2005.

Gli appoggi politici e le operazioni finanziarie di Tanzi

Negli anni ottanta l’iniziativa di Gregorio Maggiali, esponente della Democrazia Cristiana del tempo e amico di Calisto Tanzi, consentì a quest’ultimo di entrare in contatto per la prima volta con Ciriaco De Mita, in seguito Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, con il quale l’imprenditore di Collecchio strinse una forte amicizia. Per esprimere la sua gratitudine a Maggiali, Tanzi gli avrebbe concesso il libero uso dei mezzi di trasporto della Parmalat, ed emise diversi assegni circolari destinati alla Rayton Fissore, azienda automobilistica di Maggiali, che versava in cattive acque, per un totale di 1,5 miliardi di lire; questi finanziamenti illeciti furono rendicontati in bilancio a beneficio di una società fantasma. A seguito di questi rilevamenti, si ipotizzò che Tanzi dirottasse grosse somme di denaro alla DC tramite la Rayton Fissore: De Mita fu indagato per concussione, ma l’indagine aperta a suo carico fu in seguito archiviata.

Dopo il terremoto in Irpinia del 1980 e lo stanziamento di finanziamenti previsti dalla legge 14 maggio 1981, n. 219. per la ricostruzione post evento Tanzi chiese aiuti per otto miliardi di lire con dieci giorni di ritardo dalla scadenza ma ne vennero erogati undici. Nel 1984 la società aprì un secondo stabilimento industriale nel sud Italia, a Nusco, il paese natale di De Mita, per la cui costruzione degli impianti fu commissionata a Michele De Mita, segretario locale della DC e fratello di Ciriaco, e presso il medesimo furono trovati rifiuti tossici provenienti da La Spezia, infine per commercializzare il latte a lunga conservazione, che la Parmalat aveva iniziato a produrre, servivano delle normative a livello nazionale, che furono emanate durante il governo De Mita con la 3 maggio 1989, n. 169, per restituire il favore, Tanzi avrebbe acquisito tramite Parmalat un’ottantina di agenzie di viaggio riconducibili a De Mita, che rischiavano l’insolvenza.

Successivamente, grazie all’influenza di personalità politiche di allora, la Parmalat acquistò:

  • la Margherita Yoghurt, fortemente indebitata, su indicazione di Cossiga, il quale, secondo quanto dichiarato dal direttore finanziario della Parmalat del tempo Fausto Tonna, aveva alcuni parenti soci dell’impresa; 
  • la Cipro Sicilia, oberata da debiti per 150 miliardi di lire, acquisizione resa possibile grazie all’influenza e appoggio di Calogero Antonio Mannino.

I debiti della società e l’occultamento 

Intanto i debiti della Parmalat ammontavano a un centinaio di miliardi di lire già verso la fine degli anni ottanta: per evitare il peggio, Tanzi decise di quotare alla Borsa Italiana, trasformandola in una società per azioni. Ciò avrebbe richiesto all’impresa un risanamento dei conti, ma le forti perdite di Odeon TV, controllata dal gruppo di Collecchio, obbligarono Tanzi a rivolgersi alle banche per un prestito: nonostante l’opposizione del presidente e di alcuni sindaci revisori, un gruppo di banche, capeggiato da Icle (Istituto Nazionale del Credito per il Lavoro italiano all’Estero) insieme a Sanpaolo IMI, Banco di Napoli, Cassa di Risparmio di Roma, Banca di New York e Finanziaria Centro Nord, erogò 120 miliardi di lire, garantite dal 52.24% del capitale della società parmigiana. Per completare l’operazione Parmalat dovette liberarsi anche dell’emittente televisiva italiana, gravata da debiti per 160 miliardi e nel 1990 ne cedette il pacchetto azionario di controllo alla Sasea del finanziere Florio Fiorini, già dirigente ENI.

Tanzi si preoccupò anche di stipulare accordi finanziari con i mass-media cartacei: attraverso una sua società, la Europa Service, aveva acquistato azioni per 250 milioni di lire del quotidiano di sinistra il manifesto, regolarmente registrati, nonché a Il Foglio, di Giuliano Ferrara, allo scopo che circa un miliardo e cento milioni di euro siano passati tramite la finanziaria uruguaiana Wishaw Trading, a persone ignote: il tramite sarebbe stato Sergio Piccini, il quale è tuttavia deceduto. Al suo posto Tanzi aveva indicato Romano Bernardoni, già venditore d’auto. Al fine di eludere i controlli della Consob, fu attuata una quotazione servendosi un’impresa già presente sul listino di Milano, la “Finanziaria Centro Nord”: questa passò di mano dal titolare Giuseppe Gennari alla holding dei Tanzi e rilevò, in due operazioni distinte, il 55,4% di Parmalat, grazie a un aumento di capitale di 583 miliardi, di cui 283 destinati a rilevare il controllo di Parmalat dai Tanzi e 300 per la successiva ricapitalizzazione. Il gruppo di Collecchio fu così riorganizzato attorno alla ex società di Gennari che mutò nome in “Parmalat Finanziaria”, controllante di un gruppo di 58 aziende (25 all’estero) e più di 300 miliardi di lire di fatturato.

Tuttavia conti della società non migliorarono e i debiti avrebbero potuto decretarne il fallimento: per occultare questi dati Tanzi affidò per anni all’avvocato Gian Paolo Zini il compito di creare una rete di società distribuite tra i Caraibi, il Delaware e le isole Cayman. L’avvocato Zini operava direttamente da New York e, su idea di Fausto Tonna, aveva creato il fondo Epicurum, tramite il quale la Parmalat riversò circa 400 milioni di euro sulla Parmatour: questi soldi venivano registrati come crediti per la società e conferiti nel fondo. L’operazione era del tutto fittizia, ma bastò per ingannare il mercato, inoltre al fine di simulare un’ottima salute della società, venne fatto sistematico ricorso a false fatturazioni. Dal momento che le fatture figurano come crediti, i quali vanno incassati, Tonna e Bocchi inventarono un fittizio conto corrente presso la Bank of America, intestato alla società Bonlat, con sede alle isole Cayman, in cui figuravano 3,9 miliardi di euro, al fine di avere la credibilità delle banche per ottenerne finanziamenti.

Il ruolo e i rapporti con la politica italiana e le banche

Poco dopo la fine della prima Repubblica, la procura di Milano indagò anche dietro alcune dichiarazioni di Tanzi circa finanziamenti a lui imputabili e risalenti già all’anno della nascita di Forza Italia, che sarebbero stati erogati mediante un meccanismo di mancato sconto agli spot pubblicitari in onda sulle reti Mediaset. In questo modo il potenziale sconto di cui poteva godere una grande azienda come la Parmalat con le sue campagne pubblicitarie massive sarebbe confluito indirettamente a Forza Italia: a questo proposito Tanzi ha dichiarato di aver trasferito quote di pubblicità destinate a essere trasmesse dalla RAI a Publitalia. L’autore di questo accordo sarebbe statoGenesio Fornari, successivamente deceduto.

Nel 1995, a seguito di un’interrogazione parlamentare sui prestiti concessi alla Parmalat dalla Cassa di Risparmio di Parma (per 650 miliardi di lire) e dal Monte dei Paschi di Siena (per 90 miliardi di lire), la procura incaricò il ragioniere Mario Valla di Parma di rivederne i bilanci degli ultimi tre anni. Presumibilmente Tanzi intendeva crearsi delle vie privilegiate per ottenere facili prestiti dai due gruppi bancari: d’altro canto Silingardi era stato sindaco per la Parmalat e Gorreri ne era un dipendente. Tra il 1995 e il 1996, si collocherebbe inoltre la promozione di alcune joint-venture tra diverse agenzie viaggi controllate dalla Parmalat e la Compagnia Italiana Turismo, società turistica delleFerrovie dello Stato che cedette cinquantacinque agenzie di viaggo alla Parmatour: questo progetto sarebbe stato avallato da Ciriaco De Mita e Claudio Burlando, allora Ministro dei Trasporti e della Navigazione per il governo Prodi Ie avrebbe permesso a Tanzi di scaricare i debiti della Parmalat sul partner pubblico. A questo proposito la procura della Repubblica di Roma indagò anche l’ex-amministratore delegato delle Ferrovie, Lorenzo Necci. Su questa vicenda Burlando ha dichiarato che non era di sua competenza, e che peraltro Cimoli, poi nominato amministratore delle FS, ha ritenuto di non procedere alla trattativa. Nel 1996, durante il governo Prodi, Tanzi aveva partecipato al potenziamento del capitale di Nomisma, società di cui Romano Prodi è stato fondatore, diventandone socio, versando ingenti somme per finanziare la campagna elettorale di Prodi per le elezioni politiche italiane del 1996 prima e per quella di Berlusconi poi, in occasione delle elezioni politiche italiane del 2001.

Durante un procedimento penale il giudice dell’udienza preliminare (GUP) Adriano Padula archiviò l’inchiesta e nel 1998 assolse Tanzi e Tonna dall’accusa di false comunicazioni sociali. Una delle operazioni più controverse fu poi l’acquisto nel 1999 di Eurolat dal gruppo Cirio, che comportò un aumento vertiginoso dell’esposizione debitoria; l’impresa pur avendo un elevato fatturato, presentava un indebitamento ritenuto eccessivo.

Nel 2001 Parmalat commercializzò un nuovo tipo di latte chiamato “Fresco Blu”, ampiamente pubblicizzato perché portava la data di scadenza a otto giorni dal momento che era stato microfiltrato e pastorizzato, secondo un procedimento esclusivo. Tuttavia, dal momento che le aziende concorrenti insorsero contro la scritta “fresco” che, per legge, doveva essere applicato solo a quel latte la cui data di scadenza era di quattro giorni, la Parmalat fu multata per frode. Così Tanzi decise di mandare Bernardoni da Gianni Alemanno, allora Ministro per le Politiche Agricole e Forestali sotto il governo Berlusconi II: il Ministro fu prosciolto dall’accusa di corruzione, per cui era stato indagato avendo rinunciato all’immunità parlamentare.

Quando nel 2002 Tanzi necessitò di 50 milioni di euro per risollevare le perdite generate da Parmatour, si rivolse a Cesare Geronzi e alla sua Banca di Roma, della quale era consigliere d’amministrazione. Matteo Arpe, amministratore delegato dell’istituto di Mediocredito Centrale attraverso il quale sarebbe stato concesso il prestito, si oppose all’operazione, ma Geronzi riuscì in ogni caso a far arrivare alle casse di Parmalat la cifra richiesta, che fu poi deviata al settore turismo. Contestualmente Tanzi acquisì la società sicula di acque minerali Ciappazzi, oberata di debiti sospesi, per la maggior parte con la Banca di Roma. I magistrati ipotizzarono che l’operazione fosse stata frutto di una costrizione imposta da Geronzi a Tanzi al fine di ripianare la suddetta esposizione debitoria: Parmalat avrebbe rilevato la Ciappazzi con soldi ricavati mediante l’emissione di un bond, i quali sarebbero stati girati alla Banca di Roma, che così, oltre a riottenere il credito, avrebbe lucrato sulle commissioni legate a tale operazione. In tal modo, pertanto, il debito della società insolvente sarebbe stato ripartito, tramite il bond Parmalat, sul pubblico degli investitori. Le cifre che le banche concedevano a Tanzi servirono anche per acquisizioni, in modo da dare l’idea che la Parmalat fosse una società solida e in crescita: ad esempio Citigroup propose l’acquisto di bond Parmalat ai risparmiatori fino a pochi giorni prima del crac, facendo leva sulla maschera dorata che la ditta si era creata. I finanziamenti erogati a questo fine venivano occultati dalle banche internazionali grazie a società site in paradisi fiscali, quale la “Buconero Spa”, dietro al cui nome emblematico si presume operasse la Citibank: essa, secondo quanto riportato dallo scrittore Vittorio Malagutti, riuscì a far fluire 100 miliardi di lire attraverso un contratto di associazione di partecipazione, senza dunque che comparisse tra i debiti del gruppo Parmalat. Analogamente la Bank of America istituì una holding che, in compartecipazione alla Parmalat, si servì di un ente caritatevole delle isole Cayman per raccogliere quasi 300 milioni di dollari tra gli obbligazionisti e finanziare così la Parmalat Brasile, tecnicamente già fallita: l’accordo fu siglato tra Gregory Johnson, responsabile della security della banca statunitense, e Fausto Tonna.

I controlli della Consob e il fallimento

Nel 2003 la Consob avviò dei controlli sui bilanci della Parmalat. Per ovviare a una situazione che avrebbe inevitabilmente portato alla scoperta del catastrofico stato della società, Tanzi chiese aiuto a Silvio Berlusconi e ad altri politici per un suo intervento presso le banche e presso la Consob, rivolgendosi anche l’ex ministro Giovanni Goria e a Ciriaco De Mita perché appoggiassero la candidatura di Luciano Silingardi a presidente di Cariparma, una delle finanziatrici del gruppo. Il 4 dicembre si scoprì che i 600 milioni di euro del fondo Epicurum non esistevano. L’8 dicembre era il termine entro cui la Parmalat era costretta a onorare il bond da 150 milioni di euro che aveva emesso: Bondi promise di restituire i soldi entro il 15 dicembre, ma quando quattro giorni dopo riuscì a saldare il debito, si accorse anche che ne mancavano 80. Intanto dopo tre giorni di sospensione, il titolo Parmalat fu riammesso alle contrattazioni: da un valore precedente di 2,2375 euro, l’11 dicembre il titolo chiuse a 1,1900 euro, in calo del 46,8%. Il 15 dicembre il consiglio di amministrazione, tra cui figuravano Tanzi, Tonna e Gorreri, si dimise. La notizia che accese i riflettori sullo scandalo arrivò però il 19 dicembre 2003: in quella data la Bank of America dichiarò che i 3,95 miliardi di euro intestati alla controllata Bonlat, che rappresentavano l’attivo della Parmalat, non esistevano: qualche giorno dopo fu appurato che il documento che ne attestava l’esistenza era stato contraffatto. Il 22 dicembre Tanzi fu iscritto nel registro degli indagati per falso in bilancio presso la Procura della Repubblica di Milano e nel frattempo il valore di un’azione della Parmalat era sceso a 0,11 centesimi di euro, ma anche gli indici delle banche connesse alla crisi finanziaria persero punti (Capitalia -6%, Monte dei Paschi -5%); lo stesso giorno gli obbligazionisti statunitensi, onde scongiurare il rischio di cross default, decisero di non intraprendere richieste di risarcimento fintantoché Bondi non avesse redatto un piano di salvataggio. Le banche tuttavia non rimasero impassibili al mancato rientro dei prestiti e cominciarono a fare pressione su Tanzi: quando iniziarono a trapelare i primi sintomi di insolvenza, il patron della Parmalat fu messo da parte, le banche imposero alla guida del gruppo in qualità di amministratore straordinario Enrico Bondi e il titolo Parmalat fu sospeso dalle trattative in Borsa. Questi come nuovo amministratore delegato decise di intraprendere un’azione legale contro le banche creditrici prima del tracollo, accusandole di aver emesso bond fino all’ultimo momento pur essendo consapevoli della situazione disastrosa in cui versavano i bilanci dell’azienda. Bondi stimò che Deutsche Bank avesse, a fronte di un prestito di 140 milioni di euro, guadagnato interessi per 217 milioni (+140%), Unicredit Banca da 171 milioni di euro ne avrebbe ricavati 212 (+124%), mentre Capitalia avrebbe incassato il 123% in più di quanto aveva prestato alla Parmalat. Paradigmatico a questo proposito fu il bond di 420 milioni di euro emesso dalla banca svizzera UBS a Parmalat: effettivamente solo 110 milioni furono incassati, mentre i restanti 290 milioni tornarono indietro alla banca come assicurazione in caso di insolvenza.

Il 1º gennaio 2004 Bondi – nominato intanto commissario straordinario – stabilì che il primo asset che la Parmalat avrebbe ceduto sarebbe stato il Parma e qualche giorno più tardi la Consob depositò una richiesta di annullamento del bilancio dell’anno precedente della Parmalat. Il 20 gennaio seguirono le dimissioni di Silingardi, mentre il 23 gennaio un ex-collaboratore dei direttori finanziari Tonna e Del Soldato, Alessandro Bassi, il quale era stato già sentito come testimone dai pubblici ministeri, fu trovato morto, precipitato da un ponte: l’ipotesi più accreditata dagli inquirenti fu il suicidio. Non mancano però ipotesi di omicidio come quella formulata nel libro di Livio Consigli Il tesoro di Tanzi. Nel contempo, sia lo Stato, attraverso un finanziamento di 150 milioni, sia da parte di Banca Intesa dopo un appello promosso da Bondi, si occuparono del risanamento del gruppo di Collecchio perché potesse continuare l’attività. Intanto gli istitutiti di credito si dichiararono vittime della frode della Parmalat e lo stesso Governatore della Banca d’Italia del tempo, Antonio Fazio, in un’audizione al Senato del 2004, si disse convinto che tanto le banche italiane quanto quelle straniere non fossero consapevoli della situazione in cui versava la società di Tanzi.

Nel 2005 il Ministro della giustizia Roberto Castelli avviò un’ispezione a carico di Padula durante il suo operato quale GUP di Parma, emerse che questi aveva insistito con Tanzi per avere sconti per i viaggi nei villaggi Parmatour, che pagò peraltro solo dopo che fu scoperto l’ammanco, oltre due anni dopo, per questo il magistrato fu sanzionato dal Consiglio Superiore della Magistratura nel 2006 col trasferimento presso altro ufficio e con la decurtazione di sei mesi di anzianità.

Le indagini e i processi

Dopo alcuni indagini ed i primi arresti, viene stabilita dalla Cassazione, il 1º marzo 2004, la celebrazione di due indagini (e processi) paralleli. Alla procura di Milano venne attribuita la competenza delle indagini per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni (sociali e ai revisori) e ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob. A quella di Parma, l’associazione a delinquere e bancarotta. Il 29 maggio la Procura di Milano ottenne il rinvio a giudizio di 29 persone fisiche, tra cui Calisto Tanzi, e tre persone giuridiche, componenti del consiglio di amministrazione Parmalat, sindaci, direttori, contabili, revisori dei conti, funzionari di Bank of America. Tra le persone giuridiche imputate vi furono la Bank of America e le società di revisione Grant Thornton (ex Italaudit) e Deloitte & Touche.

Durante il processo, Tanzi ha dichiarato alla magistratura italiana di aver finanziato fin dagli anni sessanta diverse banche, per ottenere crediti e condizionarne le nomine. Dai verbali di queste dichiarazioni inoltre risultano tra i finanziati molti nomi di politici, gran parte dei quali riconducibili alla Democrazia Cristiana di allora: Arnaldo Forlani, Emilio Colombo, Paolo Cirino Pomicino, Fabio Fabbri, Claudio Signorile, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani, Francesco Speroni, Stefano Stefani, Massimo D’Alema, Lamberto Dini, Gianfranco Fini, Ciriaco De Mita, Bruno Tabacci, Adriano Sansa, Oscar Luigi Scalfaro, Pier Luigi Bersani, Renzo Lusetti, Giuseppe Gargani, tutti i quali hanno peraltro negato la circostanza. Hanno invece ammesso di aver ricevuto somme inferiori ai cinquemila euro, e quindi esenti da dichiarazione, Pier Ferdinando Casini, Romano Prodi, Rocco Buttiglione, Pierluigi Castagnetti e Mariotto Segni. Mentre la procura di Parma ha accertato e rintracciato questi flussi di denaro, molti si sono difesi in virtù del fatto che pensavano che i fondi in questione provenissero direttamente da Tanzi e non dalle casse della sua società. Nel 2004 Fausto Tonna avrebbe parlato del conivolgimento Donatella Zingone, moglie del politico Lamberto Dini, e di Franco Bonferroni. La prima aveva posseduto una linea di supermercati in Costa Rica: uno stabilimento di questi sarebbe stato comprato da un consulente di Tanzi, Ottone, «a un prezzo a dir poco osceno» con i soldi di Parmalat Nicaragua. Il secondo avrebbe consigliato l’acquisto di certi stabilimenti in Vietnam e Cambogia, operazioni per cui avrebbe percepito delle commissioni. In merito al finanziamento al quotidiano Il Foglio, Tanzi ha dichiarato di aver versato dai 500 milioni al miliardo di lire, ma interpellato dal procuratore di Bologna, Vito Zincani, Ferrara non ha ritenuto di dover deporre. L’autorità giudiziaria italiana rilevò che sono uscite dalle casse della Parmalat, coperti in bilancio dalla voce sponsorizzazione, circa 12 milioni di euro.[1] Inoltre riguardo l’acquisizione di Eurolat la magistratura ha supposto che l’operazione d’acquisto da parte di Parmalat fosse stata pilotata da gruppi bancari per alleggerire la loro esposizione in posizioni “incagliate” con un’operazione contestata anche dall’Autorità per la Concorrenza.

Il 18 dicembre 2008 il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza, definita “a sorpresa”, sul caso Parmalat. Dei 29 imputati, dopo patteggiamenti e applicazioni di leggi “controverse” (come la ex Cirielli), tra le persone fisiche giudicate con rito ordinario, risultò condannato il solo Calisto Tanzi, a 10 anni di reclusione. Tra le persone giuridiche, anche la Grant Thornton/Italaudit, sanzionata con 240.000 euro e una confisca di 455.000 euro.[31] Tra quelli che avevano scelto il patteggiamento: condannate, con una serie di pene che vanno dai cinque mesi e 10 giorni ai due mesi, otto persone fisiche, tra le quali Paola Visconti (nipote di Calisto Tanzi), la Deloitte & Touche e Dianthus (che avevano, nel frattempo, già risarcito migliaia di parti civili). Tra i prosciolti figurano: Enrico Barachini, Giovanni Bonici (di Parmalat Venezuela), Paolo Sciumè (ex membro del C.d.A. di Parlamat di Collecchio) e il banchiere Luciano Silingardi. Per quanto riguarda la posizione di Bank of America, prosciolta, il P.M. Francesco Greco dichiarava che «è stata riconosciuta la prescrizione per altro modificata dalla legge Cirielli». Il 18 aprile 2011 il Tribunale di Milano ha assolto le banche coinvolte per il reato di aggiotaggio informativo: Morgan Stanley, Bank of America, CitiGroup e Deutsche Bank. La decisione del Tribunale di Milano inoltre negò il risarcimento per circa 30.000 piccoli risparmiatori che avevano sottoscritto i bond emessi dalla Parmalat prima del crac.

Nel 2014 la quinta sezione penale della Cassazione ha confermato la pena a Calisto Tanzi. La condanna definitiva di Tanzi è stata di 17 anni, mentre il direttore finanziario Fausto Tonna è stato condannato a 9 anni di reclusione.