La sfida di Gerusalemme

Questo blog ha spesso lasciato indizi su come la pensa Leo sulla complessità geopolitica implicita nella questione tra il popolo israeliano e quello palestinese. Se vi dovesse interessare, provate a viaggiare nel labirinto concettuale rappresentato dagli oltre 6.000 post e vedete se riuscite a farvi un’idea di come non solo mi stia a cuore la sfida irrisolta della convivenza ma come ritenga la questione fattore prioritario per tutti popoli mediterranei, monoteisti o pagani che siano.
Lascia scritto l’editorialista di un tempo di “Le Monde” Jean-Jacques Servan-Schreiber: “Per tre mesi, dal natale 1987 alla Pasqua 1988, Gerusalemme è stata la mia base per una missione universitaria nel Medio Oriente. Sorpreso dalla rivolta dei giovani palestinesi (L’Intifada iniziata nel dicembre 1987 a partire dalla morte di Hatem al-Sisi o poco prima con l’accoltellamento di un civile israeliano che mi sembra stesse andando a fare la spesa al mercato ndr Leo Rugens), ho visto vacillare l’avvenire d’Israele (espressione forte che ancora decenni dopo ci deve far riflettere e allarmare ndr Leo Rugens).
Ho vissuto allora in mezzo agli israeliani e ai palestinesi, ho condiviso le loro speranze e i loro timori, ho intravisto con loro le possibilità di un destino concreto – e comune – per il futuro.
Tutto, aggiunge Servan-Schreiber, dipenderà dalla scelta degli ebrei. Una scelta fra il patriottismo della terra e il patriottismo dell’identità. Riuniti in Israele o dispersi nel mondo, essi formano oggi un solo popolo. Un popolo singolare che, passato attraverso quattromila anni di storia senza piegarsi, affronta ora la sua sfida più importante“.
Ripeto che quando l’editorialista (ed altro) di “Le Monde” così si esprimeva era il lontanissimo/vicinissimo 1988.
Aggiungeva e questo mi è rimasto nel cuore e nella mente: ” Questa sfida è per molti versi universale e riguarda tutti noi”.
Sul “riguarda tutti noi” si sarebbe dovuta basare la politica estera della nostra Italia che, viceversa, sostanzialmente (e in forme oscillanti tra l’ipocrita e l’opportunistico) anche questa mattina, a violenze in atto, non è pronta a nessun contributo teorico-pratico. Cioè diplomatico.
A seguire trovate una ricostruzione degli avvenimenti di quel 1987-88 che vanno sotto il nome di Intifada. Non è la mia ricostruzione (non ho strumenti culturali e professionali per un tale compito) ma banalmente quella di Wikipedia. Con gli scontati limiti di un tale racconto che non va letto in pro e contro. Da ieri c’è ben altro da prendere in considerazione compresa quella che chiamerò la Grande Incertezza che se la rivolta dovesse radicarsi, nel tempo e per violenza, si potrebbe impadronire di Gerusalemme.
Guai a distrarsi presi dalle stupidaggini a cui alcuni ci vogliono tenere ammanettati. A Gerusalemme deve scoppiare una pace definitiva o ciò che ci riguarda tutti non porterà nulla di buono. E di questi tempi direi che aggiungere anche solo una goccia di sangue potrebbe far traboccare il vaso mediterraneo.
Oreste Grani/Leo Rugens che in questi momenti pensa al ritratto di Gandhi appeso nel kibbutz dove aveva vissuto Ben Gurion. La stanza, dove si trova la foto, è subito a sinistra dell’entrata dove David Ben Gurion è vissuto sia nei lunghi periodi di ritiro dedicati alla scrittura sia quando era a capo del governo e dell’esercito.
Sono ore in cui per molti dirigenti israeliani, politici, militari, perfino del Mossad, è quasi impossibile ammettere la superiorità strategica della non violenza. Quasi impossibile ma questione che va posta. Con la massima urgenza.

La prima intifada (anche semplicemente “intifada”, che in arabo significa “rivolta”) fu una sollevazione palestinese di massa contro il dominio israeliano che iniziò nel campo profughi di Jabaliya nel 1987 e presto si estese attraverso Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est.
L’azione palestinese si espresse in un gran numero di forme, inclusi la disobbedienza civile, gli scioperi generali, il boicottaggio di prodotti israeliani, i graffiti e le barricate, ma furono i lanci di pietre da parte dei giovani contro le Forze di Difesa Israeliane che portarono all’intifada notorietà internazionale.
Durante il corso della prima intifada, durata circa sei anni, un numero stimato di 1100 Palestinesi fu ucciso da soldati israeliani e coloni. I Palestinesi uccisero 160 Israeliani e altri 1000 Palestinesi accusati di collaborazionismo, benché meno della metà di questi avesse effettivamente mantenuto contatti con le autorità israeliane.
Cause generali
Come nel caso degli altri conflitti arabo-israeliani, il contesto e le cause di questo evento sono oggetto di forte contestazione. La maggior parte dei rapportipunta il dito su un crescente senso di frustrazione fra i Palestinesi, in particolare nella Cisgiordania, ma anche a Gaza, sull’assenza di progressi nel trovare una soluzione duratura per le loro richieste umanitarie e nazionaliste dopo la creazione di Israele nel 1948 e la Guerra dei sei giorni nel 1967. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) non era riuscita a fare alcun passo avanti contro Israele fin dagli anni Sessanta e, nel 1982, era stata costretta a stabilire i suoi ministeri a Tunisi. Benché tutti gli Stati della Lega Araba, con l’eccezione dell’Egitto, fossero ancora ufficialmente in guerra con Israele, la retorica era già sfumata nella metà degli anni ottanta e novanta, e i Palestinesi si trovarono molto meno appoggiati.
L’occupazione militare israeliana del Libano meridionale e il continuo coinvolgimento militare israeliano nella Cisgiordania e a Gaza amplificavano un crescente malcontento verso lo status quo.
I religiosi musulmani, seguendo l’ondata di radicalismo religioso originata dalla Rivoluzione Islamica in Iran, parlavano dai pulpiti contro il governo israeliano.
Si identificano inoltre altre cause fra le quali l’Accordo Jibril. Secondo Yuval Diskin, che in quegli anni fungeva da coordinatore dell’Agenzia di Sicurezza Israeliana nei distretti di Nablus, Jenin e Tulkarem, fu l’Accordo Jibril una delle cause principali dello scoppio della prima intifada. L’accordo Jibril, era stato uno scambio di prigionieri che aveva avuto luogo il 21 maggio 1985 fra Shimon Peres, per conto del governo israeliano, e Ahmed Jibril, per conto del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Nel quadro di tale accordo Israele aveva liberato 1.150 detenuti di sicurezza in cambio di tre prigionieri israeliani (Yosef Grof, Nissim Salem, Hezi Shai) catturati durante la Guerra del Libano. Così si esprimeva Yuval Diskin:
«…Le masse di prigionieri rilasciati allora si costituirono a una nuova leadership di attivisti radicali. Questo fatto, unito all’euforia per la convinzione di esser riusciti a piegare lo Stato d’Israele, portò all’esplosione.» |
Quando un israeliano fu accoltellato a morte il 6 dicembre 1987 mentre faceva spese a Gaza, la tensione crebbe. L’8 dicembre, quando 4 profughi palestinesi del campo di Jabalya furono uccisi in un incidente stradale a Gaza, la rivolta scoppiò a Jabaliya. Un diciottenne palestinese di nome Hatem al-Sisi, dopo aver tirato dei sassi durante una di queste rivolte, fu ucciso da soldati israeliani; il fatto ebbe un effetto domino che fece scoppiare altre rivolte.
I palestinesi e i loro sostenitori sostengonoche l’intifada sia stata una protesta contro la brutale repressione da parte di Israele, che includeva esecuzioni extra-giudiziarie, arresti di massa, demolizioni di case, deportazioni, e così via. In aggiunta al sentimento politico e nazionale, altre cause dell’intifada possono essere viste nella marcia indietro egiziana riguardo alle richieste palestinesi riguardo Striscia di Gaza, come anche nella crescente stanchezza della monarchia giordana di sostenere le richieste giordane sulla Cisgiordania. Il forte tasso di nascite e la limitata assegnazione di terre per nuovi edifici o per l’agricoltura, unite alla povertà della terra, contribuirono a incrementare la densità di popolazione nei territori palestinesi. La disoccupazione cresceva. Mentre le entrate dalla manodopera in Israele giovavano all’economia palestinese, pure coloro con un’educazione universitaria faticavano a trovare lavoro.
Altri sostengono che i palestinesi si sentissero abbandonati dagli alleati arabi e che l’OLP avesse fallito nel combattere efficacemente Israele e stabilire uno Stato palestinese al suo posto, come promesso. In ogni caso, era riuscita a bloccare i tentativi israeliani di convocare elezioni-farsa nei territori (iniziati nel 1974) e molti di loro pensavano che avrebbero speso il resto delle loro vite come cittadini di serie B, senza pieni diritti politici.Considerando tutto ciò e l’alto livello della rivolta, ci sono pochi dubbi sul fatto che non fu iniziata da una singola persona o organizzazione. Comunque, l’OLP ci mise poco a prendere il problema nelle proprie mani, sostenendo gli intifadisti e accrescendo la loro presenza nei territori (chiamati il “tanzīm”, o “organizzazione”).
L’OLP non rimase incontestata, competendo nelle proprie attività, per la prima volta, con altre organizzazioni radicali islamiche – Hamas e la Jihad Islamica Palestinese. E cosa più importante, la rivolta era prevalentemente guidata non da uno di questi gruppi, ma da consigli di comunità composti da normali Palestinesi che creavano strutture autonome e reti nel mezzo dell’occupazione israeliana. Questi consigli, benché per lo più si occupassero della resistenza armata, si concentravano anche sulla creazione di servizi e strutture indipendenti, spesso clandestini, come scuole autonome, assistenza medica, sussidi alimentari e altre istituzioni di base.
Fatti precedenti
La rivolta
L’8 dicembre un camion delle Forze di Difesa Israeliane (FDI) colpì due furgoni che trasportavano operai di Gaza a Jabalya, un campo profughi che al tempo ospitava 60.000 persone. Uccise all’istante quattro di loro. Corse veloce la voce che lo scontro non era stato un incidente, ma una vendetta in nome di un israeliano accoltellato a morte alcuni giorni prima nel mercato di Gaza. Quella sera, scoppiò una rivolta a Jabalya, durante la quale centinaia di persone bruciarono pneumatici e attaccarono le Forze di Difesa Israeliane di turno nella zona. La rivolta si espanse ad altri campi profughi palestinesi e infine a Gerusalemme. Il 22 dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condannò Israele per avere violato la Convenzione di Ginevra a causa del numero di morti palestinesi nelle prime poche settimane di intifada.
Molta della violenza palestinese si espresse con mezzi poveri: decine di adolescenti palestinesi affrontavano le pattuglie di soldati israeliani bersagliandoli di sassi. Col tempo questa tattica lasciò il passo agli attacchi con bomba Molotov, più di 100 attacchi con bombe a mano e più di 500 attacchi con fucili o esplosivi. Le IDF, di contro, facevano uso di armamenti e tecnologie di difesa più moderni.
Inoltre, un numero stimato di 1.000 presunti informatori fu ucciso da milizie civili arabe, benché gruppi arabi per i diritti umani palestinesi contestano che molti non fossero collaboratori ma vittime di vendette. Nel 1988 i palestinesi iniziarono un movimento nonviolento di sciopero fiscale, per trattenere le imposte – la legalità del comportamento rispetto alla legge internazionale è discussa. Israele sconfisse il boicottaggio infliggendo pesanti multe, per mezzo di arresti e pignorando beni degli aderenti allo sciopero fiscale. Il 19 aprile 1988 un leader dell’OLP, Abu Jihad, fu ucciso a Tunisi. Durante il sollevamento e la sommossa che seguirono, circa sedici palestinesi furono uccisi. Nel novembre dello stesso anno e nell’ottobre del successivo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò risoluzioni di condanna contro Israele.
Mentre l’intifada proseguiva, Israele introdusse metodi di controllo delle sommosse che avevano l’effetto di ridurre il numero di morti palestinesi.Un altro elemento che aveva contribuito all’iniziale alto numero di vittime era stato l’atteggiamento aggressivo del Ministro della Difesa Yitzhak Rabin nei confronti dei palestinesi. Durante una visita al campo profughi di Jalazon nel gennaio 1988, Rabin disse: “La prima priorità delle forze di sicurezza è di prevenire manifestazioni violente con forza, potere e botte … Faremo capire chi manda avanti i territori”. Il suo successore Moshe Arens mostrò in seguito un comportamento più diplomatico, che forse si tradusse nel minore numero di morti degli anni successivi.
Il 6 luglio 1989, ci fu il primo attacco suicida dentro i confini di Israele, il massacro del bus 405: sull’autostrada da Tel Aviv a Gerusalemme, all’altezza di Kiyiat Yearim, l’autobus 405 fu deviato dal terrorista suicida e precipitato giu` dal precipizio sottostante la strada. 16 furono le vittime. Nessun altro attacco di questa portata avvenne fino a dopo gli Accordi di Oslo. Benny Morris descrive in questi termini la situazione nel giugno del 1990: “Da allora l’intifada sembrò aver perso la strada. Un sintomo della frustrazione dell’OLP era il grande aumento nell’uccisione di sospetti collaboratori; nel 1991 gli israeliani uccisero meno palestinesi – circa 100 – rispetto a quanti ne uccisero i palestinesi stessi – circa 150.” Tentativi di un processo di pace nel conflitto israeliano-palestinese furono fatti alla Conferenza di Madrid dell’ottobre 1991.
Esito
Quando gli Accordi di Oslo furono firmati nel 1993, 1.162 palestinesi (fra cui 241 bambini, alcuni dei quali presero parte attiva nelle violenze) erano stati uccisi da israeliani e 160 israeliani (5 dei quali bambini) erano stati uccisi da palestinesi. Inoltre, approssimativamente 1.000 palestinesi erano stati uccisi da Palestinesi in quanto presunti collaboratori, benché solo il 40-45% di questi uccisi avesse mantenuto contatti con autorità israeliane. Nei primi tredici mesi di intifada, 332 palestinesi e 12 israeliani erano stati uccisi. Questo inizialmente alto dato di morti da parte palestinese era dovuto in gran parte all’inesperienza delle Forze di Difesa Israeliane nella pacificazione e nel controllo della folla. Spesso quando affrontavano dimostranti, i soldati delle FDI non avevano munizioni per il controllo delle rivolte, e sparavano a dimostranti disarmati con proiettili normali.
L’intifada non fu mai uno sforzo militare né nel senso convenzionale né nel senso di guerriglia. L’OLP (che aveva un controllo limitato sulla situazione) non si aspettò mai che la rivolta facesse conquiste dirette a discapito dello Stato di Israele, in quanto era un movimento di massa e non una loro impresa. In ogni caso, l’intifada riuscì a portare ad alcuni risultati che i Palestinesi consideravano positivi:
- Combattendo direttamente gli israeliani, piuttosto che confidando nell’autorità o nell’assistenza degli stati arabi confinanti, i palestinesi riuscirono a rinsaldare la propria identità nazionale indipendente, degna di auto-determinarsi. Questo periodo segnò la fine dell’abitudine israeliana di riferirsi ai palestinesi come ai “siriani del Sud” e in gran parte pose fine alla discussione israeliana di una “soluzione giordana”
- Le brusche contromisure israeliane, in particolare durante i primi anni dell’intifada, portarono al ritorno dell’attenzione internazionale verso la situazione dei palestinesi, come prigionieri nella propria terra. Il fatto che 159 bambini palestinesi sotto i 16 anni, molti dei quali colpiti mentre tiravano sassi a soldati delle FDI, fossero stati uccisi, era particolarmente allarmante per gli osservatori internazionali. Il conflitto ebbe successo nel riportare la questione palestinese sull’agenda internazionale, in particolare all’ONU, ma anche in Europa e negli Stati Uniti, come anche negli stati arabi. L’Europa divenne un importante contribuente economico per la nascente Autorità Palestinese e l’assistenza e il supporto americani verso Israele divennero – almeno in apparenza – più soggetti a condizioni di prima.
- L’intifada causò anche una dura battuta d’arresto all’economia di Israele. La Banca di Israele calcolò che fosse costata al paese $650 milioni in esportazioni mancate, in gran parte a causa della riuscita di boicottaggi palestinesi e alla creazione di microindustrie. L’impatto sul settore dei servizi, inclusa l’importante industria turistica israeliana, fu notevolmente pesante.
- La rivolta può essere collegata alla Conferenza di Madrid del 1991 e quindi al ritorno dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina dal proprio esilio tunisino. Benché le trattative fallirono nell’adempiere il loro potenziale, prima dell’Intifada c’erano dubbi su una futura esistenza di uno Stato palestinese, dopo gli accordi di Oslo, un qualche tipo di Palestina indipendente, prima o poi, sembrava una cosa piuttosto certa.
Infine, Israele ebbe successo nel contenere la rivolta. Le forze palestinesi erano inferiori paragonate alle ben equipaggiate e addestrate Forze di Difesa Israeliane. Comunque, l’Intifada causò diversi problemi riguardo alla condotta delle IDF nei campi operativo e tattico, come anche il problema generale del prolungato controllo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza da parte di Israele. Questi problemi furono rilevati e ampiamente criticati, sia nelle tribune internazionali (in particolare quando erano all’ordine del giorno i problemi umanitari), ma anche nell’opinione pubblica israeliana, che l’intifada spaccò in due.
Chissà dove sono TUTTI quelli che adorano gli extracomunitari quali salvatori della Patria: NON una voce a favore dei Palestinesi! Gli extracomunitari che adorano costoro sono SOLO quelli benedetti da EL PAPA, da Soros e da Gino Strada, Lerner, Sofri, Giuliano Ferrara et similia!
"Mi piace""Mi piace"
Purtroppo o per fortuna la ragione sta sempre nel mezzo. Non si deve dimenticare che sono due popoli cugini e che vengono più o meno dalla stessa terra, ora contesa, che dietro la guerra ci sta lo scontro per la risorsa idrica e la battaglia demografica. Trionfa spesso la miseria culturale della ignoranza che non è povertà economica ma culturale. E riguarda tutti. Storicamente dal Medio Oriente cosiccome dai Balcani non ci si deve mai aspettare nulla di buono in senso pacificatorio, a meno che qualcuno non ci metta una pezza. Il Medio Oriente è vitale per gli interessi occidentali e del mondo intero. Piuttosto che vendere qualche aereo o carrarmato in più, bisognerebbe portare più risorse e sviluppo anche culturale oltre che infrastrutturale
"Mi piace""Mi piace"
Si dice che il mattino (erano le 7 quando il lettore Francesco Russo ci mandava il messaggio) spesso ha l’oro in bocca. E’ il caso del ragionamento del lettore. Ragionamento saggio ma sono certo inascoltato. Oggi più di ieri. O.G.
"Mi piace""Mi piace"
Devo dire che la posizione non violenta di Mustafa Barghouti è interessante anche perché sostenuta dal FPLP, il cui esponente Bassam Abu Sharif era stato, insieme all’ex funzionario dello Shin Bet, Uzi Mahnaimi (hanno raccontato insieme questa esperienza in “Best of Enemies”), uno dei principali “sherpa” degli accordi di Camp David, nonostante un passato tutt’altro che non violento.
Il racconto di questo non facile riconoscimento reciproco testimonia la possibilità di tracciare un percorso differente rispetto a quello che appare drammaticamente già segnato, come un opprimente vicolo cieco.
Barghouti Mustafa è parente di un altro Barghouti, rinchiuso da tempo in un carcere israeliano in quanto terrorista, ed appartiene ad un’altra generazione rispetto alla vecchia guardia rappresentata dal poco amato Abu Mazen.
Se Netanyahu è un leader corrotto che, a questo punto, farebbe di tutto (!) pur di evitare il carcere, quella che si gioca nella Striscia è una partita che non è mai stata chiara perché i veri giocatori sono “coperti”.
Quel che è certo è che c’è stanchezza e rassegnazione alla violenza.
Anche l’identità palestinese, che aveva sostenuto una popolazione provata da mille soprusi quotidiani (il muro!!!), sta venendo meno, lasciando spazio, in chi se lo può permettere, solo al desiderio di andarsene all’estero.
A restare sono, sempre di più, quelli che non hanno niente da perdere.
Una persona, abbastanza giovane, che avevo conosciuto, di padre palestinese e madre beduina, mi diceva del suo rifiuto della opprimente “eredità” paterna, con tutto il peso del dolore di generazioni, e del desiderio di riscoprire, invece, le proprie radici beduine, non ancorate ad un determinato territorio, ma, piuttosto, all’attraversamento di confini negli spazi sconfinati del deserto.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/05/12/conflitto-israele-palestina-abu-mazen-e-netanyahu-temono-di-perdere-il-potere-cosi-lo-scontro-serve-a-mantenere-lo-status-quo/6196086/
"Mi piace""Mi piace"
Anche questo articolo di Haaretz è interessante.
Evidenzia come la scintilla della follia si sia sprigionata da una questione pur (tanto per cambiare) simbolica, ma in fondo circoscritta, che, quindi, si sarebbe potuta gestire in modo diverso, tenendo lontani i fantasmi di morte & vendetta che, da sempre, aleggiano da quelle parti.
Mostra, inoltre, il possibile ruolo della società civile e dell’opinione pubblica, ma anche, a livello politico, degli arabi israeliani, che sono cittadini a tutti gli effetti, al punto da essere esibiti come prova inconfutabile della democraticità dello Stato israeliano.
Credo, del resto, che, nonostante il dolore che attraversa molte famiglie, siano davvero pochi gli abitanti di questa terra martoriata, divisi eppure “cugini”, ad auspicare la carneficina che si verificherebbe nel caso di un attacco di terra al triste ghetto della Striscia di Gaza.
https://www.haaretz.com/israel-news/.premium.MAGAZINE-we-can-t-remain-silent-any-longer-1.9801390
"Mi piace""Mi piace"
Rispetto al caso specifico dell’israeliano divenuto proprietario degli edifici del quartiere di Gerusalemme Est che vorrebbe sgomberarne gli abitanti palestinesi PROPRIO a ridosso dell’ultimo giorno del Ramadan (che è un giorno di festa, forse il più importante e sentito), la cosa è molto strana e puzza di provocazione.
Un amico palestinese, assai benestante, nel 1967 dovette lasciare la casa dove era nato lui, suo padre, suo nonno, il suo bisnonno, ecc (si vanta di appartenere ad una delle famiglie palestinesi più antiche di Gerico). Aveva 4 anni quando fu costretto ad andare via in pigiama, perché lo sgombero avvenne di mattina presto e lui stava dormendo. Sostiene di non poter dimenticare quella moltitudine di persone in cammino su una strada polverosa, con i pochi ricordi che era riuscita a portare con sé.
La sua famiglia di ricchi commercianti di olio, alla quale non mancavano certo i mezzi, non è certo finita in un campo profughi UNRWA: adesso vive in una grande villa in Giordania, presso il confine, con le finestre rivolte verso l’altra sponda del fiume.
Lui, invece, vive in Italia da più di 30 anni ed ha sposato un’abruzzese, mentre un fratello è a Doha.
Divenuto finalmente cittadino italiano, con il nuovo passaporto è potuto rientrare in Israele, cosa che con il precedente passaporto giordano non gli era consentita, essendo considerato indesiderato per i legami della sua famiglia con la dirigenza OLP e per quelli suoi con il FPLP.
La prima cosa che ha fatto è stata di andare a vedere la casa di famiglia nei pressi di Gerico, che aveva dovuto lasciare da bambino. Si è presentato all’attuale abitante israeliano che, inizialmente preoccupato, accertatosi delle sue intenzioni non minacciose, lo ha fatto entrare e gli ha offerto un tè.
Uno degli aspetti più crudeli della Nabka è stata la distruzione sistematica dei documenti attestanti la proprietà di edifici e terreni da parte dei palestinesi. Poi, gli immobili sottratti sono stati messi sotto il controllo di un ente statale, che li ha assegnati agli attuali abitanti israeliani.
Ciò anche per evitare che uno come il mio amico potesse un giorno ricomprarli.
Infatti, è proprio questo che lui aveva pensato di fare e la cifra offerta era risultata anche molto allettante per l’attuale abitante (non particolarmente abbiente) che, però, non aveva potuto, suo malgrado, accettare l’offerta, non essendo, di fatto, il proprietario.
Ricordandomi di questa storia, la vicenda degli sgomberi a Gerusalemme Est mi sembra una provocazione bella e buona.
Insomma, i soliti mostri in astinenza di sangue. Di bambino, per di più.
Riusciranno, una volta tanto, le forze della vita a scongiurare i lugubri disegni di morte? E chi sarà in grado di sostenerle nella difficile battaglia della convivenza pacifica?
2 popoli ed un unico Stato democratico o 2 ghetti, ciascuno barricato nel proprio risentimento?
La demografia non può essere la scusa con la quale condannare una popolazione sempre più ridotta a farsi carnefice di una moltitudine sempre più derelitta.
"Mi piace""Mi piace"
Mentre il Barghouti Mustafa si spende per una soluzione non violenta, destinata ad essere silenziata dal fragore delle bombe, l’altro ben più popolare Barghouti Marwan, assai temuto dagli israeliani, rischiava di risultare vincitore delle elezioni presidenziali palestinesi, che si sarebbero dovute svolgere dopo ben 15 anni anche a causa del sostanziale accordo tra l’allora vincitore Hamas e lo sconfitto Abu Mazen.
Alle origini dell’attacco di Netanyahu alla Striscia di Gaza, il rischio di un Marwan Barghouti eletto presidente palestinese pur se rinchiuso in un carcere israeliano.
Qui un breve profilo di Marwan Barghouti, che la prigionia e le recenti violenze israeliane nel giorno festoso di Air al-Fitr trasformeranno in un potentissimo simbolo.
"Mi piace""Mi piace"
Per un quadro complessivo più ampio rispetto alla temibile miscela composta dallo svanire delle ambizioni governative del corrotto Netanyahu + la questione delle elezioni dell’Autorità Palestinese, ho trovato questo breve articolo dell’amico Tonino, di soltanto qualche giorno fa, quando la follia non era ancora iniziata.
Interessante la definizione di “auto-emarginati con errori” per i “due protagonisti più esagitati”, Netanyahu e Mohammed Bin Salman the Ripper, avvinti come l’edera del cd Patto di Abramo (ma possono due soggetti di questo tipo promuovere la pace? Con quei precedenti?).
Mi fa pensare che è proprio quando uno si trova con le spalle al muro che vede la violenza come soluzione efficace.
Interessante anche l’accenno “inglese” …
https://italiaeilmondo.com/2021/05/05/un-ramadan-con-prospettive-_di-antonio-de-martini/
"Mi piace""Mi piace"
Bibi apprendista stregone
https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/netanyahu-e-isolato-e-sfrutta-la-guerra-per-unire-il-paese-qrug462m
"Mi piace""Mi piace"
Per far felice il lettore Matteo, il punto di vista di un sino-israeliano di sua conoscenza
https://www.ildenaro.it/le-relazioni-cordiali-fra-israele-e-cina-e-limperante-fastidio-mostrato-dagli-usa/
"Mi piace""Mi piace"