Oggi, 8 luglio 2021, Edgar Morin compie il Centesimo anno di vita e inizia il suo 6° Ventennio

Edgar Morin, con oggi, inizia il 6° ventennio di saggezza di cui dobbiamo essere avidi cultori.
Scelgo per festeggiare il giorno di letizia una frase che venti anni addietro il professore ci (ad Emanuela Bambara e al sottoscritto) affidò:
“Ciò che manca (mancava all’epoca e manca ancora oggi ndr Oreste Grani) perché una società-mondo possa costituirsi non come il compimento planetario di un impero egemonico, ma sulla base di una confederazione civile, non è un programma né un progetto, ma sono i principi che permettono di aprire una via. Qui prende senso ciò che ho chiamato antropolitica (politica dell’umanità su scala planetaria) e politica di civilizzazione.
Tutto questo deve portare, innanzitutto, a disfarci del termine di sviluppo per quanto corretto o addolcito in sviluppo durevole, sostenibile o umano.
L’idea di sviluppo ha sempre comportato una base tecnico-economica misurabile per mezzo degli indicatori di crescita e di quelli di reddito. Essa suppone implicitamente che lo sviluppo tecnico-economico sia la locomotiva che trascina naturalmente al suo seguito “uno sviluppo umano” il cui il modello perfettamente compiuto è quello dei Paesi cosiddetti sviluppati, ovvero, occidentali. Tale visione suppone che lo stato attuale delle società occidentali costituisca lo scopo e il fine della storia umana.
Lo sviluppo “durevole” si limita a moderare lo sviluppo in rapporto al contesto ecologico, senza metterne in discussione i principi: nell’espressione “sviluppo umano”, la parola “umano” è priva di ogni sostanza, a meno che essa non rinvii al modello umano occidentale, che, certo, comporta dei tratti essenzialmente positivi, ma anche, lo ripetiamo, dei tratti essenzialmente negativi.
Anche, lo sviluppo, nozione apparentemente universale, costituisce un mito tipico del sociocentrismo occidentale, un motore di occidentalizzazione forsennata, uno strumento di colonizzazione dei “sottosviluppati” (il Sud) da parte del Nord. Come dice giustamente Serge Latouche, «questi valori occidentali (dello sviluppo) sono proprio quelli che bisogna mettere in dubbio per trovare una soluzione ai problemi del mondo contemporaneo» (Le Monde diplomatique, maggio 2001).
Lo sviluppo, così com’è definito, ignora ciò che non è né calcolabile né misurabile, cioè, la vita, la sofferenza, la gioia, l’amore, e la sua sola misura di soddisfazione è la crescita (della produzione, della produttività del reddito monetario). Definito unicamente in termini quantitativi, esso ignora le qualità: la qualità dell’esistenza, la qualità della solidarietà, la qualità dell’ambiente, la qualità della vita.“

Con oggi apriamo la nostra finestra sul futuro di Morin e su quel contrasto all’iperindividualismo, a quello spirito di lucro prevalente su tutto, alla perdita di ogni forma di solidarietà. Perdita che è nemica giurata dello stare insieme. E di quello spirito di rigenerazione senza il quale nulla sarà più possibile. E per nulla intendo dire l’impossibilità di qualunque politica per l’Umanità.
Oreste Grani/Leo Rugens