Alcuni opportunamente cominciano a parlare di tras-formazione dell’economia italiana
La rete serve anche per documentarsi seriamente e non solo quindi per rilanciare culi al vento, pettegolezzi senza fine, tette rifatte e insinuazioni permanenti sul malaffare che connota la vita pubblica.
Se volete ad esempio sapere cosa io pensi di problematiche attinenti le infrastrutture portuali che, spero vi sia chiaro, sono importantissime per l’Italia e le sue coste, basta rileggere il post che ho pubblicato (e ripubblicato) sin dal 21 marzo 2013. Con quegli spunti e successivamente con il richiamo a quanto in tema di Meditteraneo (questione letta dal punto di vista dei trasporti e dei traffici marittimi) ho scelto tra gli elaborati del Prof. Paolo Sellari (Il Mediterraneo nella geopolitica dei traffici marittimi), penso di aver posto le basi di un ragionamento con chi volesse discutere con me di “sicurezza nazionale“. Con me e non con Umberto Saccone (quello) o il neo pensionato Marco Mancini. I porti (ed ovviamente gli annessi e connessi) sono nodi senza lo scioglimento dei quali il rilancio dell’Italia è vaniloquio. Pronto quindi perché, sentite a me, non c’è un minuto da perdere o i soldi (i mitici 200 miliardozzi) finiscono in una super impastatrice. O lavatrice?
Oreste Grani/Leo Rugens
IL FRONTE (ILLEGALE) DEI PORTI SI SCONFIGGE CON UN PIANO DI STRATEGIA DI SICUREZZA NAZIONALE

Francesco Bellavista Caltagirone, al quale il 21 marzo 2013 sono stati sequestrati beni per un valore di 145 milioni di euro, è uno spregiudicato costruttore di porti ed è stato nuovamente arrestato il 19 marzo 2013; pensare che era tornato in libertà il 4 dicembre dell’anno scorso dopo ben nove mesi di custodia. Il primo arresto, per essere precisi, riguarda la costruzione del porto di Imperia, il secondo per un porto turistico a Fiumicino.
I lettori di Leo Rugens hanno già capito dove andiamo a parare quando evidenziamo la contiguità tra luoghi di vitale importanza per la sicurezza del Paese, quali sono i porti, e il malaffare.
Facciamo un altro richiamo. Aulla, 18 agosto 2011, sequestro di una tonnellata di cocaina arrivata via mare e sbarcata al porto di La Spezia.
La Spezia ha un porto militare, cantieri navali militari e nell’entroterra ospita la produzione di armi, dai carri armati in giù.
Non c’è alcun nesso tra Bellavista Caltagirone e il traffico della cocaina, tuttavia che i porti siano mal frequentati perché mal gestiti, fin dalle fondamenta, è una tesi non confutabile.
Più e più volte siamo tornato sulla questione dei porti (vedi 1 – 2 – 3), perché abbiamo individuato quale elemento di criticità per la sicurezza nazionale la totale mancanza di strumenti adeguati a monitorare:
a) chi e che cosa transiti sulle banchine (armi, rifiuti tossici, droga, immigrati);
b) chi e con la complicità di chi controlli le attività illegali che ruotano intorno ai porti.
Data per scontata l’attitudine criminale delle organizzazioni criminali, senza la complicità o la connivenza di chi è preposto alla gestione delle strutture portuali nel loro inscindibile rapporto con gli apparati di sicurezza e le amministrazioni locali, quindi, nazionali è impensabile che nei porti accada quel che accade.

Queste notizie di cronaca introducono il tema della necessaria Strategia di Sicurezza Nazionale, nella sua articolazione dedicata alle infrastrutture portuali.
Mancano poche ore all’anniversario del convegno Lo Stato Intelligente – I finanziamenti europei per l’innovazione e per la sicurezza tenutosi il 23 marzo del 2012 alla Camera dei Deputati. Nei nostri intendimenti, esso doveva dare il via a una campagna di sensibilizzazione della pubblica opinione sui temi della sicurezza e dello stretto rapporto che li lega all’etica e al rinnovamento dei criteri di reclutamento, di selezione e di formazione di una classe dirigente destinata ad affrontare le complessità implicite in questi temi.
Ci sia concesso accennare solo di sfuggita al fatto che il percorso intrapreso con il convegno sia stato rallentato, non interrotto, da chi consideriamo nemico della Repubblica, del progetto Ipazia e della Strategia di Sicurezza Nazionale. Oggi, con lo strumento del web, ben testato nei suoi effetti immediati, affidiamo ai rappresentanti del M5S, in particolare a quelli che risiedono in città portuali, i contenuti di questo lungo post.
Oltre che dalla crisi economica, il Paese è minato da eventuale inazione su questi temi e dalla frammentazione politica rappresentata dai soggetti partitici interessati solo ad auto conservarsi. Viceversa ci vogliamo fidare dei deputati e senatori del M5S per una scelta, consolidata nel tempo e ragionata.
In modo ripetitivo (abbiamo già utilizzato queste espressioni) premettiamo che il vero problema per l’Intelligence dei nostri tempi non è la raccolta informativa, non è l’analisi, non sono i rapporti con le altre comunità di intelligence, è il rapporto con il livello politico. Il modo di intendere l’Intelligence si è modificato e, soprattutto, necessita di essere modificato, per adeguarsi alle nuove condizioni di esistenza, nazionale, internazionale e planetaria.
Occorre, cioè, ripensare una “cultura dell’Intelligence” adeguata ai nostri tempi e alla nostra realtà.
In Italia è assente un dibattito sufficientemente scientifico e articolato intorno ai nuovi concetti di intelligenza e di sicurezza. Tale carenza ha provocato una condizione di pericolo per il nostro Paese nell’attuale crisi internazionale e mondiale, caratterizzata dalla rottura degli equilibri politici e dal predominio dell’economia finanziaria virtuale, con mescolamenti culturali caotici, che sono seguiti, in particolare, alle nuove scoperte tecnologiche, soprattutto nell’informatica e nella comunicazione, con il diffondersi dei social network e di “circoli” telematici, come è parso particolarmente evidente negli avvenimenti della cosiddetta “Primavera araba”.

Siamo drammaticamente fuori dalle dinamiche mediterranee, e quindi, da quella che sarà l’unica possibile soluzione strategica per la nostra identità ed economia.
Abbiamo introdotto volutamente il concetto di “dinamiche mediterranee” perché se ne porta dietro un’altro: “strutture portuali e loro complessità”.
L’Italia che oggi appare smarrita e senza futuro non deve, pena la sua stessa esistenza, cedere sovranità sui porti e sull’amministrazione delle città che ne sono dotate. Ecco perché poniamo il problema del profilo etico morale degli amministratori dei comuni sede di porto. L’infezione e la corruzione sono gravi ovunque ma in modo particolare nei territori di varco preposti all’andare e al venire delle genti e delle merci. Il testo che riportiamo è ospitato nella forma elettronica della rivista ufficiale “Gnosis” dell’AISI:
La sicurezza portuale
di Ciro Cataletto
Se fino ad oggi l’attenzione degli eserciti era sempre rivolta ai loro simili, e quindi agli apparati militari degli altri Stati nazionali e alla loro difesa, ora il mondo deve affrontare minacce di portata transnazionale da parte di singoli individui e organizzazioni, che dopo l’11 settembre 2001 si sono imposte come il nuovo nemico globale in concorrenza con gli stati stessi, l’economia e la società.
Questi avversari hanno una struttura senza confini, non territoriale e decentralizzata.
A tutto questo si aggiunge poi la minaccia dell’individualizzazione delle azioni terroristiche pianificate da singoli individui. Ciascuno di essi infatti può possedere le conoscenze tecniche per poter sabotare centri produttivi e/o energetici. È questo il tipo di nemico che a differenza dei gruppi eversivi risulta più difficile individuare con i mezzi tradizionali d’intelligence. L’attuale impegno della nuova intelligence consta nell’implementare ed adottare nuovi modelli di protezione preventiva, capaci quindi di anticipare le più disparate ed inimmaginabili minacce.
Prevenire, cioè agire prima, va inteso sia nel senso di cercare di vedere cose future a livello temporale, “quando il fatto accadrà” e a livello spaziale, “la sede del potenziale bersaglio” oggetto dell’azione eversi-va/terroristica.
La vulnerabilità del sistema ideato pertanto dipenderà dal livello di protezione dei suoi centri nevralgici.

La security portuale
L’Autorità Portuale insieme all’Autorità Marittima ha la responsabilità di effettuare la valutazione del rischio degli impianti portuali e delle parti comuni. I porti, spesso situati in prossimità di città, assumono quindi un ruolo essenziale nel sistema logistico di trasporto, in quanto consentono il collegamento fra le rotte marittime e terrestri del commercio e del traffico passeggeri. L’impatto delle minacce ordinarie e straordinarie per la sicurezza portuale è dunque particolarmente rilevante perché un eventuale attacco a tali strutture colpirebbe seriamente l’immagine del “Paese obiettivo” creando disagi economico-commerciali (ritardo o blocco di cicli produttivi) e psicologici (effetto panico) di non facile risoluzione. S’impone allora l’esigenza di salvaguardare, da un lato, le vie dei rifornimenti e dei commerci e, dall’altro, la fiducia degli utenti nella sicurezza della navigazione.
Sulla base delle linee guida emanate dal CISM, la valutazione del rischio che un evento indesiderato possa manifestarsi avviene individuando i possibili obiettivi, i relativi punti di maggior debolezza e le eventuali misure di mitigazione adottabili (misure atte a limitare i danni).
Port Facility Security Plan (PFSP)
Il Port Facility Security Officer (PFSO) ossia il responsabile Security del Porto nominato dall’Autorità Marittima su segnalazione dell’Autorità Portuale, ha la responsabilità, secondo le indicazioni della normativa di riferimento, di redigere il Piano di Security dell’Impianto Portuale (PFSP – Port Facility Security Plan), dove sono contenute tutte le indicazioni relative alle misure organizzative, tecniche ed infrastrutturali che la società terminalista deve porre in essere a difesa della propria azienda e dell’interfaccia nave/porto, con riguardo a ciascuno dei tre Livelli di Security previsti. Qualsiasi “piano generale di security portuale” mira sempre a proteggere le seguenti entità:
– le Port Facility, ossia le infrastrutture sensibili e nevralgiche (banchine, società, aree adibite al trasporto o stoccaggio di materiali pericolosi, cabine energetiche o strutture idriche…);
– le Navi (sia passeggere che commerciali, a prescindere dalla stazza);
– le Maestranze (passeggeri, lavoratori marittimi, lavoratori portuali, semplici visitatori).
Il piano generale di security portuale è sempre il frutto della collaborazione tra:
– il responsabile security dell’Autorità Marittima (Capitaneria di Porto);
– i vari responsabili security delle imprese regolarmente operanti all’interno del territorio portuale, attraverso la concessione o autorizzazione allo svolgimento dell’attività d’impresa, che redigeranno propri piani di security, validi solo se controllati e certificati dai responsabili security della Capitaneria di Porto e/o dell’Autorità Portuale.
– il responsabile security dell’Autorità Portuale (rientrano nella sua competenza tutti gli spazi portuali “free”, cioè liberi da concessi e autorizzazioni a favore di privati).
Ne consegue che il piano generale di security portuale dovrà inglobare quanto previsto dai singoli piani di security privata che gli amministratori delle varie attività d’impresa operanti nel territorio portuale dovranno redigere annualmente e variare ogni qualvolta mutino le situazioni originarie.
I piani di security non possono essere rigidi bensì dovranno essere flessibili, cioè modificati e rivisti ogni volta che muti lo scenario di partenza.
Rientra nella competenza del piano generale di security tutto ciò che si trova all’interno della cosiddetta ” linea di security”.
La linea di security è una linea immaginaria che varia da struttura a struttura da porto a porto secondo l’intuito, la lungimiranza e l’accurata attività d’intelligence svolta dai responsabili della security portuale.
Questo concetto va differenziato da concetti similari facilmente ed erroneamente oggetto di potenziale confusione e cioè la “cintura doganale “e la “cintura portuale”.
La cintura doganale rappresenta quella parte di territorio portuale dove tutti i flussi in entrata e in uscita sono potenzialmente assoggettabili a controlli da parte delle autorità preposte.
Al riguardo è davvero interessante sottolineare che al momento nei porti europei e specialmente in quelli italiani la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Dogane riescono a controllare circa il 50% del traffico di container importati.
La cintura portuale invece delinea la separazione tra il territorio portuale e la città, con cui esso interfaccia.
Molto raramente queste tre linee coincidono e la linea di security spesso è molto più ristretta delle precedenti.
Le zone soggette a misure di security portuale si distinguono poi a seconda del livello di sensibilità, e quindi di relativa vulnerabilità, che comporta un crescente controllo, in:
– Aree ad accesso ristretto.
– Aree ad accesso limitato, maggiormente controllate.
Il personale di security portuale non ha poteri di autorità giudiziaria e quindi la qualifica di pubblico ufficiale, pertanto, opera durante l’espletamento delle proprie funzioni con l’ausilio di esponenti delle Forze dell’Ordine e di addetti autorizzati alla vigilanza privata (previo licenza prefettizia).
Questi ultimi si distinguono in:
– Guardie particolari Giurate (G.P. G.), con dotazione armata;
– Unità non armate addette ai servizi di Vigilanza (il cosiddetto Portierato).
L’ISPS Code individua i principali contenuti del Piano di Security dell’impianto portuale:
Accesso alla Port Facility (Impianto Portuale): è previsto il rigoroso controllo degli accessi alle aree portuali, per garantire sia la security che la safety degli utenti della infrastruttura.
Zone ad accesso ristretto: con questa espressione si fa riferimento ad aree particolarmente sensibili del terminal (depositi di carburante, centrali elettriche, telefoniche e radio, sale di comando e controllo, strutture IT), in quanto ospitano obiettivi cruciali che meritano una specifica protezione in caso di attacco dall’esterno.
Movimentazione del carico: il controllo all’ingresso del carico, durante il deposito ed al momento dell’imbarco, rappresenta un momento critico che va disciplinato, attraverso il PFSP, secondo puntuali protocolli di sicurezza; nel caso di traffico container, il controllo della presenza e dell’integrità del sigillo, appare indispensabile al fine di verificare debitamente l’integrità della merce e la sicurezza dell’intera catena logistica.
Consegne delle provviste di bordo: l’ingresso a bordo della nave delle provviste deve avvenire solo a seguito di accurati controlli sull’identità, sulla ragione e sulla tipologia della consegna e dopo un’attenta verifica degli alimenti.
Movimentazione di bagaglio non accompagnato: soprattutto nel settore crocieristico, la gestione del bagaglio, in particolare quello gestito in assenza del proprietario, riveste particolare criticità; il Programma Nazionale di Sicurezza Marittima, su questo punto, indica procedure e standard minimi che devono essere tenuti in considerazione, sia per la parte organizzativa e di formazione, che per la scelta dei macchinari di controllo bagaglio.
Sorveglianza e pattugliamento: nell’ambito della sorveglianza della port facility (impianto portuale), la componente umana si salda con la componente tecnologica. Il controllo del sistema portuale deve avere come oggetto sia la banchina che le aree adibite a deposito, posto che nel nostro paese la responsabilità della sorveglianza degli specchi acquei non ricada sul terminalista; normalmente si utilizza personale formato al fine di garantire il pattugliamento, spesso affiancati da sistemi di videosorveglianza più o meno sofisticati. La scelta della soluzione dipende in massima parte dal livello di rischio.
Comunicazioni di security: deve essere garantita la possibilità di effettuare comunicazioni relative agli aspetti di security (sia attraverso sistemi radio che telefonici e mediante la rete internet) fra l’interno della nave e l’esterno, in ogni momento, soprattutto in situazioni di emergenza.

Formazione, informazione e familiarizzazione: il Programma Nazionale di Sicurezza Marittima prevede percorsi formativi definiti per tutti coloro che esercitano a vario titolo compiti di security. La formazione è destinata ai PFSO ed ai loro deputy. L’informazione al personale con compiti diretti di security ha per oggetto i contenuti del PFSP, mentre un livello minimo di familiarizzazione con i protocolli operativi di sicurezza è previsto per tutto il personale della Port Facility.
Livello di security
Quando si parla di sicurezza nei porti, si parla delle procedure di sicurezza portuale, del tipo di procedure in essere e di quelle che si devono adottare per poter definire un porto “sicuro”. Pertanto si parla fondamentalmente della gestione della sicurezza basata sul rischio, che risulta essere la “probabilità moltiplicata per le conseguenze”. Si esamina la probabilià che si verifichi un fatto, si esaminano le conseguenze e si ha un quadro del rischio e delle condizioni di sicurezza del porto.
Ed è su queste basi che l’International Marittime Organization (I.M.O.), istituto specializzato nella sicurezza della navigazione, ha prontamente elaborato una serie di norme intese a migliorare la sicurezza delle navi, dei passeggeri, del carico relativamente al profilo della prevenzione da attacchi terroristici, introducendo un nuovo concetto di sicurezza improntato sulla protezione.
Vengono pertanto adottate un insieme di misure di sicurezza attive e passive, articolate in tre livelli, la cui attuazione concreta è correlata all’analisi dei rischi:
– “Livello di security 1 o livello normale”: è il minimo livello di security corrispondente al funzionamento normale di navi e impianti portuali;
– “Livello di security 2 o livello elevato”: applicabile fintantoché persiste un rischio maggiore di incidente per la security;
– “Livello di security 3 o livello eccezionale”: livello di security applicabile per il lasso di tempo durante il quale il rischio di incidente per la security è molto probabile o imminente.
Le principali procedure di sicurezza da attivare in caso di minaccia da incidente di security, stabilite dall’ISPF Code riguardano: l’allarme generale per richiedere assistenza delle forze dell’ordine/vigili del Fuo-co/soccorso sanitario; il controllo e la verifica delle aree di banchina e tombini; l’evacuazione dell’impianto portuale e delle navi all’ormeggio nel caso di esplosione/incendio/terroristico in genere/disastro naturale; la limitazione dei danni e l’azione di contrasto al dirottamento o sequestro della nave all’ormeggio e delle persone a bordo; la prevenzione del contrabbando di armi/dotazioni/ equipaggiamenti, comprese le armi di distruzione di massa; l’impedimento dell’utilizzo della nave come arma o mezzo per causare danni e distruzione; l’impedimento dell’utilizzo della nave per bloccare l’entrata del porto.

Piano di security del Porto di Napoli
Attualmente il Piano di Security Portuale implementato di comune accordo tra i Responsabili della Capitaneria di Porto e quelli dell’Autorità Portuale di Napoli, rispecchia la logica previsionale, premiando la logica “prevenire è meglio che intervenire poi successivamente”.
Risulta quindi seguire lo schema tradizionale, che vede la divisione dello stesso piano in due sezioni.
La prima sezione in cui sono riportate tutte le informazioni generali per sviluppare il piano informativo di sicurezza e quindi:
– Identificazione delle infrastrutture sensibili da proteggere;
– Identificazione dei punti più vulnerabili per ciascuna infrastruttura sensibile;
– Identificazione delle procedure per la riduzione dei rischi;
– Schemi relativi le procedure da seguire.
La seconda sezione in cui si sviluppano tutte le tabelle di valutazione:
– Valutazione e conseguenze al verificarsi di determinati eventi;
– Valutazione della vulnerabilità;
– Mitigazione della vulnerabilità;
– Individuazione delle strategie di mitigazione, cioè atte a minimizzare i danni.
Nel Porto di Napoli esistono numerose strutture sensibili, basti pensare ai numerosi moli e varchi, a cui attraccano in continuazione navi, di qualsiasi dimensione, sia passeggere che commerciali e/o a traffico misto.
Non è facile implementare un sistema di security portuale per la città di Napoli, per il semplice fatto che il Porto è “vissuto” dalla popolazione locale come fonte produttiva di ricchezza attraverso il commercio. Basti pensare che all’interno della cintura portuale esistono numerose attività, alcune strettamente correlate con la navigazione (biglietterie, società di navigazione, agenzie turistiche…) altre un po’ meno , rappresentanti l’indotto tipo numerosi bar, ristoranti, pasticcerie, tabaccherie, edicole e tra qualche anno anche un grosso centro commerciale, all’interno del terminal crocieristico, situato all’interno della Stazione Marittima.
Il volume d’affari in termini di ricchezza prodotto dal porto di Napoli si aggira intorno al 30-35% della ricchezza totale prodotta dalla Regione Campania nel proprio bilancio consuntivo.
Si pensi quindi che un attentato terroristico sarebbe capace di creare numerosi danni all’attività commerciale paralizzando temporaneamente i traffici di merci e comportando in tal senso perdite economiche immani, capaci di compromettere l’economia non solo regionale ma anche di numerosi paesi che intrattengono scambi continui con l’Italia per mezzo del porto napoletano oppure con paesi esteri e quindi utilizzando lo scalo partenopeo come semplice base di appoggio da cui far ripartire la merce a stesso mezzo o attraverso mezzi complementari.
Le possibili minacce che potenzialmente potrebbero interessare il Porto in questione sono:
– Danneggiamento e/o distruzione di navi o banchine adibite ai traffici commerciali o al turismo crocieristico attraverso l’utilizzo di esplosivi, incendi, sabotaggi, atti di vandalismo;
– Alterazione o avvelenamento delle risorse idriche che la società Idraporto fornisce alle navi;
– Sequestro di navi o di persone che si trovano a bordo;
– Manomissioni o manipolazioni di carichi, equipaggiamenti, dotazioni essenziali di bordo, provviste di bordo;
– Accesso clandestino a bordo o presenza di clandestini a bordo;
– Contrabbando di armi, dotazioni, equipaggiamenti e armi di distruzione di massa;
– Uso della nave stessa come arma o mezzo, al fine di causare danni;
– Uso della nave stessa per il trasporto di persone intenzionate a provocare un incidente alla sicurezza;
– Blocco dell’entrata del porto, del canale di accesso o di una chiusa portuale;
– Attacco nucleare, biologico, chimico;
– Manomissione di reti e strutture energetiche, con l’intento di bloccare il traffico del naviglio;
– Intromissione non autorizzata di virus nel sistema informatico centrale;
– Intromissione non autorizzata nel sistema informatico centrale con l’intento di carpire strategie, informazioni riservate, informazioni riservate controllate (accessibili ad un numero ristretto di persone).

Considerazioni conclusive
La sicurezza del porto al momento è garantita dal personale di vigilanza privata (addetti al Portierato non armato e Guardia Particolari Giurate armate); da un accurato sistema di videosorveglianza; dall’utilizzo di barriere di protezione per limitare o vietare completamente l’accesso a determinate zone del porto (recinzioni); dall’utilizzo di sofisticati rilevatori tecnologici per la lettura veloce delle targhe automobilistiche.
Tra qualche anno essendo stato approvato il nuovo piano di security, il quale prevede un investimento netto di 400 milioni di euro, il Porto di Napoli vanterà il più innovativo sistema di video-sorveglianza, audio-sorveglianza, laser-sorveglianza.
Circa 300 telecamere, numerose meccanismi audiometrici e ad infrarossi permetteranno di scrutare ogni angolo del porto da una cabina di regia disposta presso la struttura che ospita l’Autorità Portuale e quella Marittima, che dotata di numerosi occhi e orecchie invisibili, compatibilmente alla privacy, verrà utilizzata anche dalle Forze di Polizia e dall’Autorità Giudiziaria per controllare i traffici, le movimentazioni e tutte le varie fasi delle operazioni che si svolgeranno nella zona portuale interna alla cintura di security, con lo scopo appunto di scoprire eventuali black-business frutto di attività criminose.
Infatti secondo il Personale di Pubblica Sicurezza operante all’interno del porto, i reati più comuni perpetrati sono: furto di semirimorchi; traffico di semirimorchi rubati; furto di merci; traffico di merci rubate; rapine agli esercenti attività commerciale sia direttamente che indirettamente collegata a quella di navigazione; traffico internazionale di mezzi auto e mezzi industriali prima rubati e poi contraffatti; traffico di rifiuti tossici provenienti un po’ da tutta l’Europa e diretti in Africa; furti a bordo delle navi ormeggiate in porto; traffico internazionale di droga; traffico internazionale di armi; traffico internazionale di scadenti prodotti cinesi, a volte nocivi per la salute (prodotti alimentari e pomodori in particolare, tessuti, tabacchi, materiale elettronico e informatico).
Questi ragionamenti sono validi per Napoli, che, infatti, da pochi mesi, si è attrezzata con un sindaco “magistrato” e una giunta al di sopra di ogni sospetto per moralità e volontà di cambiamento.
Lo stesso cambiamento portato dallo tsunami politico del M5S ci auguriamo pervada anche tutte le amministrazioni delle città sede di porti.
Per oggi ci fermiamo qui, perché, ci dicono, i post troppo lunghi non li legge nessuno.
Le redazione di Leo Rugens




tratto da LA SUPERFICIE OPACA: Nel dicembre del 2011, il signor Wei Jiafu, presidente della maggiore compagnia marittima commerciale cinese, la China Ocean Shipping Co. (COSCO) ha annunciato che la sua compagine era in trattative per l’acquisizione di un porto di grandi dimensioni nella costa Est degli Stati Uniti oppure nel Golfo del Messico. Si suppone che nel mirino ci fosse il porto di Baton Rouge, cioè il porto di New Orleans … nientedimeno! La cosa potrebbe essere favorita dal fatto che lo stato della Louisiana sotto l’articolo 7, sezione 14 della costituzione prevede accordi cooperativi nel caso di infrastrutture. In parole povere: apertura all’entrata di capitali stranieri in porti ed aeroporti, ad esempio. Giustamente il giornalista Jenkins fa notare che da sempre i porti hanno costituito un punto d’appoggio perfetto dell’aurea catenaria su cui si basa ogni rete dei servizi segreti.
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nota 54 ne LA SUPERFIIE OPACA: «Nel 2009, tra l’inizio dell’anno e il mese di agosto, sono arrivati al porto di Napoli dalla Cina 240.000 container. “Mille al giorno […] collocati nel terminal Conateco. […] In un certo senso anche questo è territorio cinese: il terminal Conateco dal 2002 è di proprietà di una s.p.a. formata da Cosco, l’armatore cinese di Stato, insieme alla MSC, altro gigante del settore navale, con sede legale in Svizzera ma creato da un armatore campano. Insomma il più grande armatore cinese ha comperato una fetta del porto di Napoli […]. D’altronde, cosa ci sia dentro i container […] non è questione che riguarda chi gestisce il terminal, ma è argomento delle dogane», I.M.D., Dragoni e lupare. Immigrazione e criminalità cinese in Italia tra realtà e leggenda, Dario Flaccovio editore, Palermo, 2011, pp. 75, 76.
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Senza commento (vedere mia vecchia ricostruzione, ma anche altre notizie del giorno)
https://www.lacnews24.it/cronaca/rinascita-scott-l-avvocato-diddi-contro-tutti-scontro-con-il-pm-e-il-tribunale_139356/
Povero Fra’!!
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No comment 2
https://www.unical.it/portale/strutture/dipartimenti_240/discag/personale/docenti/associati/
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