Ciò che non si rigenera degenera. Edgar Morin

 

Mi giunge notizia che Edgar Morin, informato del post a lui dedicato da Emanuela Bambara, abbia mandato ringraziamenti. Non posso essere più dettagliato perché dovrei passare per una richiesta di spiegazioni alla Bambara. La vita mi ha mostrato che se commettessi questo errore (chiedere lumi alla filosofa) mal me ne verrebbe per i prossimi anni. Ed io non solo temo di averne pochi a disposizione ma non è mia intenzione intossicarmeli più di quanto abbia fatto negli ultimi venti ogni volta che ho provato ad avere scambio con l’intellettuale siculo-milanese.

Tornando a Morin e al suo prossimo ventennio. In uno dei suoi pensieri che mi ha particolarmente colpito, Morin parla dell’acqua e di come l’essere vivente sia una macchina termica che funziona alla temperatura di 37 gradi. La materia di questa macchina è essa stessa paradossale, poiché non è né veramente solida né totalmente liquida. La cellula non è né solida, né liquida, essa vive in uno stato vischioso colloidale intermediario, che comporta una grande quantità d’acqua. L’organismo vivente è costituito per la maggioranza di liquido, ma comporta dell’apparentemente solido: corazza, cartilagine, ossa, vertebre. Tuttavia non è veramente solido.

L’esperto di termodinamica austriaco Trincher sottolineava che se il vivente fosse veramente solido, avrebbe la rigidità del cristallo e non potrebbe vivere; se fosse liquido sgocciolerebbe e si dissolverebbe. L’acqua quindi non solo come cuore del problema degli oceani, della polluzione (è il mio modo di scrivere e parlare e me ne frego se non è corretto), dell’agricoltura intelligente, dell’aria irrespirabile, della salute. L’acqua quindi con l’aria, il fuoco, la terra una sola cosa con la vita.   
Il fatto di vivere quindi è un processo di rigenerazione permanente, di ringiovanimento permanente. Invecchiare (ed io sto invecchiando e nel farlo consiglio ad amici e nemici di farlo consapevolmente) significa ringiovanire senza sosta, ma con il tempo questo ringiovanimento si degrada e così, infine, moriamo di vita dopo aver vissuto di morte. Così suggerisce Morin e così mi accodo. 

Oreste Grani/Leo Rugens