In Libano e le troppe irrisolte drammatiche emergenze

Nel 1985 (oltre un millennio addietro) Giulio Andreotti lasciava scritto nel Rapporto di Primavera di quell’anno: “…l’altro aspetto di particolare interesse per l’Italia a cui la nostra azione diplomatica rivolge il suo perdurante impegno è costituito dalla crisi libanese che ha già richiesto un nostro contributo diretto con l’invio di un contingente militare distintosi per la valenza pacifica della sua missione. Gli italiani continuano ad essere presenti con una unità elicotteristica nell’ambito dell’UNIFI, la forza dell’ONU, e la nostra politica, svolta anche nel concerto comunitario è tesa a quel recupero dell’integrità territoriale, sovranità ed indipendenza libanese essenziale per il ristabilimento di un assetto di pace nella regione”.
Cambiato qualcosa? In peggio certamente. In Libano e per i libanesi il dovere dell’azione, prioritariamente umanitaria, obbliga alla tempestività e ad un’iniziativa diplomatica utile per l’intero scacchiere dove l’Italia in politica estera si assuma la responsabilità di fare luce oltre il buio di Gaza/Beirut.
Alessandra Ermellino, membro della Commissione Esteri, opportunamente oggi tiene a mente il dramma umano che l’esplosione di un anno addietro avvenuta nel porto di Beirut, ha acuito drammaticamente. Dopo un anno si possono solo che prendere iniziative concrete per soccorrere i libanesi. Altro offende il sentimento e l’intelligenza.
Oreste Grani/Leo Rugens

Voglia di guerra
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