Dopo le ciliegine gratificanti delle medaglie rimane il problema della torta

 
Ricevo dall’amico Mario Soldaini e, grato della raffinata segnalazione, pubblico.
Oreste Grani/Leo Rugens 

DOPO TOKIO, LO SPORT ITALICO E L’ETERNA RICERCA DELL’ARCA PERDUTA

Provate a fare una semplice ricerca, a capire con quale maglia sociale fanno attività P.O. e medagliati, che hanno partecipato con successo ai recenti Giochi di Tokio e capirete senza difficoltà, che tutti questi atleti scremati in giro per l’Italia sono concentrati in club e strutture, giustamente destinate all’eccellenza, club e strutture prevalentemente militari, che finiscono per esercitare un ruolo essenziale, determinante per la realizzazione degli obiettivi elitari a cominciare dai podi olimpici. Il dato oggettivo che ne emerge è che, senza l’apparato militare, la maggior parte del sistema Italia non starebbe in piedi.

Un tempo, quando la leva militare rappresentava anche una opportunità sportiva, di generazione in generazione, molti dei talenti determinati dalle selezioni con le stellette integravano il patrimonio delle società sportive civili sul territorio e il lavoro di rifinitura veniva svolto tra CONI e Federazioni. Paradossalmente, adesso, le società non militari nelle varie declinazioni storiche sono in gran parte disabilitate, se non estinte, proprio perché sostituite dalle militari, che assorbono come spugne quello che passa il convento, sulla base di numeri ristretti, ottimizzandolo. Diversamente, i Gruppi Militari potrebbero integrarsi con i club sul territorio e svolgere una azione formidabile di spinta, lasciando ruolo e spazio ai civili che, senza risorse, stanno progressivamente passando la mano. Immaginate se ai Gruppi Sportivi Scolastici e Comunali, collegati ad una riedizione dei Giochi della Gioventù, si aggiungessero leve nazionali per ogni singola disciplina, proprio con l’ausilio in spirito di servizio delle Forze Militari. I carabinieri sono dovunque e con Guardia di Finanza e Polizia si potrebbe stendere una rete capace di incentivare, intercettare, fornire sostegno a chi nel sociale si adopera per promuovere la qualità della vita, tra educazione e salute. Questa però è una vecchia storia mai risolta.

I Giochi della Gioventù furono inventati dal CONI di Onesti, perché nonostante i trionfi di Roma 1960 si capiva che il tasso di pratica sportiva nel Paese non era adeguato. Allora gli Enti di Promozione Sportiva recitavano ben altro ruolo e la Politica mostrava interesse diretto per il fenomeno. Con i frutti dei GdG varati nel 1969 andammo a dama a Los Angeles nel 1984 e poi con la nuova dirigenza del CONI, anziché convergenze, si aprirono conflitti d’interesse e fasi involutive, con un paio di Conferenze Nazionali e proposte di legge andate di traverso, da cui l’autogoverno e l’autoreferenzialità del sistema sportivo, sino allo scoppio del 2017/2019, con la Legge di Riforma “Giorgetti” realizzata a metà, lo sdoppiamento tra CONI e Sport e Salute, ma soprattutto la riemersione di una entità istituzionale, di Governo, tra Ministero prima e Sottosegretariato poi, con le competenze attribuite al Dipartimento Sport della PCM, mentre rimangono latenti le necessità di coordinamento appunto con i Ministeri della Salute, dell’Istruzione e Ricerca, dell’Economia e Finanze, della Difesa, degli Affari Esteri e non ultimo della Cultura. Al momento, alle competenze dell’On. Valentina Vezzali, si aggiungono quelle di Andrea Costa, che al Ministero della salute si occupa della Medicina Sportiva. Così, siamo lontanissimi dal giustificare il vertice di quaranta medaglie olimpiche con una base di ampiezza adeguata, ma tant’è, perché il 23 agosto il Presidente Mattarella, al Quirinale, prende atto del trionfo azzurro, celebrando il nostro decimo posto tra i paesi più sportivizzati del mondo, mentre il Presidente Malagò invoca la semplificazione per le procedure relative allo “IUS SOLI SPORTIVO”, nell’idea che l’Italia deve rendere razionale la sua posizione sui problemi dell’immigrazione. Però, fatte salve le necessità di andare a medaglia, se parliamo di sport e di praticanti, quindi di diritto alla pratica dello sport come fattore di salute e crescita sociale, la via da intraprendere sarebbe ben più importante e complessa.

Ci sono sette milioni di bambini e ragazzi, piuttosto che altrettanti “superadulti”, che poltriscono abbandonati tra scuola dell’obbligo, case e i gerontocomi. Dunque, oltre il “SOLI”, rimane il problema endemico dello “IUS SPORTIVO”, quello con cui continueremo a fare i conti con l’inizio dell’anno scolastico e la riapertura dei “centri anziani”, COVID permettendo. Adesso, tra i primi 25 miliardi del “Recovery”, in arrivo dall’Europa, se ne annuncia uno destinato allo sport e segnatamente per le palestre scolastiche e gli impianti delle periferie… Dopo gli esiti nipponici a cinque cerchi si fa uno + uno = 2 e si inneggia alla svolta. Però occorre che si trovino anche i settecento milioni per introdurre l’attività nelle scuole primarie, assumendo i laureati in scienze motorie e che si dia sostegno allo sport sul territorio a partire dai Comuni, che non hanno risorse. Molte delle “cattedrali nel deserto” ammalorate e con amianto – di cui l’Italia è disseminata – sono dovute proprio alla storica endemica mancanza di un vero progetto mirato alla piena diffusione della pratica sportiva in funzione educativa, sociale e salutistica. Adesso, condannati all’eterna ricerca dell’arca perduta, abbiamo le ciliegine delle medaglie, ma non la torta.

Ruggero Alcanterini

(pubblicato su SPIRIDON)