Marco Polo fu galeotto per la strana coppia Cesare Segre – Dante Vacchi

In queste ore ragiono con amici cari (in realtà sono anche compagni di un’avventura culturale e imprenditoriale in pieno sviluppo) dell’importanza che assume scegliersi un nome e, nel farlo, delinearsi quasi un destino. Scrivo questo perché alcuni di questi amici hanno scelto per il proprio settore di attività il brand “Bottega Rinascimentale“. Ho scritto loro che “[…] va riconosciuto un dato di fatto che quasi ovunque, dal micro al macro appunto, le élite si stanno mostrando “noiose”, “conformiste” certamente inadeguate alle complessità insorgenti.
La politica ha smarrito la spinta ideale che dovrebbe caratterizzarla. La retorica è certamente degenerata in demagogia. L’egoismo è il metro di ogni scelta. E mi scuso per queste semplificazioni. I progetti politici e, soprattutto, il linguaggio delle classi dominanti – e di quelle che aspirano ad esserlo – si somigliano tutti. E sono tutti piatti, scontati, banali, privi di una generale capacità di visione. Tutto questo (ed altro) in presenza dell’insorgere di sfide complesse di cui la pandemia virale e il clima sono solo due dei tanti esempi possibili.
Siamo quindi ormai immersi (alcuni Paesi ovviamente arrivano prima ed altri potrebbero non pervenirvi mai) in una fase di transizione di come si possa creare ricchezza. Ho aggiunto che cambia sia il concetto di ricchezza sia quello, e di questo ci stiamo per interessare in Technitalia e nella nascitura Bottega Rinascimentale, di “come” creare ricchezza. Se oggi infatti ricchezza è un insieme complesso di valori, se il modo più efficace e giusto per crearla non è più la libera competizione senza regole e a qualunque costo, allora va abbandonata la vecchia cultura che traduce in indicatori puramente numerici le potenzialità di una azienda e di un Paese.
Portare dentro un luogo di lavoro e di produzione di ricchezza come deve essere una “bottega” queste considerazioni è impresa certamente difficile ma necessaria se si vuole avere un ruolo attivo nella rivoluzione dei consumi.
Certamente per essere forza generatrice capace di attrarre il nuovo consumatore. Attrazione che si può arrivare ad esercitare solo se si assumono utili modi di pensare e agire.
Con oggi provo pertanto a trasferire a voi che avete scelto nome e “mercato di riferimento” di Bottega Rinascimentale cosa penso rispetto all’idea che nel mercato ci sia spazio per chi crede, ad esempio, che i simili si attraggono per empatia ed essendo gli umani non delle fredde calamite ma esseri complessi che, in un futuro prossimo, si sentiranno sempre più attratti da ciò che gli è familiare e sinergico. Anche se devono scegliere capi d’abbigliamento. Per ora mi fermo, riservandomi, se siete interessati, a tornare sul concetto di familiare, di ciò che si considera affettivamente prezioso e di ciò che negli anni futuri risulterà attraente. A mio giudizio ovviamente.
Ritengo inoltre, se vi siete decisi a chiamarvi “Bottega Rinascimentale”, sia necessario fare uno sforzo per misurarsi sulla complessità culturale implicita nel nostro Rinascimento. Se posso dare un consiglio farei la scelta di, con santissima pazienza, avvicinarsi ad uno dei luoghi più rappresentativi (sempre delle mie opinioni si tratta e quindi di pochissima cosa) della concezione del mondo, degli ideali e delle aspirazioni di Francesco I, Granduca di Toscana che, come committente, lo fece realizzare. Mi riferisco allo Studiolo in Palazzo Vecchio in Firenze, dove il Granduca, iniziato alle pratiche alchemiche e alle filosofie esoteriche dal padre Cosimo de’ Medici, dedicava parte delle sue giornate all’astrologia, alla chiromanzia e alle esperienze nelle officine/botteghe, tra cui, prediletta, la fonderia medicinale.
Lo Studiolo, di cui trovate molto in rete, fu per il Principe rifugio privato dove il valore evocativo e allusivo degli oggetti (cominciate a capire l’ambizione di darsi una tale denominazione?) conservati nel piccolo ambiente permetteva di proiettarsi e avventurarsi in un viaggio mentale verso mete lontane, oltre il tempo e lo spazio.
“Lo stanzino (sarebbe il nostro negozio materiale e immateriale ndr) ha da servire per una guardaroba di cose rare e preziose…” Comunque così sogno per voi possa essere. Metafora quindi e semplici analogie, non piatto scimmiottamento.”
Fino a qui agli amici umbro-toscani. Figurarsi se uno, per mettere a punto una propria strategia geopolitica, scegliesse il nome di Leonardo da Vinci o Marco Polo a cosa potrebbe andare incontro. Per arrivare a chiamarsi Marco Polo, ad esempio, ritengo sia doveroso fare il passo in piena consapevolezza di cosa tale battesimo evoca e quale compito ci si assume. Di Marco Polo infatti ne hanno scritto e parlato in molti e distinguersi, portando tale nome, è un’impresa titanica. Io stesso, anni addietro, quando cercavo nomi per i miei tentativi di think thank, mi ero imbattuto in un testo (la mia lettura risale agli ultimi anni del millennio) dedicato a Marco delle Meraviglie e scritto da Cesare Segre. Letto il testo e viste le foto mi scattò una grande attrazione per il nome di Marco Polo, tanto dall’essere stato vicinissimo a sceglierlo, combattuto come ero tra Ipazia e Kami. Stavo per percorrere la terza via e chiamare il pensatoio non “Kami-Fabbrica di Idee” (come poi ho fatto) ma “Marco delle Meraviglie – Fabbrica di Idee“. In particolare nel testo (difficile da digerire per un ignorantone come il vostro Leo) mi aveva colpito un primo tema ben posto dell’angoscia dell’Occidente cristiano di fronte al pericolo dell’Islam conquistatore. Ed un secondo collegato alle leggende dell’Apocalisse, che avrebbe permesso (così era delineato) all’Occidente di schiacciare i Turchi con l’aiuto dei Mongoli. Profezie o realistici sguardi preveggenti? Comunque testi raffinatissimi che ebbi l’opportuna umiltà e consapevolezza dei miei limiti di lasciare nel cassetto.

Per voi oggi alcune immagini scelte dal fascicolo di Franco Maria Ricci a corredo del testo comparso sul n°14 della omonima rivista. Era il giugno del 1983 ma il testo di Segre lo scoprii solo a fine millennio. Il pudore e la consapevolezza dei miei limiti mi indussero a scartare Marco Polo e, lo ripeto, oggi grato e memore, scelsi Kami, riservandomi per tempi successivi (che arrivarono), l’omaggio alla filosofa pensatrice complessa Ipazia d’Alessandria. Non mi sarebbe dispiaciuto prima di chiudere gli occhi legare il mio servire al nome del veneziano. Ma non mi è stato concesso. La verità è che non si può avere tutto in questa vita. Per la prossima ci stiamo attrezzando.
Oreste Grani/Leo Rugens
P.S.
Diciamola tutta.
A leggere il saggio di Cesare Segre in realtà arrivai seguendo un debole indizio sulla biografia del fotografo Dante Vacchi che mi sembrava paradossale fosse professionalmente abbinato al grande studioso Cesare Segre.
Perché stessi approfondendo la figura di Vacchi non dovreste avere difficoltà a coglierlo da quanto ormai si sa di lui. In parte. Una strana coppia a tutti gli effetti. Per chi volesse tuffarsi in questo post sciarada ecco a seguire spunti su Vacchi. Di Cesare Segre basta andare nella benemerita Wikipedia.
Certamente Leorugens avrà visto le bellissime foto afgane del signor B. (che non è quello a cui l’iniziale induce banalmente a pensare)
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Un business molto redditizio
https://www.glistatigenerali.com/africa/soldati-di-sventura-la-piaga-insanguinata-dellafrica-nera/
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Tutto ha un prezzo
https://www.ilgiornale.it/news/economia/leonardo-vince-usa-commessa-dallesercito-1970740.html
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Intanto
https://www.agi.it/economia/news/2021-08-24/crisi-libano-crack-13646834/
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Genealogie petrolifere
https://www.diwan.gov.qa/about-qatar/qatars-rulers?sc_lang=en
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Buongiorno carissimo Oreste,
inutile aggiungere, è sufficiente rimarcare:
“Se oggi infatti ricchezza è un insieme complesso di valori, se il modo più efficace e giusto per crearla non è più la libera competizione senza regole e a qualunque costo, allora va abbandonata la vecchia cultura che traduce in indicatori puramente numerici le potenzialità di una azienda e di un Paese”
Grazie
Alessandro
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