Forse gli strabici amici della Cina e di GEV dovrebbero ricordarsi dell’India

Chi in Italia si interessa di Pakistan con competenza (ritengo che siano pochi) sa che le domande che dovrebbero avere prioritariamente risposte convincenti sono quelle del tipo: chi siamo? Arabi o asiatici del sud? Siamo mussulmani, per prima cosa, o siamo pakistani? Siamo parsi, cristiani, hindu, ahmadi e possiamo essere considerati pakistani come se fossimo mussulmani? 

Tali domande in realtà aprono la strada a quella delle Cento pistole: il Pakistan esiste e se esiste è solo per musulmani? Perché, per quel poco che ho capito, il vero vanto di molti pakistani è la discendenza araba e la fede in Maometto. Mai dimenticare pertanto su quali basi ideologiche e di fede nasce il Pakistan: mai indù e musulmani potranno vivere in un solo stato. E mi scuso perché semplifico ma non trasformo un marginale e ininfluente blog in un luogo dove si fanno trattati di storia. Comunque un luogo geografico (il Pakistan) dove le domande semplicistiche che ho accennato non trovano risposte esaurienti, non è certamente una nazione e il fatto che la sua  élite abbia in dotazione un arsenale nucleare e un fottiiio di armi efficienti non è proprio una cosa rassicurante. E un servizio segreto occhiuto e feroce.

Se a questa condizione di marasma etnico-religioso-culturale aggiungiamo che in gran parte del Pakistan non c’è libertà per le donne, capite che la questione si complica non poco. Perché da quello che leggo da decenni, in Pakistan le donne vengono “normalmente” vessate, picchiate, se non uccise, semplicemente perché un loro padre, fratello, marito ritiene che la poveretta abbia dato eccessiva confidenza ad un uomo estraneo alla famiglia. Questo non avviene come si vuol far credere in alcune zone rurali ma ovunque, capitale compresa. E perfino in Italia come è accaduto recentemente alla povera Saman Abbas fatta a pezzi (ormai è certo) dai maschi della famiglia, complice la madre. E questo picchiarle o perfino ucciderle sono comportamenti ormai comuni in quella che avremmo un tempo e dalle nostre parti europee, chiamato borghesia. E non solo piccola.

I feroci maschi pakistani sono gli stessi che possono avvalersi dei missili distruttori di massa. Sono gli stessi che da sempre (intendo da quando comunque sono state distrutte le Torri Gemelle e cioè, tra pochi giorni, venti anni) fanno un proficuo doppio gioco: prendono soldi dagli USA per non si sa bene cosa fare soprattutto se si pensa che i soldi vanno all’ISI cioè i potentissimi “servizi” e con parte di questi soldi (ma non solo) hanno sostenuto i talebani. Fino a farli tornare a vincere. Capite che sbagliare da questo momento diventa gravissimo. Per il pianeta. Tutto è stato fatto con i piedi (che nessuno si offenda) ma il turnover alla CIA (e non solo) questo ha prodotto nel ventennio post Torri. E veniamo all’Italietta. Dei servizi segreti seri (ma noi li abbiamo?), autorevoli (ma i nostri lo sono?), acculturati in cose orientali complesse avrebbero dovuto studiare (che servono queste migliaia di operativi/analisti, con i costi che sosteniamo, se non studiano e trovano soluzioni?) il modo di essere capaci di influenzare gli alleati americani, impedendogli, così fa un amico utile e sincero, di infilare, perla dopo perla, cazzata dopo cazzata, il collier che adesso rischia di strozzarci tutti.

Esisteva in Italia, a Torino, un istituto di cultura, il vecchio CESMEO, da decenni tra i migliori al mondo per le questioni orientali, siamo riusciti, ignorandone la preziosità, a farlo di fatto “finire all’asta”. Oggi, a inizio giornata (tra l’altro, in questi giorni, ho dovuto fare una super puntura, buona per 12 settimane e un rapido ricovero in un pronto soccorso), non mi sento di scrivervi del CESMEO, ovvero l’Istituto Internazionale di Studi Asiatici Avanzati e di cosa, con Alberto Massari, alcuni anni addietro, ne avremmo voluto fare. Vi salvate dal racconto ma da domani ogni giorno sarà buono. Vi anticipo solo che dal CESMEO e dalla sua preziosissima biblioteca si sarebbe potuti partire non solo per risolvere, con alcuni anni di anticipo, la vicenda Marò (risparmiando un bel po’ di soldi) ma, all’ombra autorevole dell’Istituto e grazie ai suoi legami internazionali, si sarebbe potuto lavorare ad evitare che ci si trovasse in situazioni paradossali come quella della indecorosa fuga da Kabul. Si chiama intelligence culturale e in quella sede sofisticata, e in accordo con Washington si sarebbe potuto giocare un ruolo da alleati leali e utili al “fratellone” USA.

Invece di assistere impotenti al raggiungimento dell’obiettivo tattico del rovesciamento di un qualunque governo fantoccio (fatto), l’espulsione di tutti gli occidentali dal paese (in corso) e la creazione di un regime islamico (è questo l’intendimento subito dichiarato). Perché di questo si scrive in questo marginale e ininfluente blog: Ettore Sequi, già autorevole diplomatico, 11 anni addietro prefigurava questo scenario. Una volta tanto un dipendente della P.A. preveggente, direte. Sarebbe interessante sapere (ecco la mia critica a Sequi invece di lisciargli il pelo come ho sentito fare, anche in queste ore, da Andrea Purgatori, invitato In Onda) dal nostro attuale Segretario Generale della Farnesina quali iniziative concrete, negli anni, ha intrapreso perché quello che gli era noto non non non avvenisse. Cosa ha fatto di riscontrabile oggi (non c’è mica il segreto di Stato per cui sono comportamenti riferibili agli italiani, tra l’altro, pagatori dello stipendio dell’altissimo dirigente) in questi 11 lunghissimi anni perché non dovessimo assistere alla disonorevole uscita di scena e alla dissipazione, nel nulla, del capitale, anche umano, investito, anche dall’Italietta, in Afghanistan? Scrivo di quanto ci è costato questo farci complici degli errori. Partecipavamo ma da dissidenti – quel tanto che bastava- per non essere costretti alle dimissioni e a perdere soldi e carriera. Cioè a farsi i cazzi propri.

Perché, sentite a me, nel fare i critici all’acqua di rose, a rilasciare interviste a riviste italiane di geopolitica,  si otteneva solo il vantaggio (ancora una volta personale) di mostrarsi ai competitori in agguato. Mostrarsi e farsi apprezzare (se non velatamente offrendosi) come interlocutori futuri da favorire in “carriera”. Come puntualmente è avvenuto. Per cui voi che pagavate la creatura intelligente e critica di un tempo (è l’uomo che sapeva che i taliban stavano cambiando) oggi fate parte degli sconfitti (e dovrete prendere atto che avete buttato decine di miliardi di euro mentre, per fare un esempio, con le stesse cifre avreste potuto ricostruire le zone terremotate del nostro centro/sud) e il ragazzo, ormai adulto, viceversa, potrebbe divenire l’autorevole interlocutore dei vincitori di fatto. Cioè i cinesi. 

Si chiama: mettenculi e piglianculi. Categorie.    

Oreste Grani/Leo Rugens 

P.S.

La svolta culturale e di possibile ruolo italiano doveva avvenire almeno quando sei giovani militari italiani della Folgore (e quattro feriti gravemente) morirono a Kabul.

Era il 16 settembre 2009. Ci sarebbe stato tempo (“dodici anni” per farsi venire un’ideuzza per non finire nel tritacarne della vittoria talibana, dell’attività terroristica di quello e o di quell’altro fanatico, della fuga oscena di queste tragiche ore mi sembrano sufficienti) per onorare, non a chiacchiere, i nostri caduti approfondendo, ad esempio, il ruolo dell’India in Afghanistan (è una di quelle ideuzze a cui faccio riferimento) che grande economia mondiale investiva, in quegli stessi anni, migliaia di miliardi di dollari in infrastrutture. Mentre languiva il CESMEO per qualche decina di migliaia di euro e i geni piazzati al ministero da Ignazio La Russa si preparavano alla grande pensata dei Marò per costruire, in condizioni di assoluta imbecillità, la frattura con l’India a causa di due pescatori impallinati, avremmo dovuto, informati da un’intelligence colta e intraprendente, ideare percorsi di condivisione con l’India (non la Cina quindi dove lo strabismo italiota ha cominciato a guardare, indirizzato dai prezzolati di turno e dagli agenti d’influenza alla GEV). Anche attraverso realtà quali il CESMEO. Ma questa, come al solito, è un’altra storia. O la stessa. 

P.S. al P.S.

In queste ore non posso non ricordare i ragazzi della Folgore inutilmente caduti quel maledetto 16 settembre 2009. Le vittime furono: il tenente Antonio Fortunato, 35 anni, originario di Lagonegro (Potenza); il primo caporal maggiore Matteo Mureddu, 26 anni, di Solarussa, un piccolo paese sardo in provincia di Oristano, fratello minore di Stefano, anch’egli militare; il primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, 26 anni, nativo di Glarus (Svizzera); il sergente maggiore Roberto Valente, 37 anni di Napoli; il primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, 26 anni di Orvieto; il primo caporal maggiore Massimiliano Randino, salernitano, 32 anni. 

Ricoverati nell’ospedale da campo francese i caporalmaggiore Rocco Leo, 26 anni, brindisino; Sergio Agostinelli, 32 anni, nato in Svizzera e residente nel Salento; Ferdinando Buono, 30 anni, di Napoli; il maresciallo dell’Aeronautica militare Felice Calandriello, 58 anni, di Sassano (Salerno). Sono tutti in stato di shock ma senza altre gravi ferite.

Cosa ultima ma non ultima.

Non ho (come sapete) 500.000 euro per rilevare la biblioteca del CESMEO e rilanciarne l’attività ma penso che questa cifra sia facilmente recuperabile nei vasti fondi del DIS, ora che la signora Elisabetta Belloni lo guida e ne dispone – legittimamente – della cassa. E a questo proposito, senta a me che sono vecchio e stanco, gentile direttrice: meglio tardi che mai.