Nicola Scirè fu uno dei boia di Raul Ghiani?

L’amico Alberto Massari ha comprato il libro di Antonio Padellaro “Non aprite agli assassini-Il caso Fenaroli e i misteri italiani” di cui vi ho parlato qualche giorno addietro e pertanto ho avuto modo di leggerlo.
Ho scelto di estraniarmi (almeno per questi giorni perché più avanti tornerò sul crollo delle Torri e l’attacco al Pentagono) dalle questioni attinenti l’11 settembre del 2001, i 4 aerei bomba usati per attaccare gli USA e ritirarmi a riflettere, viceversa, su quanto accaduto tra la notte del 10 e la mattina di quell’11 settembre, ma del 1958, e a Roma. In una strada vicino a Piazza Bologna. Cosa minore ovviamente rispetto alla tragedia planetaria dell’attacco agli USA ma per me (e spero per alcuni di voi) particolarmente interessante. E ciò che mi interessa, mi svaga. E in questo momento della mia vita ho anche bisogno di svago. Mi riferisco appunto a quando la signora Maria Martirano, moglie del Fenaroli, venne strangolata.
Enrico De Grossi, ex alto ufficiale del Sifar, avvia nel 1968 una controindagine privata sull’assassinio di una donna Maria Martirano, strangolata 10 anni prima. Di quel delitto, noto come “delitto Fenaroli”, erano stati accusati e condannati il marito dell’uccisa, Giovanni Fenaroli, e un giovane milanese, Raoul Ghiani, ritenuti il mandante e il killer di un omicidio organizzato per riscuotere il premio di un’assicurazione sulla vita. De Grossi si convince invece che c’è stata una losca storia di fondi neri maturata nell’Italia politico-affaristica di quegli anni e scrive un libro-dossier che però non divulga. Dopo 25 anni scrive a Padellaro che, approfondendo il caso, scopre che anche altri avevano seguito la stessa pista arrivando alle stesse conclusioni.
Sin dai risvolti di copertina questo libro si mostra prezioso. Padellaro quando scrive “Non aprite agli assassini” ha quasi cinquant’anni. Un ragazzo si potrebbe dire all’epoca ora che ne ha ormai 75 ma, lo si capisce, già dotatissimo in termini di prudenza e strumenti di verifica di quella storia misteriosa. In quel momento (era il 1995), Padellaro, vice-direttore del brillantissimo settimanale L’Espresso, era “collega” di redazione di uno degli uomini più potenti (oscuro tra gli oscuri) d’Italia quale il prefetto Umberto Federico D’Amato. D’Amato infatti curava, sotto pseudonimo, la rubrica di gastronomia del settimanale. E certamente Padellaro e il prefetto si conoscevano bene tanto che il poliziotto se ne esce a pagina 186 del volume con un papale papale: “Noi giornalisti abbiamo sempre bisogno di riempire delle pagine e perciò spesso e volentieri scriviamo delle cazzate. Non lo faccia pure lei“.
Il 1994/5 non sono ancora gli anni in cui si sapesse fino in fondo chi fosse Umberto Federico D’Amato (oggi considerato tra i corresponsabili perfino della Strage di Bologna) per cui posso giustificare Padellaro che nel suo libro da spazio, quasi consultasse una persona attendibile e non dal cuore nero, alle versioni di D’Amato che sembra, quasi parlasse di purpetielli affogati, tendere a semplificare, con toni irrisori, molti episodi insanguinati della vita della Repubblica.
La ricostruzione della vicenda comunque ben narrata nel libro di Antonio Padellaro la comincio con un episodio minore, non organico ai fatti ma tratto dalla vita del poliziotto Nicola Scirè. Cioè uno di quelli che – forse artatamente – incastra Ghiani.
Il pezzo dedicato allo Scirè è firmato dal giornalista Paolo Gambescia, un maestro delle cronache giudiziarie. Come vedete ci avviciniamo al caso complesso da “una zona periferica” quale fu l’attività investigativa del poliziotto Sciré. Ma “periferico”, in un tale caso oscuro, non vuol dire non importante.
Buona lettura.
Oreste Grani/Leo Rugens
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molti anni dopo scirè risichella se non erro è stato prosciolto? rosanna è la figlia ? se si adesso è in magistratura
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☺️ vedo che ultimamente il Leone è particolarmente affamato. Segno che qualcosa bolle in pentola. Bene!
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Raul Ghiani è stato graziata dal Presidente Pertini! Meditate gente, meditate. O.G./Leo Rugens
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Eh sì
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Forse comincio a capire dove si va a parare in questo lavoro “archeologico”
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