Post audace forse come non mai

Se uno si è limitato, nelle sue eventuali ricostruzioni storico-politiche, a mostrare di conoscere il valore e la capacità di determinare gli avvenimenti geopolitici mediterranei dei primi quattro (i signori della figura geometrica) senza arrivare a sapere dell’esistenza di Pompeo De Angelis, rimarrebbe in superficie rispetto agli anni in cui i quattro operarono sinergicamente. Ad esempio rispetto alle relazioni tra il nostro Paese e i patrioti algerini che negli stessi anni vivevano la fase esaltante della lotta del Fronte di Liberazione Nazionale dal colonialismo francese e di quella che poi passerà alla storia per la “Battaglia d’Algeri“. Se uno non arriva a sapere quale fu il ruolo del De Angelis (dentro e fuori la DC dell’epoca) alla fine capisce fino ad un certo punto come andarono in realtà le cose. Bizzarro preambolo. Ma per ogni cosa che ha cittadinanza in Leo Rugens c’è un motivo.

E come se ragionando della situazione che si è venuta a creare a Kabul non si riuscisse a cogliere non tanto il ruolo dell’ISI (ci mancherebbe) ma quello di ciò che rimane del francese SDECE (attivo da quelle parti fin dalla fondazione dello Stato Pakistano avvenuta nel lontanissimo 1948) e il ruolo di molti degli agenti d’influenza anche italiani che sparando cazzate in realtà servono gli interessi dei loro padroni.

Gira voce che interrotta la missione militare in Afganistan potrebbero avanzare 120 milioni di euro che non saranno spesi e pare che qualche genio alla Farnesina e alla Commissione Esteri voglia destinare il tesorone ai mostri dell’ISI (questa è la sostanza perché da quelle parti non si muove fiore di papavero che l’ISI non voglia) per vedere come perpetuare gli errori commessi da decine di anni. La proposta che gira in queste ore è di affidare al Governo Pakistano (cioè l’ISI) la cifra e fargliela usare per provvedere ai profughi che fuggono dagli orchi talebani nei Paesi confinanti. 

Spero che non debba richiamare ulteriormente l’attenzione sul paradosso di noi italiani, tra gli sconfitti in fuga, che continuiamo a dare soldi a quelli che hanno determinato (sono i servizi pakistani che hanno fatto la regia degli avvenimenti degli ultimi venti anni) la nostra sconfitta e di tutto l’Occidente.

Il Movimento Taliban (quello che oggi ha conquistato il potere a Kabul) è stato inventato di sana pianta dall’ISI per conto del governo dell’allora premier pakistano Benazir Bhutto e da quel momento, con un traffico continuo di soldi, foraggiati anche dalla maggior parte dei paesi islamici oltre che dai proventi (gente cortesemente occhi e orecchie aperte senza ulteriori ipocrisie) derivanti dal traffico d’oppio attraverso una criminale mafiosissima struttura che prolifera da quel momento, piramidale e spietata, messa in atto con quegli stronzi (quando ci vuole ci vuole) della CIA, tutto ruota intorno ai Taliban. Nel tentativo ridicolo di mettere fuori gioco i sovietici. E qui si accende la follia di Leo Rugens: tutti gli aiuti militari ed economici, tutte le complicità con gli assassini (questo sono i trafficanti di stupefacenti) della nostra gioventù (guardate gli anni e fate l’elenco dei nostri giovani che si sono perduti con una siringa piantata nelle vene), sono state attuate a “fin di bene” per preservare la democrazia

Ma voi siete pazzi (se non altro) se manderete ancora un solo centesimo da quelle parti. I servizi segreti pakistani sono dentro a quasi tutte le sigle di terroristi nate negli ultimi venti anni. È un arcipelago difficilissimo perfino da elencare, figurarsi riconoscerne l’eventuale lealtà. Certamente sul campo non si passa se non si affidano a loro soldi, armi, vantaggi economici di ogni tipo. E come fosse una casba (uso coscientemente il termine in modo improprio) all’aperto ed estesa per migliaia di chilometri quadrati articolata in centinaia e centinaia di villaggi. Spesso naturalmente impenetrabili via terra. Ma siete pazzi a continuare a prenderci per il culo a raccontare che così si risolve la questione? Ci obbligate a pensare male.

Ora provo a buttare nomi a caso di organizzazioni politiche afghane/pakistane o prettamente terroristiche e vediamo chi ci si ritrova ed è d’accordo a lasciare anche un solo proprio euro (e nel caso sarebbero due a testa!!!) a questi mostri sanguinari: Hizbi-Islami Gulbuddin; Fronte Unito di Liberazione del Balucistan (Bluf); Harkat-ul-Mujahidin (Hum); Sipah-i-Sahaba Pakistan (Ssp) e il suo braccio militare Lashkar-i-Jhangvi. Di tutta questa gentaccia (o dei loro eredi) di cui non voglio avere il ben che minimo rispetto attirandomi pure gli strali di chiunque, come possiamo avere fiducia per affidare loro il compito sostanziale di tenere a bada quelle terre? Non mi rispondete che ci sono i taliban (ed altri) buoni perché queste stronzate lasciatele dire al Direttore Generale della Farnesina, ambasciatore Ettore Sequi

Esercito di liberazione baluci; Lashkar-e-Toiba; Fronte nazionale baluci; Shura talibana di Quetta; Lashkar-e-Islam; Jaish-e-Mohammad; Ansar-ul-Islam; Al-Badr. E poi c’era la Forza iraniana di al-Quds; la Rete di Haqqani e la “Base” (Al-Qaida) fondata proprio nel 1988 da Osama bin Laden.

La “Base” che, provate a ricordarlo, ha presenza semi-segreta in Tunisia, Algeria, Egitto, Marocco, Turchia, Giordania, Siria, Bangladesh, Malaysia Myanmar; Indonesia, Filippine, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Yemen, Libia. E poi Bosnia, Kosovo, Cecenia, Daghestan, Sudan, Somalia, Tanzania, Kenya, Eritrea, Uganda, Etiopia, Cisgiordania e l’affollatissima Striscia di Gaza.

E la “Base” è anche in Libano, quello stremato, senza medicine, cibo, energia elettrica. Ma potrebbero essere a Roma, Firenze, Torino, Genova, Taranto. Così come certamente sono in Francia, a Londra, in Germania. In tutto il sud America. Ovunque cioè. Siamo noi che non stiamo più da nessuna parte e che, coglioncelli, pensiamo di mandare soldi all’ISI. Non sono pazzo. Il problema in Afghanistan è il Pakistan come, inascoltati da oltre un decennio, sostengono i britannici da quando accusarono i servizi segreti di Islamabad (e i loro eventuali complici/tutor) di essere la mente di tutto.

All’epoca (era il gennaio del 2007) la dottoressa Francesca Marino (tra l’altro, la direttrice di Stringer Asia) affidava a Limes uno spunto di riflessione (In Afganistan il problema è il Pakistan)che non solo ho recuperato ma che, vista l’attualità assoluta di quanto scritto all’epoca dalla Marino, faccio mio e ve lo ripropongo. Stanco di sentire dire cazzate su cazzate sulla bontà di alcuni taliban.

[…] “Durante una conferenza stampa a Kabul, Crumpton aggiunge: «Bisogna fare in modo che il governo pachistano lo capisca, perché il confine non può rimanere un paradiso per i terroristi… e molte zone del paese, al momento, sono proprio questo. Anche il presidente afghano Karzai attacca Musharraf per lo stesso motivo e Condoleezza Rice, durante una visita a Islamabad, ribadisce il concetto. La luna di miele tra Islamabad e George W. Bush sembra finita, specialmente quando, ai primi di agosto, un rapporto dell’Institute for Science and International Security (Isis) americano mostra un’immagine satellitare del sito nucleare pachistano di Khushab dove, a quanto pare, è in corso la costruzione di un nuovo reattore nucleare.

Le truppe pachistane bombardano ormai da anni il Waziristan e il Balucistan, regioni di frontiera con l’Afghanistan, e suonano ogni tanto la grancassa per la cattura di qualche presunto uomo chiave di al-Qa’ida o dei taliban la cui taglia va a rimpinguare il bilancio dello Stato e, soprattutto, le casse dell’Isi. Il presidente Musharraf, nella sua discussa autobiografia pubblicata in settembre, si vanta dei milioni di dollari dati dagli americani in cambio della consegna di membri di al-Qa’ida e di taliban. Circostanza questa indirettamente confermata da Amnesty International, che nel suo ultimo rapporto punta il dito sullo scambio denaro-prigionieri tra membri dell’intelligence, dichiarando che, in realtà, i presunti taliban vengono catturati e consegnati senza processo e senza prove. Secondo molti, poi, i risultati effettivi ottenuti dall’esercito pachistano nella lotta al terrorismo sarebbero vicini allo zero, anche se il governo Musharraf celebra a fine estate il suo trionfo dopo aver ottenuto due risultati, a suo dire, sensazionali: la morte di Nawab Bugti, uno dei capi dell’insurrezione in Balucistan e, soprattutto, la firma di un trattato «di enorme valore politico» con i capi tribali in Waziristan. Secondo l’accordo, l’esercito pachistano s’impegna a ritirarsi quasi completamente dalla regione di confine e i capi tribali, in cambio, a non dare più asilo ai taliban afghani.

Anzi, per la precisione, a denunciare gli stranieri presenti nell’area e, nel caso, a consegnarli alla polizia. L’annuncio è accolto da commenti piuttosto scettici in Afghanistan, sia da parte del presidente Karzai che della comunità internazionale, e non senza ragione. Qualche mese dopo, infatti, i risultati della politica del presidente pachistano sono sotto gli occhi di tutti: conseguenza del tanto decantato trattato è, secondo il comandante della coalizione Nato in Afghanistan David Richards, il triplicarsi negli ultimi mesi degli attacchi dei taliban. Tra il 4 e il 17 settembre, si registra uno dei peggiori scontri degli ultimi anni tra taliban e forze della coalizione. Secondo i rapporti, circa 1.500 taliban attraversano il confine, provenienti dalla città pachistana di Quetta, salutando con la mano le guardie di frontiera senza che queste facciano nulla per fermarli. I taliban impegnano la coalizione in una battaglia durata qualche giorno, definita operazione Medusa, che si conclude con un migliaio di morti e 160 guerriglieri catturati dalle truppe Nato.

Sempre secondo i rapporti della coalizione, i taliban sono in possesso di uno stupefacente numero di armi e munizioni, nuove e modernissime, e quelli fatti prigionieri dichiarano esplicitamente di essere stati addestrati e sostenuti dall’Isi. Accuse prive di fondamento? Forse. Ma dopo la battaglia, vengono ritrovate sul campo 40 mila cartucce, 2 mila granate e mille proiettili di mortaio. Le scorte in munizioni ammontano a un milione di pezzi. Un ufficiale Nato, che preferisce rimanere anonimo, parlando con il giornalista pachistano Ahmed Rashid dichiara che i taliban non avrebbero potuto sferrare un attacco del genere senza il supporto dell’Isi. E lo stesso Rashid evidenzia, per l’ennesima volta, l’esistenza di una struttura di sostegno ai taliban nei dintorni di Quetta, in Balucistan: campi di addestramento, punti di raccolta e depositi di armi e munizioni, e luoghi d’incontro della šurà, il consiglio dei capi guidato dal mullah Omar.

In tutto ciò, gli Usa continuano a fornire elicotteri, bombardieri, armi ed equipaggiamento all’esercito pachistano per cercare e catturare quegli stessi taliban che vengono non soltanto addestrati dai servizi segreti ma, come si evince da un’interrogazione parlamentare fatta lo scorso anno a Islamabad da uno dei deputati dell’opposizione, «portati in macchina oltre confine alla vigilia di ogni bombardamento». Secondo molti analisti, la mancata comprensione del ruolo politico che il Pakistan ha avuto, e continua ad avere, all’interno della regione è il fattore chiave del mancato successo di Enduring Freedom. E il ruolo politico del Pakistan, in particolare la sua politica estera, sarebbe da sempre dettato dalle eminenze grigie dell’Isi con la complicità del presidente, che come capo dell’esercito conosce molto meglio dei suoi predecessori i meccanismi interni che regolano l’organizzazione di cui è, probabilmente, al tempo stesso controllore e ostaggio. L’opinione di molti, fuori e dentro il Pakistan, è che il mostro creato dall’Isi e dalla Cia, che comprende i taliban, al-Qa’ida sia diventato una specie di «Frankenstein» su cui nessuno riesce ad esercitare un vero controllo. Altri pensano, invece, che tutto sia parte di una precisa strategia politica di Islamabad, che cercherebbe di non scontentare gli alleati occidentali pur mantenendo aperti i canali con i taliban.

 Per il Pakistan sarebbe vitale, quando la coalizione lascerà l’Afghanistan, riportare al potere un governo filopachistano e non filoindiano come quello di Karzai. La bufera sul ruolo di Islamabad, e soprattutto dei servizi segreti, è destinata a crescere. E lo stesso Musharraf, pur dichiarando ancora una volta che l’Isi non si tocca, per la prima volta, dopo la pubblicazione dei rapporti inglesi, non nega in toto le accuse rivolte ai servizi segreti del paese. Al confine, intanto, la situazione continua a peggiorare anche a livello politico. La caccia ai terroristi e l’accordo di pace firmato producono un solo effetto sostanziale: la «talibanizzazione» del Waziristan e della North-West Frontier Province.

Queste regioni, governate in pratica dai mullah e da un’alleanza di partiti integralisti islamici (che, stranamente, ha sempre sostenuto il governo di Musharraf) sono ormai un mini-Afghanistan dei bei tempi del mullah Omar. Nella North-West Frontier Province regna la hisba, la legge che istituisce in pratica il famigerato «dipartimento del Vizio e della Virtù» di talibana memoria, e i militanti islamici distruggono negozi di cd, fanno chiudere i barbieri e danno alle fiamme i video. Dopo l’accordo con Musharraf, una delegazione di taliban locali ha annunciato persino l’imposizione di tasse e di pene in linea con la legge islamica.

La situazione è dunque più seria di quanto Musharraf non ammetta, e rischia di destabilizzare ancor di più il Pakistan. E la possibilità che all’attuale presidente possa succedere un governo integralista islamico sta diventando uno dei peggiori incubi della coalizione. La popolazione del Pakistan è il doppio di quella dell’Iran e sei volte quella dell’Iraq, ed è facile preda del fanatismo religioso e sempre più incline all’estremismo islamico, viste le alte percentuali di analfabetismo e povertà lasciate in eredità da decenni di corruzione e malgoverno. Inoltre Islamabad possiede la bomba atomica ed armi convenzionali da fare invidia a molte potenze occidentali (che di queste armi continuano ad essere fornitori entusiasti). Ed è in Pakistan che si catechizzano e si addestrano i giovani fondamentalisti mandati poi per il mondo a piazzare bombe nelle metropolitane nelle ore di punta o nei templi affollati di fedeli. Fare troppa pressione su Musharraf potrebbe rompere il fragile equilibrio interno al paese. Il generale ha bisogno certamente del sostegno dei partiti islamici, primo fra tutti il Jamiat Ulema-i-Islam, aperto sostenitore dei taliban e spinto dall’Isi ad entrare nelle coalizioni di governo del Balucistan e della North West Frontier Province. Ma non è possibile ignorare che, come sostiene il presidente Karzai, «il nocciolo del problema Afghanistan si trova in Pakistan».

Intanto la popolarità del generale Musharraf è ai minimi storici e la sua politica «del cerchio e della botte» iniziare a dispiacere a tutti. Il bombardamento in ottobre della madrasa di Bajaur nella North-West Frontier Province ha provocato una violenta ondata di proteste nel paese da parte delle organizzazioni umanitarie e della società civile. Nel bombardamento, compiuto da Islamabad su segnalazione (pare) dell’intelligence americana, sono morte 82 persone, e nessuna di queste apparteneva ad al-Qa’ida. Si è trattato, secondo molti, dell’ennesima azione dimostrativa (il principe Carlo d’Inghilterra si trovava in quei giorni in Pakistan) per affibbiare a qualche civile l’etichetta di militante di al-Qa’ida e dare così prova di forza e fedeltà agli alleati. Pochi giorni dopo però, i militanti islamici hanno attaccato un campo d’addestramento dell’esercito a Dargai, sempre in zona di confine, uccidendo 42 militari. Un segnale forte, perché si è trattato del primo attacco compiuto ai danni dell’esercito fuori dal Waziristan e di un chiaro avvertimento a Musharraf: che decida da che parte stare”. E questo nel 2007.

E poi dal CE.SI. del 18 luglio del 2018:


A voi sembra che si possano dare 120 milioni di euro a questa poltiglia di criminali strutturati in una servizio segreto chiamato ISI?

Abbiamo altro da fare a cominciare dal soccorrere la vicinissima Beirut popolata, tra l’altro, da cristiani bisognosi di tutto. 

Oreste Grani/Leo Rugens 

P.S.

La dottoressa Francesca Manenti (anche se non ci sarebbe niente di male) mi risulta che non sia parente di Alberto Manenti, già direttore dell’AISE.