La crisi libanese e l’utilità di una diplomazia italiana audace lungimirante tempestiva

Si apre per l’Italia una grande opportunità se qualcuno riesce ad interessarsi, con intelligenza, cuore e lungimiranza, alla tragedia del popolo libanese. Dico che se fosse chiaro, a palazzo Chigi e alla Farnesina, cosa si deve intendere per “interesse nazionale” (sia pure nell’epoca del multilateralismo avvolgente e tutto condizionante) e quali passi audaci è necessario compiere per non lasciare dove i santoni della finanza mondiale hanno deciso di inchiodare il Libano (non sanno cosa farsene dopo avergli fatto di tutto e lasciato fare di tutto) e la sua popolazione innocente e sofferente, sarebbe un rigenerare la nostra asfittica politica estera mediterranea. Una strada ovviamente piena di insidie ma che potrebbe, mentre si ridà fiato e credibilità alla Repubblica, non solo recuperare su basi colte il dialogo con musulmani ed ebrei (il Libano è anche questo) ma al tempo difendere i diritti dei cristiani e spingerli, con soluzioni pacifiche, di fatto fuori dai ghetti in cui ormai spesso sono costretti a vivere.
Il Libano (ma questa è la posizione di signore notoriamente provinciale e ignorante in quasi tutto quello che riguarda gli avvenimenti oltre confine) è assolutamente necessario che non venga lasciato nelle condizioni in cui invece oggi si trova. Non è comunque assolutamente un approccio strappalacrime (anche se una componente umanitaria non va rimossa) che sommessamente da mesi propongo. Dico che lasciare a quello che abbiamo visto accadere, anche in queste ore a Beirut (cecchini agli ultimi piani e risposte con armi pesanti dal “basso”), la soluzione del groviglio è follia autolesionistica che chiunque abbia un minimo di buon senso (e di cultura) dovrebbe concorrere a provare a fermare. Beirut è certamente una delle “chiuse” del Mediterraneo che notoriamente, essendo sostanzialmente un lago ha nelle “chiuse” i punti sensibili per la salute dell’intero bacino. L’on. Alessandra Ermellino, opportunamente, fa il massimo per richiamare l’attenzione su quanto sta accadendo. Lo fa in quasi assoluta solitudine. Tra i giornalisti qualcuno comincia a reagire.
Noi ci accodiamo consapevoli della delicatezza della situazione.
Oreste Grani/Leo Rugens
