Non ho il coraggio di diventare ricco in Bitcoin

Ho appena postato un serio/scherzoso post sulla corsa al rialzo del Bitcoin (ho scritto che ieri valeva 62.550 dollari e che si avviava, baldanzoso, al traguardo dei 100.000 entro gennaio 2022) e sono costretto a prendere atto che la criptomoneta non cresce ma corre, corre, corre e che io divento sempre più ricco. Ero un petulante accusatore, difficile da piegare, quando ero povero-povero, immaginate ora che megagalattico scassapalle (espressione maschilista di cui mi scuso) posso diventare, se rimango ricco?
Oggi mi sono svegliato e il Bitcoin vale 65.989 dollari! Uno si rigira due o tre volte nel letto e guadagna migliaia di dollari! Ma che mondo è? Ma di questi soldi di cui in teoria dispongo (se non vi sto raccontando cazzate) devo fare denuncia all’INPS (che mi concede la pensione ma non quella di cittadinanza che tanto anelo) e a chi mi eroga la mitica Carta Acquisti, rendendo pertanto edotte le autorità che non sono più povero? Nel qual caso – secondo voi – mi toglieranno, seduta stante, i 40 euro mese che mi fanno pervenire (questo bimestre non sono ancora arrivati ed io ho un saldo di 0,46 euro!) per aiutarmi a pagare le bollette e gli alimentari? Dovrò inoltre cominciare a pagare le tasse, colpevole solo di aver avuto un’intuizione “elettronica”? E se il Bitcoin dovesse arrivare a valere milioni quanto dovrei pagare per le tasse di successione? Meglio vivere senza niente. Temo infatti che queste domande ansiogene mi potrebbero aggravare i già turbolenti ultimi anni di vita. A farmi stare male basta l’angoscia di ipotizzare troppi voti “parlamentari” per Berlusconi quale vostro futuro “Presidente della Repubblica”. Sarebbe meglio comunque Presidente di Panama, se dobbiamo ricordarci gli intrighi affaristico/spionistici di Valter Lavitola. L’amico di Berlusconi.
Oreste Grani/Leo Rugens
Riporto di seguito, come riassunto, una interrogazione parlamentare del battagliero senatore Lannutti, del 2011. Anno in cui un italiano ad Amsterdam, proprio in quanto cittadino di un Paese a rischio default, poteva sentirsi guardato con commiserazione da chi, in realtà, doveva al traffico internazionale di stupefacenti la solidità dei suoi “frugali” istituti bancari.
http://www.eliolannutti.it/2011/12/concessionarie-slot-machine-devono-98-miliardi-di-euro-allo-stato/
Lannutti punta il dito, oltre che verso Sogei, anche verso l’Agenzia dei Monopoli di Stato (AAMS), che avrebbe avuto comportamenti tali da suscitare gravi interrogativi (rimasti senza risposta) riguardanti sia la fase di avvio delle reti telematiche, dove l’esito positivo dei collaudi sarebbe stati subito smentito e il rilascio dei nulla-osta particolarmente accelerato.
i Monopoli, inoltre, “hanno autorizzato persino macchinette apparentemente innocue, giochi di puro intrattenimento, senza scoprire che premendo un pulsante si trasformavano in slot-machine. (…) L’applicazione di forfait ha permesso il dilagare di anomalie, perché la ‘cifra fissa’ è assai più bassa di quella che potrebbe essere rilevata dalle macchine. Così in moltissimi casi sono state dichiarate avarie, guasti, difficoltà di collegamento dei modem solo per poter pagare di meno, con una perdita secca per lo Stato di miliardi di euro”.
Rileggendo questa interrogazione mi è venuto da pensare che se io fossi una malintenzionatissima holding del gioco d’azzardo, per di più connessa a flussi di capitali internazionali che, da una base maltese (dove, giacché ci stanno, trovano anche il modo di moltiplicarsi con la vendita di passaporti UE a personaggi anche poco raccomandabili di mezzo mondo e riempiendo di esplosivo la macchina di fastidiosi giornalisti) arrivano fino a Panama e a tutte quelle esotiche isolette nell’oceano che piacciono tanto al berlusconico Uolter, ecco, se io fossi quella cosa lì, così bitumosa e intrecciata da arrivare a pensare di fare diventare il Milan cinese, quale sarebbe la prima cosa che farei?
Cercherei un giovanotto della periferia più dimenticata e squallida, con qualche capacità che lo avesse inizialmente spinto a pensare che, con un futuro premio Nobel per maestro, lo attendesse la Gloria di un Fermi, ma che, al tempo stesso, mostrasse una smania di vestiti firmati e di belle macchine che poco si concilia con il lavoro umile e metodico dell’esperimento scientifico.
Se io fossi quell’intreccio bitumoso lì (e se, come tale, ovviamente, avessi le spalle stracoperte da un qualche Stato, con le sue strutture più segrete), troverei ancora più interessante se il giovanotto adocchiato, magari per via di un comune scambio tra atenei, si trovasse, anche se solo per un mese o due, ad essere “intrufolato” dentro ad uno dei più avanzati centri di ricerca mondiali (ad esempio: sul nucleare) e proprio della Nazione avversaria delle Stato che mi stracopre le spalle). Trovare uno così sarebbe davvero una fortuna!
E ancora più interessante mi apparirebbe il giovanotto se questi, impaziente e stanco della lentezza degli esperimenti e delle baronie accademiche, mostrasse un’attitudine, più che per l’aria rarefatta della Teoria, per l’immediatezza della pratica da “smanettone” furbo, disposto a vendere l’anima al primo diavolo che passa pur di poter verificare di persona che tutto è in vendita ed è solo una questione di prezzo.
Ecco, se ci fossero tutte queste condizioni ottimali (una vera manna dal cielo, a pensarci bene), verificatane fedeltà e capacità attraverso il servizietto oltreoceano, io uno così me lo terrei stretto e senza pensarci un attimo, grazie al pezzo di carta con scritto “laurea” (con l’aggiunta del repentino passaggio nel prestigioso centro di ricerca internazionale), lo piazzerei ai Monopoli a fare l’Head Mathematician per il tempo che serve (un anno e nove mesi basta e avanza).
Al primo mutare di vento (come, ad esempio, nel 2011), evitare fastidiosi approfondimenti non sarebbe certo un problema. Basterebbe spostare il giovanotto su un altro ramo di attività, magari affiancandolo ad uno sloveno e, poi, da sua moglie (o sorella) e via, verso nuove e più eccitanti (e redditizie) avventure.
Meglio perdere un Milanese che uno così. Uno che sa come funzionano le macchine.
Di Milanese ne trovi quanti ne vuoi (magari devi pure rifiutarne, perché c’è la fila).
Per fare uno così ci vogliono almeno cinque anni e le condizioni ottimali descritte. Statisticamente più raro, quindi da coltivare come un fiorellino.
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