Una invisibile barricata

“Il numero dei casi e dei morti per il virus cinese è enormemente esagerato negli Stati Uniti a causa del ridicolo metodo di calcolo dei Cdc, in confronto ad altri paesi”. Donald Trump si esprime così, su Twitter, mentre gli Stati Uniti superano la soglia delle 350mila vittime collegate all’epidemia di coronavirus.

“Molti” altri paesi “di proposito riportano cifre molto inaccurate e basse”. Negli Stati Uniti, secondo Trump, “quando c’è un dubbio, lo chiamano covid. Fake news”. Il presidente si sofferma anche sul tema della campagna di vaccinazione e punta il dito contro i singoli stati, colpevoli di non tenere il passo del governo federale. “I vaccini vengono consegnati dal governo federale agli stati ad un ritmo più veloce di quello con cui vengono somministrati”. adnkronos
Il prezzo del lavoro sporco di Lukashenko per Putin

Ogni volta che trovo traccia nel 2019 di documenti “scientifici” o di intelligence in merito al problema che Massimo Zuppini (GSK) nel 2009 aveva proposto a una platea di addetti ai lavori in merito al tema della sicurezza del Paese, ovvero cosa si debba fare per prevenire e contrastare una pandemia, provo un senso di vuoto e di disorientamento ponendomi la stessa domanda: perché non è stato fatto nulla e ci si è fatti trovare impreparati a livello planetario?

Forse non è una domanda corretta, ma per ora mi assale di continuo.

In merito ai documenti più recenti nei quali mi sono imbattuto, vi sono due relazioni del Prof. Łukasz Kamieński: Epidemics e Severe Acute Respiratory Syndrome (SARS) entrambi del 2019. I testi sono mirati al tema che il giovane professore predilige, il mondo militare, che nei secoli ha conosciuto il problema delle epidemie e delle malattie contagiose e che nel mondo moderno è chiamato ad affrontare nel caso di attacco battereologico o chimico. Ribadisco che non è il contenuto che mi attrae ma l’attenzione al problema e la non coincidenza con quanto sarebbe accaduto in Cina a novembre 2019. Kamieński, a mio avviso, nella analisi del problema trascura o non cosidera uno degli strumenti che il mondo militare utilizza da un secolo e che non trovo sia stato proficuamente impegnato nel frangente della pandemia presente, posto che nelle accademie militari si sia mai affrontata la questione: quali insegnamenti possiamo trarre dalla psicologia per governare la paura generata da una pandemia?

La domanda che ho posto è frutto di una considerazione che mi ha suscitato un capitolo di un saggio di John Bargh, “A tua insaputa: la mente inconscia che guida le nostre azioni” (Boringhieri 2018) e che, coincidenza, prende le mosse dalla figura dell’allora Presidente Trump e di sue alcune fissazioni circa l’igiene.

Tuttavia, l’aspetto che più mi interessa e che farà sobbalzare anche voi sulla sedia, è l’argomento degli esperimenti psicologici che Bargh effettua nell’università di Yale ovvero la reazione degli studenti al virus dell’aviaria (H1N1) che imperversò proprio nel 2009 e al quale Zuppini diede molta attenzione, ma non al virus, bensì al suo contenimento. In proposito, secondo Zuppini, la GSK aveva elaborato nel suo piano quanto segue:

Ditemi voi se non è questo un tema da psicologi, sociologi, semiologi e antropologi, poiché il comunicatore è a essi che guarda o dovrebbe guardare quando decide cosa dire al pubblico in merito a temi di questo genere; potremmo per esempio chiedere al dott. Merisi alias La Bestia a chi si ispirava quando spingeva Salvini a opporsi come Trump alle mascherine, alla chiusura o lockdown ecc ecc. che era esattamente ciò che Zuppini sosteneva andasse fatto.

Per tornare all’ambiguo Trump, vediamo se tra poco non lo conciano per le feste i cagnacci dell’FBI, ciò che mi stupisce, non essendo addentro ai meccanismi della mente, è quanto risulta dal testo di Bargh, cioè la fobia per virus e bacilli da parte sua. Perché un fobico del contatto come Trump rifiuta di ammettere la pericolosità del virus che causa il Covid-19?

Faccio presente che il tema del saggio di Bargh è divulgari risultati degli esperimenti che corroborano la sua teoria che basa sull’inconscio o su processi mentali nascosti l’origine delle nostre decisioni, basandosi sul semplice fatto che il cervello umano è frutto di una lunga evoluzione e i cui meccanismi ci sono ancora in gran parte ignoti. L’autore, in sintesi, sostiene che essendo l’individuo, uomo o animale è poco differente, frutto di un processo evolutivo durante il quale ha assimilato meccanismi che gli fanno provare paura in funzione difensiva, attrazione in funzione riproduttiva ecc ne consegue che le decisioni che prende abbiano come motivazione inconscia proprio l’istinto di sopravvivenza o di riproduzione della specie, senza per questo escludere la fondamentale dimensione dell’educazione, quindi della cultura.

Il testo di Bargh è divulgativo e di facile comprensione, ma tutt’altro che banale, soprattutto perché fornisce anche una ottima chiave per comprendere gli effetti dell’agire politico o meglio dei messaggi della politica, sempre oscillante tra il blandire o il terrorizzare, raramente il far crescere o l’emancipare.

Di germi e presidenti

Da quando abbiamo condotto il nostro studio del genio della lampada su conservatori e progressisti, in America si sono tenute le nuove elezioni presidenziali nel 2016. E che annata elettorale è stata! Il 9 febbraio Donald Trump si è aggiudicato le primarie del Partito repubblicano nel New Hampshire. Da quel giorno, con il suo casco di capelli arancioni e la sua sbruffoneria di milionario da reality televisivo, è avanzato assicurandosi la candidatura del partito in una serie di clamorose vittorie, trovando poca resistenza alle urne e molta, molta resistenza in ogni altro luogo, anche nel suo stesso partito. Alla fine ha trionfato con la sbalorditiva vittoria a sorpresa su Hillary Clinton ed è diventato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Con il suo stile fatto di discorsi incendiari, Trump ha creato una polemica dietro l’altra di cui i notiziari si nutrono famelicamente e senza interruzione. Ha insultato e umiliato donne, ha preso in giro una persona disabile, si è vantato delle dimensioni del suo pene e della sua ricchezza. Fatto indicativo, ha dato anche l’impressione di avere un’ossessione per i germi; un giornalista che ha seguito la sua campagna elettorale, e si è trovato spesso con lui dietro le quinte, lo ha descritto come «un misofobo a cui non piace dare la mano, che beve le bibite solo dalle lattine o dalle bottiglie sigillate e ai comizi si tiene a distanza dai suoi sostenitori». Durante la campagna elettorale, Trump, riferendosi agli avversari politici, li ha spesso definiti «disgustosi»: il caso più celebre è stato quando, durante un dibattito televisivo per le primarie democratiche con Bernie Sanders, Hillary Clinton si era presentata sul palco con qualche secondo di ritardo perché era dovuta andare alla toilette. Il giorno dopo, di fronte ai suoi sostenitori a un comizio a Grand Rapids, nel Michigan, arricciando il naso e con un’espressione di disprezzo che ha tanto divertito i presenti, Trump ha commentato: «So dov’è andata… è disgustoso, non voglio parlarne. No, è una cosa troppo schifosa. Non la diciamo, è disgustosa». Qualche mese più tardi, dopo il suo primo dibattito con Hillary Clinton, ha definito «disgustosa» anche l’ex Miss Universo Alicia Machado. Senza stare a rivangare la sua folkloristica campagna elettorale, basti dire che è stata una delle stagioni elettorali più memorabili da parecchio tempo a questa parte e, a parere della maggioranza degli osservatori, un nuovo minimo storico nel dibattito pubblico statunitense. Incolumità fisica non significa solo evitare danni fisici, ma anche, in larga misura, evitare germi e malattie. Stiamo attenti a non mangiare cibi che hanno odore di marcio o sembrano avariati (i nostri sensi si sono sviluppati per riconoscerli) e siamo schizzinosi quando si tratta di toccare cose che sembrano sporche o contaminate. Come sosteneva Darwin, siamo anche molto sensibili all’espressione di disgusto di chi ci circonda, e la nostra reazione a quelle espressioni è intensa e automaticamente evitiamo qualsiasi contatto con ciò che hanno appena mangiato o bevuto o toccato, e giustamente: nel corso della storia umana, germi e virus hanno sterminato ampie fasce di popolazione a intervalli regolari. Nel mondo dei nostri antenati le infezioni erano un spesso mortali. Procurarsi un taglio o una ferita attraverso la quale i batteri e i virus potessero entrare nel nostro organismo era una situazione molto grave e potenzialmente letale. Era ancora così ai tempi della Guerra Civile americana, negli anni sessanta dell’Ottocento, nella quale 62 soldati su 1000 morivano a causa delle infezioni e non per le ferite da arma da fuoco o da taglio. Fu solo con l’invenzione del microscopio e la scoperta dei microrganismi da parte di Louis Pasteur che si capirono i meccanismi di trasmissione delle malattie infettive. In particolare, sono stati i progressi nei campi dell’igiene in età contemporanea ad aver ridotto la minaccia di epidemie, contaminazioni su larga scala e diffusione di malattie. Grazie a questi progressi e alle conoscenze individuali sull’importanza dell’igiene e della protezione dei tagli e delle ferite, siamo oggi molto più al riparo da germi e malattie di quanto lo fossimo un tempo. Ciò nonostante, virus e batteri si stanno evolvendo, proprio come noi. Ad esempio compare un nuovo ceppo di virus influenzale quasi a ogni stagione. Per quasi tutta la storia umana, nel corso della quale la nostra mente è diventata quella che è oggi, evitare qualunque cosa avesse un odore o un aspetto poco sano ha fornito un vantaggio molto concreto in termini di sopravvivenza. D’altronde, nel mondo antico non esisteva la refrigerazione né c’erano istituti sanitari per valutare la freschezza del cibo. C’era un motivo ben preciso se certe cose per noi avevano un «cattivo» odore. (Ciò che per noi ha un odore tremendo probabilmente è profumatissimo, che ne so, per uno stercorario). Chi restava disgustato dall’odore di sostanze sporche, cariche di germi, ne evitava il contatto, e in questo modo aveva meno probabilità di esserne contaminato e di ammalarsi. Mostrare ripugnanza e sottrarsi al contatto dei germi sono, pertanto, comportamenti fortemente adattivi, che ci aiutano a mantenerci al sicuro e a difendere noi e le nostre famiglie dalle malattie. Tenendo tutto questo a mente, consideriamo ora il moderno spartiacque politico sul tema dell’immigrazione: i conservatori sono fortemente contrari all’immigrazione, i progressisti più favorevoli. È stata una delle questioni centrali e più scottanti della politica negli Stati Uniti in un anno di elezioni come il 2016, ma anche altrove, e la crisi dei profughi dalla Siria l’ha resa ancora più rilevante. Motivo dell’avversione dei conservatori sono i cambiamenti che l’immigrazione porta in un paese e nella sua cultura. Quando gli immigrati introducono valori, usi, religioni, credenze e idee politiche tipici della loro cultura possono avvenire dei cambiamenti sociali. Tuttavia, data la maggiore preoccupazione dei conservatori per la sicurezza personale e la sopravvivenza, un’altra ragione per opporsi all’immigrazione può essere riscontrata nel paragone, fatto spesso dai politici conservatori del passato (e del presente), fra i migranti che arrivano in un paese (il corpo politico) e i batteri e i virus che invadono l’organismo di un individuo. Leader ultraconservatori del passato come Adolf Hitler si riferivano in maniera esplicita e reiterata a gruppi sociali presi come capro espiatorio usando termini come «virus» o «bacilli»: gli estranei stavano cercando di invadere e distruggere il paese dall’interno (e, di conseguenza, dovevano essere debellati). Se l’immigrazione offre un nesso inconscio con i virus e le malattie, allora le convinzioni politiche anti immigrazione starebbero in effetti al servizio del potente impulso evolutivo che induce a evitare le malattie. Per sperimentate questa possibilità, abbiamo ideato due studi nel periodo dell’epidemia del virus influenzale H1N1 del 2009, in autunno, quando la popolazione viene incoraggiata alla prevenzione vaccinale. Quell’anno il virus era particolarmente aggressivo e per la prima volta a Yale furono dislocate postazioni di disinfettante antibatterico in tutto il campus. Il primo esperimento lo abbiamo condotto all’ora di pranzo, subito fuori dalla Commons Dining Hall, un’ampia sala da pranzo in stile Hogwarts con boiserie di legno scuro, finestre istoriate, lunghi tavoli di legno e lampadari in ghisa appesi al soffitto a volta. Per accendere lo stimolo della paura delle malattie nei nostri soggetti, innanzi tutto ricordammo loro che eravamo nel pieno di un’epidemia influenzale e lo sperimentatore distribuì a tutti un volantino contenente un messaggio sull’importanza della vaccinazione. In un secondo momento i soggetti dovettero rispondere a un sondaggio sul tema dell’immigrazione. Una volta terminato il questionario, chiedemmo ai partecipanti se si fossero già sottoposti al vaccino antinfluenzale oppure no. Come avevamo previsto, coloro ai quali all’inizio dell’esperimento era stata rammentata la minaccia dell’influenza ma che non si erano ancora vaccinati (insomma, quelli che in qualche modo avrebbero potuto essere minacciati dal virus influenzale) esprimevano sull’immigrazione opinioni sensibilmente più negative. Invece, chi si era già vaccinato esprimeva opinioni più positive: sentendo parlare dell’influenza si era ricordato di essere al sicuro, perché aveva fatto la profilassi. Organizzammo quindi uno studio ulteriore nello stesso ambiente del campus. Come nel precedente esperimento, a tutti i partecipanti fu ricordato che quello era il periodo dell’epidemia influenzale. Questa volta, però, ponemmo l’accento sul fatto che lavarsi le mani spesso o utilizzare gel antibatterici o altri disinfettanti era un metodo efficace per evitare il contagio influenzale. Dopo aver comunicato questo messaggio, ad alcuni soggetti – sempre in modo casuale – fu data la possibilità di utilizzare un disinfettante, ad altri no. Quindi somministrammo loro il solito questionario sulle opinioni politiche, contenente anche alcune domande sul tema dell’immigrazione. Anche in questa occasione, i soggetti che si erano lavati le mani dopo essere stati manipolati sulla minaccia influenzale avevano opinioni più positive nei confronti dell’immigrazione, mentre quelli a cui non era stata concessa la possibilità di lavarsi le mani esprimevano posizioni più negative. Per quanto possa sembrare strano, o addirittura inquietante, le nostre opinioni politiche sono influenzate profondamente dal nostro passato evolutivo. Le nostre convinzioni si basano su bisogni profondi, primordiali, per quanto di rado, o forse mai, siamo consapevoli dei motivi che ci spingono a manifestare quelle opinioni. Al contrario, tutti noi (incluso il sottoscritto) siamo convinti che i nostri giudizi emergano esclusivamente da principi razionali, magari legati all’individualismo e all’onore, o alla giustizia e alla generosità verso il prossimo. A livello cosciente, non abbiamo consapevolezza del fatto che sulle nostre opinioni e sui nostri comportamenti soffiano i venti del nostro passato evolutivo. Ciò non significa che quelle influenze non esistano. Del resto, la sensazione di disgusto condiziona qualcosa di più che le nostre sole opinioni politiche astratte. Simone Schnall e i suoi colleghi della University of Virginia hanno dimostrato come le impressioni di ripugnanza fisica, ad esempio quando ci si trova in una stanza molto sporca, influenzano le nostre impressioni di disgusto di livello morale, cioè quanto giudichiamo moralmente riprovevoli certi comportamenti. I soggetti di questo studio esprimevano un giudizio morale su alcune azioni, per esempio rubare un farmaco troppo caro per le proprie possibilità economiche allo scopo di salvare il proprio coniuge. Se le valutazioni venivano fatte in una stanza sporca, lo stesso comportamento veniva giudicato più biasimevole rispetto al giudizio espresso da altri soggetti, interrogati in una stanza pulita. 31 Il nostro impulso primario, l’impulso per eccellenza, il più profondo tra quelli che ci ha fornito l’evoluzione – quello alla sopravvivenza e all’integrità fisica – sta alla base di molte delle nostre opinioni. Questo bisogno ci condiziona per lo più a livello inconscio e, in genere, senza che capiamo cosa sta davvero succedendo. Ovviamente, non si tratta di una cosa negativa. È una questione di contesto. La nostra profonda preoccupazione per l’incolumità fisica e le malattie è, senz’ombra di dubbio, fortemente adattiva. È entrata a far parte della nostra costituzione genetica perché ci ha aiutati – a livello individuale e di specie – a sopravvivere. Influenza le nostre vite in maniera così fondamentale e potente che il suo raggio d’azione si estende ben oltre i compiti concreti, relativamente elementari, di sopravvivenza. Persino i nostri giudizi morali, così come la riflessione astratta e cosciente su temi sociali e politici, possono dipendere da questa motivazione primaria, a nostra totale insaputa.”

Ciò che mi domando è come sia avvenuto che persone che reputo colte, intelligenti e preparate oggi si trovino separate da una barricata virtuale che divide le popolazioni tra chi si vaccina e chi no, tra chi adotta un pass e chi no; penso che il testo che avete appena letto indichi una traccia importante.

Penso che i maestri della disinformazione siano sempre gli allievi degli autori dei “Protocolli”.

Alberto Massari