Il piccolo Goebbels

Carrai e il programma israeliani per influenzare la campagna referendaria – È in piena campagna per il referendum che invece scende in campo Carrai con i programmi israeliani: il 20 maggio del 2016 l’imprenditore informa Renzi di aver dato via libera a prendere due “software fenomenali” che tra le altre cose riescono a mappare le persone sul web, a capire cosa pensano e da cosa vengono influenzate. Secondo Carrai serviranno per “monitorare e influenzare la campagna”, visto che riescono a trovare per ogni singola persona il gruppo di riferimento, cosa pensa, chi la influenza e come. “Sarà una cosa mai vista”, scrive. Dieci giorni dopo sempre Carrai informa di avere una riunione con “gli israeliani” di Voyager. L’incontro si tiene il 6 giugno e secondo gli investigatori è verosimile che nella prima parte avesse partecipato lo stesso Renzi. Infatti Carrai scrive: “Dopo che siete usciti siamo entrati nell’operativo”. Cos’è l’operativo? Una serie di passaggi tecnici: dall’analisi dei macro temi che possono influenzare le opinioni fino all’analisi di “possibili Benigni“. Pochi giorni prima, infatti, Roberto Benigni si era esposto pubblicamente per il Sì al referendum. Carrai spinge: spiega che bisogna mettere su una task force di almeno cinque persone con uno psicologo cognitivo, un esperto di media e un referente politico che fornisca i messaggi da diffondere. La task force è necessaria perché i software da soli non bastano: “Si rischia di avere una Ferrari e utilizzarla per andare in giro in città”.
Cardone e Pipitone, Il Fatto Quotidiano, 10.11.21

Che l’intelligence e/o la politica israeliana abbiano puntato sull’ex sindaco di Firenze, dove il Console americano non è certo stato a guardare e dove continua a guardare, mi dispiace perché è il segno di un degrado intellettuale che spinge a puntare sui cavalli sbagliati, la coppia Marco e Matteo, per l’appunto. Certo i due altro non sono che la prima linea di una compagnia stabile, Ledeen il direttore artistico, uno di quei grandi ebrei erranti, lo dico con ammirazione e affetto, che ritengono di essere “una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente opera il bene”, ammaliando le creature nostrane: ieri lo storico Renzo De Felice oggi l’indefinibile Carrai con lo stupefacente intermezzo di D’Alema.

A rileggere Dionisia, spicca l’allarme dell’informatissimo Brunetta, che stigmatizza l’interesse del Carrai per la cyber, data la vicinanza a l’uomo di Riyad, il Matteo che volle farsi re. Veniamo per un attimo al presente e proviamo a rispondere al quesito che tanti italiani si fanno in merito ai viaggi sauditi dell’ex sindaco: non è che l’intenzione di Fincantieri di partecipare a bandi presso gli Emirati e di vincerli sia la ragione di conferenze così lautamente pagate? E che dire dell’agitazione sempre di Fincantieri nell’area della cyber e di fondi italo-londinesi?

Torniamo al 2016, Renzi Scatenato vuole incoronare il suo amico del cuore, Carrai, già consigliato da Bernabè (oggi ILVA o come volete chiamarla), capo della cyber security nazionale piazzandola nel DIS (Massolo direttore oggi Fincantieri) con la regia del calabro Minniti (al tempo aveva la delega ai servizi oggi presiede una fondazione di Leonardo) a convincere AISI e AISE. Alla faccia del conflitto di interesse, Carrai è socio di Leonardo Bellodi nella Cys4, società di cyber security appunto, partecipata dall’israeliano Pacifici.

Il troppo stroppia così, a luglio 2016 Antonio Massari, che non è mio parente, spara otto domande ispirate da un verbale del fenomenale Armanna, il quale pone una questione non da poco, auto accusandosi, si badi bene:

Complotto Eni-Renzi, le otto domande

Di Antonio Massari

12 Luglio 2016

La Procura di Siracusa sta indagando su un presunto complotto per far cadere l’ad di Eni Claudio Descalzi, e sulle presunte manovre ordite per accusare il premier Matteo Renzi di aver ricevuto finanziamenti dal Mossad, il servizio segreto israeliano. L’ex manager Eni Vincenzo Armanna ha dichiarato ai pm di essere stato contattato per fabbricare documenti che simulassero il finanziamento del Mossad a Renzi.

Nel dicembre scorso, una fonte anonima qualificata ha informato il Fatto che nel 2012 il Copasir e l’ex capo del Dis Giampiero Massolo vennero a conoscenza di un finanziamento dei servizi segreti israeliani nei confronti di Renzi per le primarie del Pd vinte da Bersani, e i nostri servizi ne discussero con l’ambasciatore Noar Gilon. Non abbiamo trovato riscontri alla notizia e non l’abbiamo mai pubblicata. Per far luce su questa grave vicenda il Fatto ha rivolto domenica otto domande ai personaggi istituzionali che possono e devono aiutare a fare chiarezza.

1Il Corriere della Sera, il 16 marzo riferisce che Massimo D’Alema, durante una cena, dice: “Renzi è un uomo del Mossad. Bisogna sconfiggerlo”. D’Alema non ha mai smentito. Quali informazioni l’hanno indotto a fare questa dichiarazione?

2. Perché D’Alema, rispondendo a un articolo pubblicato dal Corriere e firmato dall’ex ambasciatore israeliano Noar Gilon, accusa il diplomatico “partecipare – e non solo con articoli – alla vita politica del nostro Paese”? A cosa si riferisce?

3. La diplomazia israeliana, Massolo e componenti del Copasir dell’epoca – D’Alema ne era a capo – confermano o smentiscono che nel 2012 vennero a conoscenza di presunti finanziamenti del Mossad a Renzi? Eventualmente quali iniziative presero?

4. L’Eni intende avviare un’indagine interna per scoprire se si vi sia stato un complotto contro Descalzi? E Descalzi ha avuto sentore di manovre a suo danno? Il manager Eni Umberto Vergine – non indagato a Siracusa – sapeva che il complotto mirava a portarlo sulla poltrona più alta dell’ente?

5. La Procura ipotizza che il sottosegretario Luca Lotti, il futuro responsabile della cyber security per Palazzo Chigi, Marco Carrai, l’imprenditore Andrea Bacci, avrebbero ricevuto pressioni per convincere Renzi a non sostenere più Descalzi e per sostenere Vergine. Bacci ha già confermato dinanzi ai pm di Siracusa. Carrai e Lotti confermano o smentiscono?

6. I nostri servizi segreti erano a conoscenza dell’esistenza di un complotto per screditare Renzi accusandolo di essere stato finanziato dal Mossad? Hanno avvertito il premier?

7. Il Copasir attuale intende convocare Massolo e i componenti dell’ex Copasir per verificare se ciò che dice la nostra fonte è vero o falso? Intendono acquisire gli atti di Siracusa?

8. Renzi può riferire se i servizi lo hanno messo a conoscenza delle presunte manovre finalizzate ad accusarlo di essere stato finanziato dal Mossad? Può intervenire pubblicamente affermando che mai, in nessuna occasione, ha ricevuto aiuti dall’intelligence israeliana, attraverso finanziamenti, diretti o indiretti, che hanno agevolato lui personalmente, o personaggi a lui vicini?

Renzi vittima di un complotto? Viene da ridere e piangere e smoccolare.

Torniamo al piccolo Goebbels che richiede uno “psicologo cognitivo” nella task force che deve comunicare (manipolare) il pubblico a favore del patriottico Matteo, e domandiamoci se sia mai possibile che a Palazzo Chigi potesse accedere un personaggio del genere; ovviamente no, eppure è accaduto.

Oggi, novembre 2021, leggo che la società israeliana che ha venduto i software capaci di raccogliere i dati dai social necessari allo “psicologo cognitivo” per interpretare il sentiment e orientare l’estensore dei messaggi al pubblico, si chiama Bionic Ltd. Non mi è chiaro se sia la stessa Bionic che risulterebbe fondata nel 2019, quindi dopo, con sede in Israele e a Palo Alto, la quale, creata da ex membri della IDF 8200 (l’unità cyber dell’esercito israeliano), vanta come clienti niente popò di meno che Glaxo Smith Kline, e Freddie Mac.

Morale della favola?

Il Movimento aveva la forza di mettere ordine e di mandarli tutti a casa e invece… invece va a omaggiare, per fare un esempio, la celebrazione della vittoria dell’Azerbaijan lunedì 8 novembre 2021, ottenuta l’anno scorso – non entro nel merito della faccenda per carità – in “compagnia” di Alessandro Profumo, molto conosciuto tra quei monti così come Descalzi, che all’evento non c’era ma escludo che non vi fosse qualche suo rappresentante.

Alberto Massari

Agente Carrai, da Boston a Tel Aviv con amore

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Carrai, spiega Brunetta, «è un amico personale del premier, con il rischio palese di trasformare un servizio pubblico di delicatezza e importanza enormi in un’arma privata potentissima di controllo».

Per una volta siamo concordi con Brunetta, appassionato e critico lettore di Leo Rugens, oggi nostro alleato nella madre di tutte le battaglie: impedire a Carrai Marco, l’affitta camere, di concentrare nelle sue mani un potere senza precedenti, ovvero il controllo del web in Italia.

Carrai, l’uomo che vuole farsi spione e blindare le sue aziende di cyber security, non ci piace da sempre, soprattutto perché è intimo di quel Ledeen (grande storico, forse, mestatore, di sicuro) considerato a suo tempo “sgradito” dal capo dei servizi, l’ammiraglio Fulvio Martini.

Ora mi domando e dico, come mai gli uomini del Presidente Obama lasciano che in Italia scorrazzi gente del calibro di un Luttwak e di un Ledeen, per non dire di un Kissinger, intimissimo addirittura del massone-comunista Presidente Napolitano?

Sono o non sono costoro ostili alla politica dei democratici? Sì che lo sono.

Faccio presente che Kissinger è stato buttato fuori dal board di una grande azienda USA dopo che “Obama” la ebbe salvata dal fallimento e che in quella azienda avesse “prestato servizio” da più di quaranta anni. Perché? Forse perché qualcuno si era stufato dei suoi maneggi. Per toglierselo dai piedi è bastato abbassare a 72 anni l’età massima dei membri del board e il gioco è stato fatto. Non si potrebbe fare altrettanto con Ledeen rispetto all’Italia?

Sempre a proposito di Carrai, l’aspirante spione di Firenze, giova domandarsi quali competenze abbia in materia, domanda che il super esperto Umberto Rapetto (lui sì figura all’altezza di un compito così delicato, lo tenga presente il cittadino Angelo Tofalo) pone indirettamente e intelligentemente:

… quando si pensò di nominare il “cyber-czar” – gli americani scelsero un personaggio che aveva avuto a che fare con gli aeroporti, un tizio che aveva cominciato la sua carriera militare nell’US Air Force nel 1967, si era fatto tre campagne di guerra in Vietnam, aveva scelto la carriera governativa civile nel 1974 occupandosi di direzione del trasporto e gestione delle risorse in alcuni basi aeree. Quel signore – Howard A. Schmidt – ha poi fatto lo sbirro per una decina di anni (era uno degli SWAT nel Chandler Police Department in Arizona) e nel 1994 comincia a lavorare nel Computer Exploitation Team dell’FBI. Lo stesso anno diventa direttore del Computer Forensic Lab e della Divisione Computer Crime & Information Warfare dell’Air Force Office of Special Investigations. Un curriculum impressionante, che lo vede tra l’altro a capo della security informatica di Microsoft e poi in mille altre posizioni di responsabilità nel settore.

Una laurea in scienze dell’organizzazione all’Università di Phoenix, un’altra honoris causa in lettere, un dottorato di ricerca alla Idaho State University, la docenza al Georgia Institute of Technology: questi alcune notazioni sui suoi trascorsi scolastici.

Il 22 Dicembre 2009 Schmidt – senza aver mai diretto, nemmeno ad interim, un quotidiano sportivo come Il Romanista, requisito indispensabile per diventare Digital Champion dalla nostre parti – viene nominato “Top Computer Security Advisor” del presidenteBarack Obama per poi assumere il ruolo di Cyber-Czar degli Stati Uniti d’America.

Nel maggio del 2012, forse conscio di non aver mai visto l’Arno, Schmidt rassegna le dimissioni. Al suo posto, sospiro di sollievo, viene sistemato un personaggio meno qualificato. Finalmente.

Ma vediamole le competenze in materia di cyber world del Carrai illustrate da lui stesso a Salvatore Merlo sul Foglio a febbraio 2015:

a) Qualche mese dopo lavoravo al Mit di Boston, come consultant. A volte la laurea non serve. Un cervello ce lo dà nostra madre quando ci mette al mondo, l’altro ci viene dallo studio, ma il terzo ci viene da una vita giusta”. E di che ti occupavi a Boston? “Mi occupavo di innovazione e digitalizzazione applicata ai servizi di pagamento bancario”.

b) In questa azienda [la sede è a Milano] cosa si fa? “Ci occupiamo di consulenza strategica e di analisi dei big data. Siamo una delle prime società del mondo nel campo dei big data, lavoro con partner americani e israeliani, anche con il Mit di Boston”. Casa dov’è? “A Firenze. Poi viaggio. Un giorno alla settimana lo passo a Roma, due li passo a Milano, e il resto sono in giro, spesso vado a Tel Aviv”.

c) Ancora non ho capito che lavoro fate qui. “Analizziamo i dati su internet. Dall’analisi dei dati puoi capire tutto del mondo e delle persone. Sai quanti byte vengono trasferiti nel mondo in un solo giorno?”. No. “50 miliardi di miliardi. E’ come se ogni giorno ‘Guerra e Pace’ venisse stampata centocinquanta miliardi di volte. Se tu analizzi tutte queste informazioni, se le studi, puoi rendere la vita delle persone e della società molto più semplice. Puoi rispondere ai bisogni”. E insomma, dice, con l’analisi dei big data è come se tutta questa imprecisa agglomerazione di futuro, sospesa sul mondo, trovasse all’improvviso uno scopo, contraendosi in un presente ben delimitato e affrontabile. “Noi adesso abbiamo elaborato un software che fa predizioni, cioè analizza i social network e ti dice quale prodotto devi proporre sul mercato per avere maggiori chance di vendita”. La sua cotta per le scienze della new economy, le scienze della natura digitale, gli è maturata nella persuasione di una loro onestà e validità. […] Anche quelli sono big data… Ma tu lo sai come funzionava la campagna elettorale di Obama? Lui analizzava i big data, e sapeva che in un determinato caseggiato c’erano 200 appartamenti: 100 di repubblicani, 50 di indecisi, e 50 di democratici. Lui andava lì, e già sapeva dove bussare”. E qui arriviamo a una certa filosofia di vita, che forse è anche quella di Renzi, chissà. “Prendi Twitter”, mi dice. “Twitter è un grande rivelatore di dati e di informazioni”. Testa ordinata linearmente, Carrai cerca di far quadrare i dati, salvo alzare da questa pedana i suoi voli speculativi: “Twitter sta ai giornali come la politica moderna sta a quella antica. Twitter rapprensenta la velocità, i giornali la profondità, come i nuovi sistemi economici sono la velocità mentre i vecchi la profondità. La banca, l’istituto banca, dal 1500 in poi ha fondato la sua economia sul banco, dove le persone gestiscono le operazioni con un rapporto personale nei confronti del bancario. Ma ora si fanno sorpassare da Apple pay.

Però, che titoli e che esperienza! Notevole l’attenzione a Apple pay, gioverà sapere che AMEX ci ha già messo un piede sopra.

Chiudiamo o apriamo la questione ripescando un vecchio articolo (2005) nel quale ritroviamo l’amico di Carrai, Ledeen, e osserviamo con quale spregiudicatezza fosse “leccato” da un Capezzone o da un D’Alema (altro che amico di Hezbollah).

Un nostro lettore, SC, si domanda a chi faccia da ufficiale di collegamento l’anziano studioso del fascismo: a nessuno, a nostro avviso, essendo alquanto anziano e di conseguenza difficilmente comandabile da qualcuno.

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Capezzone: D’Alema apprezza i neocon? Abbiamo stravinto

ROMA – «Abbiamo stravinto», Daniele Capezzone, a nome dei radicali, brinda a Massimo D’ Alema e gli dà il benvenuto «su quelle che sono state per anni le nostre posizioni. Non siamo più isolati». E’ da una settimana che Radio Radicale aveva ripreso a martellare sui neo-con, demonizzati dalla destra e dalla sinistra in Italia. La riabilitazione fatta dal presidente dei Ds al convegno di Firenze – «preferisco i nuovi conservatori che lottano per la democrazia ai vecchi conservatori che sostenevano le dittature» – sembra musica alle orecchie radicali. E in particolare a Daniele Capezzone che all’American Enterprise Institute, il think tank neocon, presentò tre anni fa il suo libro Uno choc radicale per il XXI secolo. «Bene, bene. I neo-con non sono più i perfidi mangiatori di bambini, i principi delle tenebre. Mi fa piacere sentire queste parole di D’Alema come anche quelle così ragionevoli di Fassino e di Prodi sull’Iraq». La politica estera dell’Unione è un punto molto delicato del programma, sta cambiando qualcosa? «Trovo un filo positivo nelle prese di posizione degli ultimi giorni. Mi resta un piccolo dubbio su Giuliano Amato, che due anni fa ci riprese perché apprezzavamo i neo-con». Ma neppure D’Alema si è convertito, dice che sono meglio dei vecchi conservatori e basta. «Attendo le stesse parole anche da Amato. Le parole di D’Alema sono importanti perché finisce finalmente la demonizzazione di Michael Ledeen e Richard Perle e si riconosce che la loro è una delle poche realtà nel mondo che si interroga sulla promozione della democrazia». I neo-con parlano di «esportazione della democrazia». «Alcuni, è vero. E a me non piace. Ma da qui a identificarli con l’amministrazione Bush come è stato fatto in Italia, ne passa». Ma non può negare che sono unilateralisti e militaristi. «E’ vero, ma non tutti. Io credo però che sia importante interloquire con loro, cogliendo l’ ottimo delle loro riflessioni e provando con loro a immaginare strumenti diversi dalla carta unilaterale e militare. Ho detto al Foglio qualche giorno fa: se si prende un testo di Ledeen e si traduce in italiano, può diventare una mozione del centrosinistra». Lei è un provocatore. «Sull’Iran, per esempio, Ledeen non propone interventi militari, chiede di puntare sull’ uso dei media per dare la parola ai democratici iraniani». L’Iraq e ora la riabilitazione dei neo-con vi inducono ad altri passi nell’Unione? «La Rosa nel pugno sta creando un’atmosfera positiva nel centrosinistra. Noto con amarezza che il governo italiano è stato assente al convegno in Barhein su democrazia e Medio Oriente: Fini ha preferito restare a Milano a fare un comizio sulla legge sulla droga». Gianna Fregonara (14 novembre 2005) – Corriere della Sera

Dionisia

P.S. Meriterebbe un post a parte e lo faremo, per ora un assaggio della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi – 54a SEDUTA – MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE 1999 Presidenza del Presidente PELLEGRINO indi del vice presidente MANCA

MARTINI. Quando io arrivai, da capo del servizio cercai di instaurare un rapporto diverso con il Comitato parlamentare di controllo, che era allora presieduto dall’onorevole Gualtieri. Pecchioli era uno degli otto membri del Comitato, come pure il Presidente Violante. Allora il Comitato parlamentare di controllo non registrava, come fa adesso, e quindi si parlava a braccio; naturalmente il capo del servizio doveva essere autorizzato dal Presidente del Consiglio per andare al Comitato parlamentare di controllo. Io, tra l’altro, dissi, su domanda, che avevo chiesto all’ambasciata americana di non far entrare Mike Ledeen in Italia: era un tizio che lavorava ai margini della CIA. Naturalmente questa mia uscita dopo un paio di giorni fu riportata su un articolo de “L’Espresso”. Siccome io ho una certa capacità professionale, nel giro di poche ore seppi l’origine dell’articolo; e quindi feci le mie rimostranze sia al Presidente della Camera, che era l’onorevole Nilde Iotti, sia al senatore Pecchioli, che era il capo della pattuglia del PCI. Da questo nacque un rapporto che fu abbastanza cordiale, pur sapendo ognuno dei due che si militava in campi avversi. Ma io avevo un elevato concetto di lui. Lui probabilmente aveva un elevato concetto di me; a Natale ci si scambiava un libro, di solito, e la cosa finisce qua. Non vedo perché non posso avere un rapporto personale di stima o di quasi amicizia con l’onorevole Pecchioli. Devo dire che ho avuto un eccellente rapporto personale con l’onorevole Tortorella, che fu il successore di Pecchioli: non è che consideravo che tutti i comunisti fossero inavvicinabili. Mi scusi, ma mi sembra un po’ strana la domanda.

TARADASH. Non lo penso nemmeno io, però Pecchioli era il capo dell’organizzazione para militare del Partito comunista.

PRESIDENTE. Ammiraglio Martini, perché aveva dato questo parere sulla inopportunità che Ledeen venisse in Italia?

MARTINI. Intanto quando Ledeen veniva in Italia andava direttamente dal Presidente della Repubblica, che aveva conosciuto quando era Ministro dell’interno. E la cosa non mi piaceva. Secondo, perché Ledeen aveva avuto da uno dei miei predecessori 100.000 dollari [do you remember Luttwak-Pollari?] per fare delle conferenze sul terrorismo, che erano assolutamente rubati. E poi perché era un individuo che lavorava a margine della CIA, e la cosa non mi piaceva. Era un professore dell’Università di Georgetown negli Stati Unti.