Osvaldo Fattori o Antonio Ferrugia o Liggio Luciano

Ho assistito alla presentazione del libro del magistrato Giuliano Turone dedicato a Liggio dopodiché ho lasciato sedimentare le narrazioni – insieme a lui l’ottima Stefania Limiti – e sono tornato, anni dopo, sul personaggio con un documento dell’epoca del quale riporto l’ultimo capitolo. L’autore, Marco Nese, è un giornalista specialista del tema che nel 1975 a ventinove anni con polso sicuro tratteggia alcuni particolari veramente notevoli. Nelle pagine finali, con prosa asciutta e allusiva, Nese descrive alcuni particolari sui quali mi soffermo brevemente: l’uso delle intercettazioni telefoniche e lo stile di vita del Leggio.

Pensare che al tempo si intercettava “a mano” e che i raffronti tra nastri registrati per cogliere se la voce fosse la stessa si facevano quasi “a orecchio” da la misura delle difficoltà investigative.

Tuttavia ciò che mi colpisce è constatare che il super latitante vivesse con una identità fittizia menando una vita grigia con una compagna profuga istriana e il figlio avuto da lei. Nessuna protezione se non l’anonimato secondo lo stile di una spia da Guerra Fredda; una macchina quella sì potente con le armi nel bagagliaio ma per il resto una casa grande senza rubinetti d’oro in un luogo da anonimo benestante. Nese lo nota con la perspicacia dell’intellettuale o del vero investigatore.

Il finale avrà fatto sobbalzare il cuore anche a voi perché lì avete trovato l’erede di Liggio quel Riina la cui anima vivrà in eterno nell’ultimo girone, immersa nel lago ghiacciato al cospetto di Lucifero, il luogo che spetta a chi commette il peccato più grave secondo Padre Dante: tradire gli amici.

Alberto Massari