Non omnia possumus omnes – Non tutti possiamo tutto

Presidente Draghi, e tu vorresti, dopo esserti affacciato per una breve stagione nel caos delle istituzioni italiane, ritirarti nei saloni del Quirinale? A malapena ce la stai facendo tu, forte del carisma internazionale che ti accompagna, e vorresti già passare il testimone? O, come dici, metterti a fare il nonno? Vorresti quindi, se capisco bene, ritirarti, al sicuro, sul Colle, dopo esserti lavato la coscienza, ad esempio, suggerendo ai grandi speculatori di avere buon cuore, autolimitandosi i profitti che, viceversa, pretenderebbero di fare sulla pelle di cittadini già vessati, da anni e ancor di più nella contingente fase pandemica, in quanto artigiani, pescatori, agricoltori, imprenditori, piccoli e medi che siano, o come semplici lavoratori o pensionati titolari di utenze. Luce, gas, e come effetto domino tutto il resto, sono la vita stessa di milioni di nuovi schiavi resi impotenti da quando i poteri a cui tu appartieni, da decenni, hanno fatto in modo, scientemente, che sindacati e partiti perdessero ogni capacità di difesa dei cittadini onesti lavoratori e contribuenti e di contrasto alla protervia di chi del capitalismo sanguinario ha fatto una religione. Chiedere ai carnefici di essere “buoni” con le vittime designate suona a presa per il culo intollerabile.
Per ora nella mia marginalità e ininfluenza ho taciuto forse lasciando credere a qualche superficiale lettore che mi piacesse Mario Draghi e la sua guida. Certo, se mi portate sulla Torre e mi chiedete chi butterei giù tra Matteo Salvini e Mario Draghi, risponderò sempre che vorrei salvare “supermario” rispetto al posteggiatore abusivo. Come tra la signora della destra italiana Giorgina Meloni e il “banchiere” latomista sceglierò sempre il massone. Ma non prima di avervi ricordato non solo ciò che ho scritto di lui anni addietro ma quello che nel confronto tra massoni aristocratici e antidemocratici (a cui per affiliazione dovrebbe appartenere Draghi) e i liberi pensatori liberal-socialisti che si rifanno, sia pure nelle diverse fasi storiche e ambienti internazionali, all’elaborazione massonica progressista, dovrebbe emergere. Elaborazione massonica progressista che esiste anche se sembra ormai avere un filo di voce. 

Non certo indicando Luciano Pellicani come un massone (chi sono io per sapere chi è stato affiliato e chi no?) a questo punto del post riporto (in realtà è un omaggio all’onesto e raffinato intellettuale) la biografia di Pellicani perché chi, eventualmente, ne sapesse di più prendesse spunto per andare oltre il mio timido e non certo autorevole spunto. Pellicani, se fosse vivo (ci ha lasciato da poco), riuscirebbe ad aprire gli occhi di molti dormienti spaesati da tanta confusione e violenza contemporanea. Comunque se qualcuno avesse coraggio e curiosità potrebbe, recuperando il testo di Gioele Magaldi (che ritengo stimasse molto Pellicani) “Massoni – Società a responsabilità illimitata“, capire (da pagina 432 a pagina 448) come l’operato di Mario Draghi si riallacci pedissequamente a quanto già era stato con violenza attuato in Italia (e non solo) tra il 1991 e il 2001 in termini di smantellamento di ogni possibile argine alla svendita della nostra Italia produttiva. Draghi era stato, così si disse, determinante per la fine della sovranità italiana, secondo decisioni prese “in loggia” ed oggi dimenticarlo sarebbe un errore imperdonabile. Mancano pochi/tanti giorni all’elezione del nuovo Capo dello Stato. Dalla strage di Capaci (23 maggio 1992), dove morì Giovanni Falcone, all’elezione di Oscar Luigi Scalfaro (25 maggio 1992) passano pochissime ore. Eviterei di rimuovere questo tragico dettaglio. E con questo spunto mnemonico avvio la mia personalissima campagna di informazione a ridosso del Grande Evento che spero non si accompagni ad episodi tragici. 
Oreste Grani/Leo Rugens 

Luigi Luciano Pellicani 

(Ruvo di Puglia, 10 aprile 1939 – Roma, 11 aprile 2020) è stato un sociologo, politologo, giornalista e accademico italiano.

Figlio di Michele Pellicani, già parlamentare PSDI e PSI per tre legislature e più volte sottosegretario, visse fino all’età di dieci anni a Ruvo di Puglia, con i nonni paterni. I genitori, comunisti antifascisti, erano stati infatti inviati al confino a Matera dal regime fascista. Il nonno materno, Bartolo Di Terlizzi, anarchico, pedagogista seguace delle idee e dell’insegnamento di Pestalozzi, si distinse per la sua opera di alfabetizzazione dei bambini figli dei braccianti, togliendoli al lavoro dei campi e istruendoli attraverso i metodi pedagogici pestalozziani. Egli esercitò un grande ascendente sul piccolo Luciano, che fu avvicinato alla cultura e alla lettura di tanti libri sin dai primi anni della scuola elementare. Terminata la guerra, tornò dalla madre (che nel frattempo si era separata dal marito), a Napoli, con gli altri suoi tre fratelli. Nel 1964 si laureò in Scienze politiche alla Sapienza – Università di Roma, con una tesi su Antonio Gramsci. Proprio lavorando alla tesi, Pellicani, di famiglia tradizionalmente comunista, si convinse che «il comunismo non era una buona idea realizzata male. Era proprio un’idea sbagliata». Abbracciò quindi idee socialiste-riformiste.

Dopo la laurea si recò in Spagna, dove studiò l’opera e il pensiero del sociologo spagnolo José Ortega y Gasset, per proseguire gli studi sociologici in Francia. Tornato in Italia, cominciò ad insegnare all’Università degli Studi di Urbino.

Nel 1976, dopo aver letto un articolo di Bettino Craxi, in cui il politico citava un saggio su Eduard Bernstein che Pellicani aveva scritto anni prima, Pellicani contattò il leader socialista, sancendo l’inizio di una collaborazione con il Partito Socialista Italiano.

Intellettuale lontano dagli apparati di partito, Pellicani contribuì quasi esclusivamente inviando saggi e discorsi politici e, in seguito (dal 1985) dirigendo il periodico di area socialista Mondoperaio, attorno alla cui redazione raccolse intellettuali, docenti universitari, artisti (tra i quali vanno ricordati Norberto Bobbio, Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Sartori, Giuliano Amato, il regista Marco Leto) con i quali dette vita ad un intenso e vivace dibattito sulla modernizzazione della cultura politica della sinistra italiana e sulle riforme istituzionali. La rivista arrivò a vendere, in quegli anni, sino a 5.000 copie a numero, e divenne il punto di riferimento per l’area riformista della politica italiana, che si rinonobbe, in quel pur breve periodo, nell’intento rinnovatore e riformatore che animava quel dibattito.

Il saggio su Proudhon
Il 27 agosto 1978, Bettino Craxi pubblicò su L’Espresso un articolo, dal titolo Il Vangelo Socialista, a sua firma ma scritto in realtà insieme a Pellicani, articolo al quale viene unanimemente attribuita la svolta politico-culturale con la quale il Partito Socialista Italiano prese le distanze dal massimalismo di stampo marxista, per approdare definitivamente al riformismo socialdemocratico teorizzato da Bernstein, e anticipato da Pierre Joseph Proudhon.Quella svolta segnò una nuova stagione politica della sinistra italiana, che vide il PSI impegnato in una lunga battaglia con il PCI per la modernizzazione culturale della sinistra.

Alla dissoluzione del partito dopo Mani Pulite, decise di chiudere Mondoperaio. Riguardo all’inchiesta giudiziaria, in un’intervista dichiarò che, anche se le irregolarità erano presenti in tutti i partiti (eccetto il Partito Radicale), non poteva «perdonare al gruppo dirigente socialista di aver affogato nella corruzione le buone idee».

Nel 1998 si avvicinò ai Socialisti Democratici Italiani (SDI), dichiarando di voler rimanere di centrosinistra (pur lontano da posizioni massimaliste) e quindi rifiutandosi di emigrare, come molti ex socialisti fecero, in Forza Italia con Silvio Berlusconi. Dal novembre del 2000 tornò alla guida di Mondoperaio, alla quale restò fino all’aprile del 2008.

Nel corso della manifestazione di Roma organizzata dall’Ulivo il 3 marzo 2002 Pellicani, il solo socialista presente tra i relatori in una delle sue rarissime apparizioni in piazza, fu duramente fischiato quando nel suo intervento attaccò la linea politica dei Girotondi e di Antonio Di Pietro.

È stato candidato senatore per la Rosa nel Pugno alle elezioni politiche italiane del 2006, senza essere però eletto.

In tutti questi anni continuò a svolgere l’attività di docente presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (Luiss), dove era ordinario di sociologia politica e docente di sociologia generale e di antropologia culturale (al termine della sua carriera accademica, fu proclamato dalla Luiss professore emerito – ciò gli consentì di proseguire l’insegnamento sino all’eta di 80 anni), e a pubblicare saggi, alcuni dei quali sono stati tradotti in varie lingue: uno di essi, La genesi del capitalismo e le origini della modernità, è stato definito “un classico” dalla rivista statunitense Telos, ed è considerato un testo noto soprattutto per quanto riguarda la critica ad alcune tesi di Karl Marx e di Max Weber.

È stato molto criticato il suo saggio, Lenin e Hitler. I due volti del totalitarismo, in cui Pellicani equipara appunto Lenin, leader della rivoluzione russa e del sovvertimento del regime zarista, e Adolf Hitler, Führer del partito nazista, principale ideatore dell’Olocausto e più diretto responsabile della Seconda guerra mondiale. In questo saggio l’autore sviluppa, sulla base di una puntuale documentazione, la tesi che, a dispetto della mortale inimicizia da cui erano divisi, il comunismo e il nazismo avevano lo stesso nemico, la società borghese, e lo stesso obiettivo: la purificazione del mondo attraverso il terrore catartico. Di qui l’istituzione dell’universo concentrazionario, nel quale dovevano essere scaricati tutti gli elementi corrotti e corruttori. Di qui, altresì, l’idea della rivoluzione come processo catastrofico-palingenetico che sarebbe sfociata, dopo aver annientato la totalità esistente, nella creazione di una umanità trasfigurata.

Il metodo della sociologia storico-comparata fu quello che Pellicani sempre predilesse, e grazie al quale giunse a risultati scientifici che – oltre al già citato La genesi del capitalismo e le origini della modernità – dettero la luce a studi di indiscusso valore sulla modernizzazione (Le sorgenti della vita), sulla secolarizzazione (Modernizzazione e secolarizzazione), sulle rivoluzioni e sui movimenti ideologico-rivoluzionari (Dinamica delle rivoluzioniLa Società dei giusti), sui totalitarismi (Rivoluzione e totalitarismoLenin e Hitler), sulla cultura politica italiana (Gramsci, Togliatti e il Pci), sull’azione sociale e la teoria sociologica (Dalla società chiusa alla società aperta). Quest’ultima deve a Pellicani, nel panorama italiano, l’aver contribuito a far conoscere il pensiero e l’opera di José Ortega y Gasset, filosofo spagnolo al cui pensiero sociologico Pellicani ispirò una parte importante del suo approccio alla spiegazione del sociale (La sociologia storica di Ortega y Gasset).

Rare sono state le apparizioni televisive di Pellicani, che intervenne sporadicamente all’interno della trasmissione Ballarò di Giovanni Floris, suo ex-allievo, oltre che in varie interviste concesse nell’ambito di trasmissioni televisive dedicate alla storia della sinistra italiana.

È morto a Roma l’11 aprile 2020, all’età di 81 anni, dopo una breve malattia.