Richiamare l’attenzione su chi fa affari con Putin e i suoi oligarchi

La segretaria del Tesoro USA, Janet Yellen, ricorda che le eventuali sanzioni contro la Russia di Putin, se non molla l’osso ucraino, sarebbero devastanti per l’intera economia del Pianeta. Comunque, sentite a me che su quest’aspetto di interdipendenza cominciavo a richiamare l’attenzione con il post DIFFICILE IL MOMENTO PER ALCUNI CHE FANNO AFFARI CON MOSCA?, certamente per tutti quegli italiani (molti) che oggi fanno affari con gli oligarchi putiniani.
Della serie: uomo/imprenditore avvisato, mezzo salvato.
Oreste Grani/Leo Rugens
DIFFICILE IL MOMENTO PER ALCUNI CHE FANNO AFFARI CON MOSCA?

Scrivo augurandomi di andare fuori tema. Intendo dire che potrebbe accadere che la tensione in Ucraina/Bielorussia/Lituania (di fatto anche questa repubblica baltica si sta schierando annunciando che fornirà all’Ucraina sistemi difensivi consistenti in missili Stinger) Nato a guida USA, si sgonfia e tutto si aggiusta e non ci sarà alcun bisogno, nella nostra Italia di porsi il problema di chi sia amico di Putin e di questa Russia minacciosa. Fatti quindi i debiti scongiuri (questo vogliono essere le frasette che ho scritto), vediamo se si riesce a ricostruire una mappa ragionata (oggi comincio da alcuni tra i meno noti) dei personaggi italiani (in politica e nel business) interessati, per i più diversi motivi, ad un eventuale rafforzamento geopolitico della nomenclatura putiniana e alla sua influenza nei rapporti con la nostra Italia. Quella di oggi e quella che potrebbe delinearsi in un futuro prossimo possibile.

A premessa (ma anche per inserire un elemento pesante nella partita da poco iniziata) provo a ricordare che il pensatore complesso Confucio era cinese. Così è chiaro a tutti che, questa è la mia opinione, sarà la Cina che, eventualmente, raccoglierà vantaggi ed eventuali cocci. Annotava Confucio, 2500 anni addietro, che quando soffiano i venti del cambiamento (e mi sembra che, per più motivi, stiano ormai soffiando forte forte) c’è chi costruisce muri e chi mulini a vento. Su chi siano i costruttori di muri è fin troppo chiaro e se ne sono occupate le cronache politiche quotidiane. Sui mulini il discorso è più articolato. Per esempio, e la notizia ha sorpreso lo stesso Putin che lo ha dichiarato pubblicamente in un incontro avvenuto anni addietro, con alcuni parlamentari russi, dopo il varo delle sanzioni, parliamo del 2014, gli scambi commerciali tra Usa e Russia sono cresciuti del 7% e le importazioni russe dagli Stati Uniti addirittura del 23%. Mentre l’interscambio con l’Europa è sceso a seconda dei paesi, e l’Italia è stata tra i più colpiti, tra il 7 e il 10%. Ma ancora più curioso è il fatto che Schlumberger, il colosso americano specializzato nei servizi all’industria oil & gas abbia annunciato, a sanzioni comminate, di avere stretto un’alleanza strategica suggellata dall’acquisto di una quota di minoranza in Eurasia Drilling, la sua omologa russa, principale operatore nella Federazione sui servizi per le grandi perforazioni, fondata e diretta da due personaggi vicini al Cremlino, Alexander Djaparidzee e Alexander Putilov. Questo doppio binario della politica e del business americano ha fatto andare su tutte le furie molti industriali italiani che in Russia e con la Russia hanno impegnato capitali e relazioni importanti per far crescere insieme ai loro affari l’interscambio bilaterale: dettaglio non secondario dal momento che la Federazione guidata da Putin è il quarto partner commerciale dell’economia italiana quanto mai bisognosa di compensare la caduta dei consumi interni con i mercati internazionali, a partire dai più vicini e raggiungibili.
Nonostante l’interscambio Usa-Russia sia poco più di un decimo di quello tra Russia ed Unione Europea, circa 500 miliardi l’anno, è il segnale che conta. Soprattutto se accompagnato da quello degli industriali tedeschi, che, a dispetto dell’atteggiamento sanzionatorio caldeggiato dal mondo politico ufficiale, hanno moltiplicato negli anni scorsi le delegazioni a Mosca e San Pietroburgo e in altre Regioni che si stanno facendo letteralmente in quattro, per attirare investimenti dall’estero nelle rispettive amministrazioni. Con la promessa di esenzioni fiscali per svariati anni, di concessioni dei terreni su cui far sorgere capannoni e impianti e con l’impegno a far funzionare a dovere le infrastrutture di base tra cui, in primis, l’energia. La Confindustria tedesca, per anni, ha letteralmente indossato l’elmetto per appoggiare le vendite di treni superveloci, delle turbine per le centrali convenzionali, elettriche e nucleari, ed eoliche, e gli impianti chimici alla grande industria russa. Per contro una microscopica sezione moscovita della Confindustria italiana ha litigando e si è divisa in contrapposte ma agguerrite fazioni. Così si dice.

Per fortuna, a proposito di mulini, gli industriali italiani di peso, i Cremonini (food), i Tronchetti (pneumatici), i Buzzi (cemento), i Barbaro (armatori), i Battista (cavi), i De Eccher (costruzioni), i Benedetti (acciaio) hanno capito che per svincolarsi dai giochi politici di Washington e Bruxelles, che spesso rispondono a logiche di potere di breve respiro, occorre lavorare sui tempi lunghi e avere la forza di investire e rischiare anche quando tira vento. E tra i creatori di valore un caso interessante è quello di Vincenzo Trani, ex banchiere in forza alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che in Russia lavora da quasi vent’anni e sulla Russia ha costruito una piccola fortuna con un fondo di microfinanza, diventato in sei anni un benchmark europeo oltre che un ottimo investimento per chi ci ha creduto. Ovviamente Trani non è il solo che sta interpretando con creatività l’Italian style, anche se è tra i pochissimi nella finanza.

In queste ore drammatiche se fossi un giornalista di una testata affermata e autorevole, intervisterei chi è stato in grado di costruire i mulini a vento, nelle situazioni più disparate, dall’agricoltura alla ristorazione, dall’industria della maglieria, dove la Calzedonia di Sandro Veronesi è addirittura diventato un fenomeno anche mediatico, a quella dei trasporti sui fiumi, a chi, da buon italiano, ha imparato a vendere caviale italiano ai russi.
Antonio Fallico
Antonio Fallico e Putin
In definitiva, il consiglio degli esperti, fra cui sicuramente Antonio Fallico (l’amico d’infanzia di Marcello Dell’Utri) abituato a trattare con il Cremlino anche gli affari più delicati, è molto semplice: guardare alla storia e alla geografia, che indicano l’inevitabile saldatura tra due parti di un solo continente euroasiatico dove la ricchezza di tecnologia e creatività del pezzo occidentale è naturalmente al servizio delle ricchezze sconfinate, sopra e sotto il suolo, della parte orientale. Attrazione fatale, in momenti storici ancora ben presenti alla memoria, ma comunque cementata da secoli di pratica. Ben prima che la nazione americana vedesse la luce e piantasse, recentemente, i suoi paletti. Questo è quello che pensano molti dei maggiori esponenti del “partito putiniano” in Italia. Ora, come potete immaginare, la guerra fredda e i suoi riti ipocriti sono compatibili con questo approccio pragmatico e indifferente ad ogni valutazione etica sull’operato del “dittatore ammazza giornalisti e oppositori politici” ma il business può saltare se la guerra si fa calda e ci si prende a cannonate. Ecco perché sarebbe interessante invitare nelle principali e più seguite trasmissioni televisive alcuni dei nomi di finanzieri e imprenditori che ho citato.
Oreste Grani/Leo Rugens