Dal mondo Micro a quello Macro? Sembra facile
Provo a rapirvi e a farvi dimenticare per qualche minuto le “bollette” e le questioni geopolitiche che ci minacciano tutti, a partire dal groviglio ucraino-bielorusso-russo che certamente non sembra trovare soluzione a breve. Anzi. Per farlo vi porto sulla soglia di un mondo “micro/piccolo” e vediamo che effetto vi fa. Lo faccio suggerendo di procurarvi l’ultimo (poi è morto) romanzo di Michael Crichton (e Richard Preston) “MICRO“. In attesa vi riproduco l’introduzione. Sperando di fare cosa gradita.
A seguire troverete un testo scelto dal fascicolo n°32 della rivista Sfera (che tanto mi è cara e a cui devo molto di quel poco che sono arrivato a capire) dedicato al superamento della dicotomia Grande–Piccolo.
I ragionamenti (il romanzo MICRO e l’articolo di Sfera) sembrano lontani. A me che li ho selezionati come materiale per un progetto ambizioso che finalmente si avvia a vedere la luce, non mi appaiono estranei. Anzi.
Oreste Grani/Leo Rugens

IN CHE TIPO DI MONDO VIVIAMO?
Nel 2008 il famoso naturalista David Attenborough rilevava con apprensione che gli scolari moderni non erano in grado di identificare piante e insetti comuni presenti in natura, quando invece le precedenti generazioni li riconoscevano al primo sguardo. I bambini di oggi, affermava, sono tagliati fuori dall’esperienza della natura, non giocano più come in passato nell’ambiente naturale. Tra i fattori responsabili del cambiamento annoverava: la vita urbana; la mancanza di spazi aperti; il computer e Internet; il carico di compiti di scuola da fare a casa. Il risultato era che i bambini non avevano più alcun contatto con la natura, della quale non acquisivano dunque un’esperienza diretta. Era ironico che ciò accadesse in un’epoca in cui nell’Occidente la preoccupazione per l’ambiente toccava le soglie più alte e in cui, per proteggerlo, venivano proposti progetti di un’ambizione senza precedenti.
Una delle priorità del movimento dei Verdi era inculcare nei bambini un corretto pensiero ambientalista, quindi i piccoli venivano istruiti a proteggere qualcosa di cui non sapevano assolutamente niente. Non passava inosservato il fatto che questa era esattamente la formula che in passato aveva condotto al degrado ambientale perpetrato con le migliori intenzioni: ne erano esempi eclatanti il deterioramento dei parchi nazionali degli Stati Uniti e la politica americana in fatto di prevenzione degli incendi forestali. Misure come queste non sarebbero mai state varate se si fossero veramente capiti gli ambienti che si stava tentando di proteggere.
Il problema era l’essere convinti di capirli. Si può sostenere che la nuova generazione di scolari ne sarà ancora più convinta. La scuola insegna infatti che esiste una risposta a ogni domanda; soltanto nel mondo reale i giovani scoprono che molti aspetti della vita sono incerti, misteriosi e persino inconoscibili. Se hai l’opportunità di giocare nella natura, se vieni spruzzato da un coleottero, se il colore dell’ala di una farfalla ti resta attaccato alle dita, se guardi un bruco filare il suo bozzolo… sei invaso da un senso di mistero e di incertezza. Quanto più guardi, tanto più il mondo naturale diventa misterioso e tanto più ti rendi conto di quanto sia limitata la tua conoscenza. Oltre alla bellezza, puoi anche scoprirne la fecondità, gli sprechi, l’aggressività, la crudeltà, il parassitismo e la violenza. Sono aspetti che i libri di testo non comunicano adeguatamente.
Forse la lezione più importante da trarre dall’esperienza diretta è che il mondo naturale, con tutti i suoi elementi e le sue interconnessioni, rappresenta un sistema complesso che non siamo in grado di capire e il cui comportamento sfugge alla nostra capacità di previsione. È assurdo fare come se fosse vero il contrario, altrettanto assurdo che comportarci come se potessimo prevedere gli sviluppi del mercato azionario, un altro sistema complesso. Se qualcuno sostiene di poterci dire quale sarà l’andamento di un’azione nei prossimi giorni, sappiamo di trovarci di fronte a un imbroglione o a un ciarlatano. Se invece un ambientalista avanza pretese simili riguardo all’ambiente, o a un ecosistema, non abbiamo ancora imparato a inquadrarlo come un falso profeta o un pazzo.
Noi esseri umani interagiamo brillantemente con sistemi complessi. Lo facciamo di continuo, senza però pretendere di capirli. Tentiamo solo di gestirli. «Gestire» significa interagire con il sistema: fare qualcosa, aspettare di vedere la reazione e poi fare qualcos’altro nel tentativo di conseguire il risultato voluto. Ciò che ha luogo è un’infinita interazione iterativa basata sul presupposto che non sappiamo con certezza come risponderà il sistema: dobbiamo stare a vedere. Magari abbiamo la sensazione di sapere ciò che accadrà. Magari spesso ci azzecchiamo. Ma non siamo mai sicuri. Quando interagiamo con il mondo naturale siamo privi di ogni certezza. E lo saremo sempre.
Come possono allora i giovani fare esperienza del mondo naturale? L’ideale sarebbe trascorrere un po’ di tempo in una foresta pluviale: uno di quegli ambienti vasti, scomodi, inquietanti e belli che così rapidamente spazzano via i nostri preconcetti.
(Incompiuto) Michael Crichton 28 agosto 2008
