Ucraina: otto anni non sono serviti a niente


Antonio De Martini, il 26 febbraio 2014 (domani fanno otto anni) diceva la sua (e da par suo) sul destino dell’Ucraina e implicitamente dell’Europa e dell’Occidente. Non fa certo male rileggere il post e riflettere sul futuro incerto non solo del martoriato popolo ucraino ma di tutti noi che dovessimo scegliere una qualche forma di indifferenza e di calcolo opportunistico. 

Oreste Grani/Leo Rugens

Antonio De Martini – Ucraina, effetto domino o nuova Yalta?

Three Powers Meet

“Il Giornale della Collera”, autorevole testata informatica, nata libera per volontà dell’analista di geo politica Antonio De Martini, dice la sua sulla complessa vicenda “Ucraina/Crimea/Russia”.

Come spesso facciamo, vi invitiamo a non sottovalutare le complessità descritte e le ipotesi delineate da De Martini che ci vede lungo da quelle parti e, soprattutto, nel tormentato Medio Oriente.

Leo Rugens

UCRAINA, PRIMA PEDINA DELLA TEORIA DEL DOMINO O PROVA DI UNA NUOVA YALTA A GEOMETRIA VARIABILE?

di Antonio de Martini

Ora che la polvere si sta posando sulla Piazza Maidan di Kiev e sulla scrivania di Eugenij Yanuschenko, vediamo che i problemi che hanno provocato la crisi restano intatti per chiunque vada a governare quel paese.

L’Ucraina non può fare a meno di una larga collaborazione con la Russia e l’U.E. non è in grado di dare un aiuto sostanziale senza provocare una ribellione tra i 28 paesi della Unione e tra i 18 paesi dell’eurozona monetaria.

I miti lanciati dalla disinformazione stanno per affiorare e scopriremo che non è vero che l’Ucraina vuole andare in Europa: sono gli ucraini che vogliono poter emigrare e lasciare un paese povero e senza speranza , roso dalla corruzione, arretrato nella mentalità e dotato di industrie obsolete e improduttive, con una classe dirigente penosa. Insomma, una Italia in piccolo.

L’assemblea regionale della Crimea sta da giorni studiando la formula giuridico-politica  per una secessione che la porti in seno alla Russia, mentre il prossimo governo dovrà fare i conti con l’impoverimento che questa “secessione dolce” può causare ad una  economia certo non florida.

L’unico elemento certo della intera vicenda è che mentre Vladimir Putin non si è pronunziato, si è avuta una reazione da parte del primo ministro  Dimitri Medvedev, segno che teme di essere inquadrato come il capro espiatorio della vicenda.

La sua posizione è già resa precaria dalla  recente e perdurante svalutazione del rublo e questa tegola anche sull’orgoglio nazionale rischia di farlo sfiduciare in tempi brevi.

Non ritengo valida l’interpretazione di alcuni analisti che valutano il mancato intervento di Putin nella vicenda come una conseguenza dell’impegno nelle Olimpiadi invernali di Sochi.

Putin ha taciuto per non offuscare la sua immagine di difensore della nazione e non rinfocolare frizioni.  Anche i grandi investimenti ( giochi Olimpici e ristrutturazione completa delle ferrovie) mostrano che sta puntando allo sviluppo e non alla megalomania nazionalistica. Ha capito che la CSI si tiene unita con il benessere e non coi la  ( in parte ineliminabile) retorica.

La Russia può benissimo gestire più di una crisi alla volta. Stiamo assistendo, a mio parere, a un duplice attegiamento inspiegabile da parte dei due capi di Stato Americano e Russo, se visti separatamente.

Più e meglio spiegabili se visti assieme.

Putin ha abbandonato l’idea di un intervento robusto in Ucraina a difesa dei suoi interessi e Obama ha in parallelo rinunziato ad un intervento armato in Siria. Entrambe queste scelte non possono non essere state negoziate al meglio.

Hanno fatto come Kennedy e Krusciov che tolsero i missili dalla Turchia e da Cuba nel 1962 senza consultare i rispettivi alleati, ma assicurando un periodo di tregua necessario al mondo intero.

Entrambi continuano a fare la faccia feroce verso i vassalli riottosi e rassicurante verso quelli fedeli , ma comincio a credere che a Ginevra più che negoziare tra le fazioni siriane, si sta negoziando una nuova Yalta tra i due grandi ed uno strapuntino  per la Germania destinata a fare da ufficiale pagatore.

Da una parte Barak Obama  va incontro al desiderio della stragrande maggioranza dei suoi cittadini di non farsi coinvolgere in nuove avventure militari e dall’altra Putin è consapevole che il suo paese ha avuto un decollo economico fragile e d’apparenza e che sarebbe suicidario ingaggiarsi in una corsa al riarmo che la Russia ha già perso una volta.

Certo, la competizione resta come resta il rapporto di odio-amore reciproco: gli USA cercheranno sempre di sfaldare la CSI ed in particolare dividere il Kazakistanm ( che ha svalutato al 20% la propria moneta ) dalla Russia e far cadere la fascia di sicurezza della Russia costituita dai vari uomini forti alla  Aleksandr Lukashenko ( Bielorussia) oppure vincere la partita in Kirghizistan dove ci sono stati in dieci anni due tentativi di rovesciamento. In questa direzione si scateneranno le ONG  della opposizione USa che spesso perseguono una politica contraria  a quella del Governo americano.

La Russia continuerà a difendere La Siria ed i suoi interessi nel Levante, ma  in Ucraina ci sarà un condominio e in Siria troveranno la quadratura del cerchio che potrebbe essere l’affrancamento del Libano dalla influenza  del potente vicino.  Cercherà di penetrare in occidente per acquisire investimenti e Know how per sviluppare infrastrutture decisive per uscire di minorità.

Durante la guerra mondiale, l’Iran venne trasformato in una zona di influenza anglo-russa. Adesso sarà russo-americana  e lo stesso avverrà in Ucraina. Con frange di subappalto alla Germania.che costituirà la variabile “indipendente” della Nuova Yalta in entrambi i casi. Servo no capitali e la Germania li ha. In cambio avrà un nuovo ruolo nella politica internazionale, come lo ha avuto entrando nel gruppo 5+1 del negoziato nucleare iraniano.

Complimenti ad Obama che è riuscito ad aprirsi un mercato potenzialmente importante  e ricco come l’Iran ed acquisire una significativa partecipazione in Ucraina giusto in tempo prima delle elezioni di mezzo termine che si terranno a novembre.

Ha fatto progredire l’economia USA ( fattore decisivo) e i diritti umani ( fattore importante propagandisticamente) senza impiego della forza.

Complimenti anche a Putin che ha evitato la rozza  tentazione interventista e che adesso lancerà una nuova politica estera ed economica  che potrebbe far uscire il suo paese dallo stato di minorità economica in cui si trova.

Uno studioso americano ha recentemente scritto che la Russia ha tre assets: l’armamento nucleare, la rete relazionale estera ex KGB e le risorse minerarie, ma se si togliessero questi tre elementi, avrebbe un PIL pari a quello italiano. Putin sembra averlo capito ed essere deciso a fare meglio.

Obama ha invece usato il montaggio propagandistico israeliano e saudita contro l’Iran e la Siria per lasciar crescere la tensione e presentarsi poi  all’appuntamento elettorale come colui che ha evitato la guerra e allargato i mercati sia interno ( col quantitative easing) che esterno ( col recupero dell’Iran e in parte dell’Ucraina).

La sfida resta, ma si trasferisce in politica.