I numeri e i misteri della transizione in cui siamo entrati

Ad Hong Kong la pandemia è in piena crescita esponenziale. Così ci dicono. La megalopoli Shanghai, 25 milioni di abitanti, è chiusa per un numero relativo (4150 nell’ultima settimana) di casi. A Shanghai le disposizioni sono che non si può uscire da dove si vive ma, se ci si ammala, bisogna segnalare alle autorità la propria condizione e le stesse strutture sanitarie provvedono, con il supporto dell’esercito, a venirti a prendere e a trasferirti in ospedale. O forse a buttarti in un inceneritore. Cosa che si saprà eventualmente a cose ormai avvenute. In una città immensa ma “congelata” il cibo comincia a scarseggiare e il futuro dai poveretti che ci vivono (questi sono i racconti che filtrano) viene percepito come incertissimo.

In Italia, di Covid (varianti e ricombinazioni) nell’ultima settimana sono morte oltre 1.000 persone. Forse quante in Ucraina sotto le bombe in un solo giorno. O forse poco meno. O forse molte di più. Il confronto macabro è perché ritengo il numero dei morti da COVID in Italia altissimo e ritengo che questo numero cominci a lasciare indifferenti troppi. Questi mille dove di preciso sono morti? Che età avevano? Erano stati vaccinati fino alla mitica terza dose?
Si ha la sensazione che si proceda a tentoni per come affrontare un eventuale nuovo violento sviluppo della pandemia ancora in essere. E questo anche se nessuno lo dice ufficialmente. I parametri statistici calano (così ci dicono di sfuggita i conduttori delle trasmissioni TV che hanno cambiato cappello e sono tutti diventati dei piccoli Clausewitz impegnati a mettere a punto i loro “pensieri sulla guerra“) ma se – viceversa – dovessero aumentare, alla Hong Kong, temo che non si saprebbe nuovamente cosa fare.
Tranne indossare mascherine, lavarsi le mani e attuare il caro vecchio “distanziamento sociale”.

Quanto, in sostanza, avevo letto, nel 2009, si dovesse fare in caso di pandemia. I suggerimenti erano di tale Massimo Zuppini, Cassandra ( “…il rischio di una pandemia è una probabilità concreta…“) della GlaxoSmithKline Spa che nessuno ha mai voluto, in questi lunghi e drammatici anni, cercare e intervistare.
Almeno per ringraziarlo di aver tentato di salvarci, avvertendoci con congruo anticipo.
Nel frattempo (a proposito di aumenti) l’inflazione, prevedibile e prevista (da me certamente), morde i polpacci di noi ultimi. Noi ultimi a cui non solo non fanno (il governo intendo) pervenire un centesimo di sostegno ma, nel mio caso, all’inizio del 2022 addirittura, da quattro mesi, sulla mitica Carta Acquisti (quella dove lo Stato generoso provvedeva a caricarmi 1,333 periodico euro al giorno per cibo, medicine, bollette), non viene addebitato un euro. Pensavo che fosse un deficit di documentazione (ISEE da ripresentare all’inizio del 2022 nel caso fossi diventato ricco all’insaputa dell’INPS che come sapete emette l’ISEE in coordinamento con l’Agenzia delle Entrate) ma dopo aver fatto il solito giro delle Sette Chiese (ora anche elettronico con centralini robotizzati che vogliono sapere un sacco di cose ma alla fine non ti dicono nulla) al CAF dicono che “a nessuno” è arrivata la cifra prevista di 40 euro al mese e che “aspettano disposizioni”.  Chissà se dicono il vero?
Sento infatti dai media di continui provvedimenti da parte del governo per soccorrere i cittadini in difficoltà. Ma in cosa consistono questi aiuti se quelli terra-terra, facili-facili vengono soppressi? Perché, non erogare più quelle cifre senza comunicare nulla, fa ritenere che siano state soppresse. Sono finiti i soldi?
Non era un mio diritto ricevere quel denaro ma sapere perché non me lo date più mi farebbe piacere. 

Oreste Grani/Leo Rugens

P.S. Dice Clausewitz: “La guerra non è altro che un duello ingrandito. Se concentriamo in un’unità la serie di duelli singoli di cui essa è composta, dobbiamo immaginarci una coppia di lottatori dove l’uno cerca d’imporre all’altro la sua volontà. Lo scopo pratico della guerra (uno che parla senza tanti giri di parole e senza ipocrisie ndr O.G.) è abbattere l’avversario per renderlo incapace d’opporre qualsiasi altra resistenza“. Per quello, aggiungo io,nella mia marginalità e ininfluenza, bisognerebbe evitare di scatenare guerre. Che una volta messe in moto mostrano di essere il massimo campo del pericolo dove il coraggio è la prima qualità del guerriero di fronte alla responsabilità soprattutto nei riguardi della propria coscienza. Senza coscienza non c’è coraggio e senza coraggio consapevole di quello che si sta facendo il combattente sbanda. Come sta accadendo ai soldatini russi. Senza informazioni non si può combattere perché in guerra quasi sempre il combattente trova che le cose stanno in modo incessantemente diverso da come se le era aspettate e questa differenza non può mancare di avere influsso sui suoi piani o ordini.
Se l’influsso delle cose “diverse da come si aspettavano” è così grande  – continua a suggerire il prussiano – da far scartare decisamente le disposizioni progettate, si deve di regola sostituirvene di nuove per le quali spesso mancano i dati sul momento, perché nel corso dell’azione le circostanze trascinano il più delle volte la decisione, e nessuna situazione ritorna una seconda volta. Spesso non lascia neppure abbastanza tempo per permettere una matura visione della situazione. Avviene più spesso ancora che la revisione delle nostre idee e la cognizione dei casi sopraggiunti non sia tale da rovesciare completamente i nostri disegni, ma solo da farli oscillare“. 
E mentre finisco di scrivere mi chiedo perché mai abbia posizionato questi pensieri guerreschi in coda proprio a questo post. Che doveva essere dedicato ad altro. Ma evidentemente la guerra ormai pervade tutto.