Perché i media nazionali spacciano Nikolaj Jur’evič Veržbickij per esperto di Putin?

Nicolai Lilin
25 dicembre 2017  ·

Carissimi amici! Io e mia moglie Ustinia ( @u.stinia ) , dal profondo dei nostri cuori vi facciamo auguri di Buon Natale cattolico! Da brave spie russe agenti del Cremlino e nipoti del “cattivo dittatore” Putin che siamo, vi auguriamo la pace, tanta salute, molta fortuna, prosperità e amore! 🎄🎄🎄🥂🥂🥂🍾🍾🍾💫💫💫🎊🎊🎊💥💥💥🎁🎁🎁❤️

Gli arabi avevano a disposizione parecchi modelli di ordigni esplosivi, molti dei quali erano di fabbricazione italiana. Provenivano da San Marino: avevano meccanismi diversi, ma erano tutte armi micidiali. Alcune di quelle trappole erano sparse nelle città che noi dovevamo assediare, buttate per strada, nel tentativo di attirare l’attenzione dei nostri soldati. Avevano l’aspetto di cellulari, orologi, videocamere, ma purtroppo certe volte erano anche a forma di giocattolo, o di scatole di matite colorate.
Nicolai Lilin, “Caduta libera”, Einaudi 2010

Il nostro capitano era sicuro che la guerra in Cecenia non fosse nient’altro che una buffonata, una messinscena che la Russia aveva organizzato tutta da sola, sfruttando le sue conoscenze nel mondo arabo e addirittura pagando i mercenari per combattere contro di noi. Siccome io ero sempre stato lontano dai discorsi politici, non mi erano cosí chiari i ragionamenti che ogni tanto il capitano buttava lí durante i suoi discorsi. Tutte le sue teorie ribaltavano completamente le mie convinzioni sul conto delle strutture governative: Nosov parlava spesso del potere di chi aveva fatto parte dell’ormai ex KGB, e sosteneva che in qualche modo un gruppo di veterani dei nostri servizi segreti tenesse sotto controllo la politica russa.
Io ero molto curioso e facevo un casino di domande, perché m’interessava davvero sapere che cosa stava succedendo nel posto in cui ero finito. Allora il capitano cercava di spiegarmi tutto nel modo piú semplice possibile:
– Vedi, per capire lo scopo di questo conflitto bisogna sapere come funziona «l’effetto-casino». Ti faccio un esempio: tu hai un negozio pieno di cioccolatini buonissimi e un cliente vuole comprarli per portarseli a casa, ma la legge impedisce di portarli via, deve consumarli lí, senza allontanarsi dal negozio. Quel tipo, però, conosce tante altre persone che come lui vogliono i tuoi cioccolatini, e tutti loro sono pronti a pagarti qualunque cifra per avere la possibilità di portarli via e mangiarli tranquillamente a casa, o magari anche rivenderli a qualcun altro. La legge contro il consumo dei cioccolatini al di fuori del negozio però non piace nemmeno a te, perché tu sei interessato a venderne il piú possibile. A questo punto entra in gioco il nostro Mosca, che nella storia prende il posto di un rappresentante della legge. Lui è sempre presente nel tuo negozio, sta attento e controlla che nessuno si porti a casa i cioccolatini. Ovviamente, non ti piace neanche Mosca. Mi segui fino a questo punto?
Anche se non era una vera domanda io comunque ho fatto segno di sí, e Nosov è andato avanti col suo racconto:
– Dunque immagina: arrivo io, e ti propongo di prendere in giro Mosca. Mando nel negozio un paio di miei amici, tu ne chiami un paio dei tuoi, e un bel giorno i nostri amici fanno una rissa dentro il tuo negozio. Mentre quelli si picchiano, spaccano un paio di tavoli, qualche vecchia sedia e magari anche una vetrina, Mosca, da buon rappresentante della legge, si mette in mezzo per tranquillizzarli e cercare di ripristinare l’ordine. In quel preciso istante, io prendo dal tuo negozio tutti i cioccolatini che voglio, ti pago quanto ti devo e scappo via. Grazie all’effetto-casino il nostro caro amico Mosca non ha visto niente, io e te ci abbiamo guadagnato, e la prossima volta, volendo, possiamo ripetere la cosa… La situazione della guerra in Cecenia è molto simile, solo che al tuo posto ci sono i capi della comunità araba, che gestiscono il mercato della droga, il traffico di uomini, di armi, di benzina e altro. I cioccolatini, insomma. Al posto mio ci sono i servizi segreti russi, che dopo la caduta dell’Urss hanno preso il controllo di tutti i traffici illeciti sul territorio nazionale. Mosca invece rappresenta la società legale, cioè quei pochi che ancora cercano in qualche maniera di seguire la legge e credono nelle istituzioni (tra di loro ci sono anche i rappresentanti di quei Paesi dove vanno a finire i traffici). Gli amici imbecilli che vengono a picchiarsi nel negozio per innescare l’effetto-casino invece sono i militari russi e i mercenari. La morale è molto triste: noi, senza rendercene conto, facciamo casino per distogliere l’attenzione dalle cose gravi che succedono in questo posto. La guerra che combattiamo è solamente una copertura per i tanti traffici interamente gestiti dalla gente corrotta che sta al governo…
Dei vari traffici io non è che sapessi tanto, però devo dire che spiegata a quel modo la situazione mi sembrava un po’ piú chiara.
Un’altra questione era quella dei mercenari in Cecenia: sembrava impossibile risalire al mandante diretto che finanziava la catena di persone nelle mani delle quali passava tutto il necessario per organizzare le formazioni armate terroristiche. Spesso erano i leader religiosi islamici, gli stessi imam, a sfruttare i loro luoghi di culto come magazzini o come ospedali da campo improvvisati per i loro feriti. Però questi erano solo i pesci piú piccoli, l’ultimo ingranaggio di un meccanismo complesso.
Nicolai Lilin, “Caduta libera”

Rileggendo “Caduta libera” dieci anni di distanza sono costretto a ricordare a me stesso che la capacità di dare un significato al testo dipende dalle competenze del lettore, sicché dieci anni fa, lo ammetto, “San Marino” non mi diceva ciò che oggi mi suggerisce né che la teoria “effetto casino” indicasse che Nicolai Lilin sia un personaggio più complesso del mezzo millantatore / esperto di tatuaggi dei criminali russi che mi appariva anni fa, complesso non significa migliore o meno pericoloso, ed è un complimento a lui, una accusa a Einaudi e a chi gli ha dato “carta bianca” nel panorama culturale italiano.

Non entro nel merito della “teoria casino”, aggiungo solo che il libro di Lilin quasi in ogni pagina ricorda che le armi dei ceceni o degli “arabi” sono made in USA sporadicamente in Austria e in Italia ecc, fino a San Marino. Altrettanto il nostro descrive uno stato dell’esercito russo che dire penoso è poco oltre al fatto che in ogni momento qualcuno invoca la protezione di Cristo.

Un particolare orrendo è la esposizione del concetto di “monumento” nonché la descrizione di come si fa a realizzarlo, in particolare a opera di quel capitano Nosov che ha sposato la guerra ed essendole fedele per questa ragione vede protetta la sua vita, fino a un certo punto. Ebbene il “monumento” è il corpo del nemico che viene torturato in modo bestiale evitandone la morte e lasciandolo esposto ma moribondo alla vista di tutti, in particolare dei suoi compagni. Realismo o propaganda? Informazione o guerra psicologica indirizzata ai lettori? Ricordo che durante una trasmissione televisiva Lilin minacciò un giornalista che aveva osato mettere in dubbio l’autenticità dei suoi racconti.

Capire che cosa faccia un russo ortodosso che vive in Italia da quasi due decenni e che può vantare in televisione di avere come amico affidabile un ufficiale dei servizi russi, vero falso autentico che sia, pone un evidente problema di sicurezza, fosse solo per lo scadente livello letterario e le evidenti amnesie. Un esempio: l’unica droga che compare nel libro è l’eroina della quale abusano i disperati “arabi” che vengono mandati al massacro, mentre il coraggioso e macho “guastatore” russo, quando può, beve solo vodka. Ma chi vuole prendere in giro.

Russia. Diffusione della droga tra i soldati di leva

15 ottobre 2002 16:26
 
Suscita allarme la crescente diffusione delle droghe, accanto all’alcool, nelle caserme russe e in particolare tra i soldati di leva. Gli ultimi dati in proposito vengono da un rapporto presentato alla commissione difesa della Duma, commentato oggi con toni preoccupati da numerosi giornali moscoviti.
Il fenomeno appare particolarmente grave nella fanteria e negli altri corpi di base dell’esercito, dove e’ passato dal 14 al 20%, nel giro di cinque anni, il numero dei coscritti sorpresi a consumare sostanze stupefacenti. Tra loro sono stati individuati anche alcuni tossicodipendenti cronici, sfuggiti evidentemente ai controlli che solo nell’ultimo anno hanno permesso di escludere dall’arruolamento circa 20.000 ragazzi. Il rapporto rivela inoltre che il 75% dei reati ed abusi commessi nelle caserme russe vanno ricondotti agli stupefacenti o all’alcolismo, fenomeno quest’ultimo che e’ ancora piu’ diffuso e che affonda le sue radici in un lontano passato. L’eccessiva propensione al bicchiere, a differenza della droga, coinvolge del resto anche gli ufficiali, con un 10% che abusa periodicamente della vodka e di altre bevande e con un 2% che va considerato addirittura nel novero degli alcolizzati patologici, secondo il giornale “Vriemia Novostiei”.
Un ulteriore motivo d’inquietudine -sottolineano i media- deriva dal fatto che sia la diffusione della droga, sia gli abusi alcolici raggiungono le percentuali piu’ alte (rispettivamente del 25 e del 50%) tra i militari in servizio nel Caucaso, a ridosso del fronte ceceno. Si tratta del resto di un dato che non sorprende se si considera il grado di stress che il conflitto in atto da anni con la guerriglia islamico-separatista -fatto di imboscate, attentati e sparatorie notturne- continua a imporre. Uno stress che ha prodotto una specifica forma di sindrome psichiatrica, ha spiegato oggi in un’intervista Tatiana Dmitrieva, direttrice del Centro Serbsky di Mosca, il piu’ noto istituto di psichiatria russo. La “sindrome cecena” -ha osservato Dmitrieva- comporta “traumi psichici seri”, fino allo “sdoppiamento della personalita’”. Si tratta di una patologia complessa, -ha aggiunto la specialista- diversa dalla “sindrome afghana”, e in qualche misura assimilabile invece alla “sindrome vietnamita” patita da tanti soldati e veterani statunitensi. FONTE ADUC

Leggendo romanzi, libri di memorie quali “L’orchestra rossa” o il Dossier Mitrokhin abbiamo appreso che un agente di influenza, per esempio un dissidente o uno studioso, perché no un tatuatore scrittore, possono essere attivati anche a decenni dall’arruolamento, così trovo abbastanza raffinata, ma penso di seconda mano, l’interpretazione data dal nostro di due figure emblematiche dell’era sovietica:

Solženitsyn è una figura emblematica, facile sia da appoggiare sia da odiare. Ha poche sfumature perché scriveva cose concrete. Reali. Chi sostiene il regime comunista lo odia, chi invece ama la democrazia lo rispetta. Adesso però pensiamo a Pasternak, che scrisse, durante l’epoca di Chruščëv, Il dottor Živago. Pasternak viene massacrato in maniera disumana: vince un Nobel, ma non glielo fanno ritirare. Lo mandano in esilio nella sperduta campagna russa dove muore di infarto. È lì che bisogna soffermarsi. Il caso Pasternark è emblematico perché non ha criticato il regime, ma ha messo, sotto una luce obiettiva, i processi storici, permettendo ai suoi lettori di crearsi un’opinione, lasciando fuori il partito. Pasternark ha fatto addirittura peggio di Solženitsyn. Solženitsyn, infatti, ha criticato la linea del partito e, quindi, ne ha ammesso l’esistenza. Pasternak invece l’ha ignorata e, così facendo, ha distrutto il partito. Solženitsyn è stato lasciato libero di andersene. Pasternak, invece, l’hanno fatto morire. FONTE Il Giornale 16 ottobre 2020

La disquisizione da analista sopra citata fu occasionata da una intervista, “Ecco perché i russi vogliono uno zar“, che gli fu fatta in occasione della pubblicazione del suo testo: “Putin, l’ultimo zar”.

A leggere l’intervista, Putin passa per un mezzo burattino in mano agli oligarchi cattivi, un uomo concreto che sa il fatto suo ma che opera entro un perimetro ben delineato; al di fuori della Russia, il mondo capitalista cattivo e senza valori appare un deserto di senso così il giovane cresciuto in un contesto violento ha saputo affermarsi a suon di pugni ma con l’esempio dell’eroico padre e della affettuosa e colta made, diventando un “uomo” di quelli che piacciono a Lilin. Nel libro Putin appare piuttosto uno statista necessario alla Russia, paese che sembra destinato a un declino rapidissimo per quanto dotato di molte bombe atomiche, questione che al pari della droga non sembra interessare il nostro autore.

Curiosamente Lilin si esprime come fosse un cittadino italiano, un po’ sopra il livello del bar, quando descrive scellerate scelte politiche o evidenti cadute valoriali imputabili al governo nazionale mentre rivendica una profonda anima russa forgiata secondo l’etica dei cacciatori / criminali siberiani della Transnistria quando descrive il suo mondo ideale. In altre parole, Lilin non ha un modello alternativo a quello democrat-capitalista nel quale ha fatto fortuna ma dove sovente sembra sputare sul pavimento.

Di passaggio faccio notare che l’Einaudi di Calvino difficilmente avrebbe fatto passare testi come i suoi, mentre l’Einaudi di Marina Berlusconi lo ha accolto a braccia aperte.

L’ultima curiosità che vorrei togliermi è potere ascoltare i dialoghi tra Lilin e l’ufficiale russo dei servizi, auspicando che dalle nostre parti qualcuno si sia interessato alla vicenda.

Se siete arrivati fin qui sarete premiati da una sorpresa, per me lo è stata, e avrete conferma che oggigiorno le fonti aperte vanno prese con molta precauzione e addestramento – non mi sto proponendo come esempio – dico solo che se non avete letto le parole che riporto di seguito, tutto ciò che le precede prenderà un sapore e un colore diverso, poiché Nicolai Lilin altri non è che Nikolaj Jur’evič Veržbickij secondo Antonio Armano.

Dopo avere passato qualche giorno a Tiraspol’ (la capitale), rassegnato a non cavare niente da questo viaggio in Trasnistria, mi ritrovo in un parco di Bender, a guardare una scheda informativa su Lilin. Me la sono procurata attraverso una serie di conoscenze fortuite, che per ovvi motivi di riservatezza non racconterò. La guardo nel computer del mio informatore. Sul monitor si riflettono le immagini dei bambini che giocano vicino a noi nel parco. Elimino il riflesso e scatto una foto del monitor per registrare le informazioni. Mi consigliano di ricopiarle su un foglio e non memorizzare l’immagine. Nel caso, non del tutto improbabile, che mi fermino per qualche motivo e mi controllino il computer, evito problemi. Come straniero che si aggira da solo in un posto non precisamente turistico posso destare sospetti.
La scheda informativa non contiene niente di rilevante, ma a me interessa proprio per questo. Oltre che per l’indirizzo della casa dello scrittore. C’è scritto che Lilin ha commesso qualche furtarello di barche sul Dnestr e nient’altro. Non appartiene a una famiglia di criminali, tanto meno siberiani. Il cognome del resto suona come polacco. Queste sono zone multietniche. Il nome completo di Lilin è Nikolaj Jur’evič Veržbickij. Il padre si chiama Jurij, la madre Lilija. Evidentemente ispirato a lei lo pseudonimo Lilin. Jurij e Lilija sono tutt’e due del 1958. C’è l’indirizzo di residenza in Transnistria, la propiska: Bender, via Majakovskij 14. Mi dicono che è dalle parti del fiume.

A dirla tutta il sospetto che Lilin possa essere altro dal tatuatore che sa far parlare i suoi clienti viene dal cenno alla scheda informativa che l’ignoto informatore mostra ad Armano, mentre lo stupore dei famigliari del nostro Nikolaj rafforza l’impressione che qualcosa non quadri.

Essere un po’ truffatore mitomane doppio sbruffone sono doti indispensabili a chi fa certi mestieri, perbacco.

Il problema allora è: perché tale Nicolai Lilin, pardon Nikolaj Jur’evič Veržbickij ci deve spiegare chi sia Putin se non si presenta neppure col suo cognome vero?

Come è possibile che “Lilin” e Armano pubblichino entrambi per PIEMME?

Alberto Massari