Emerge che Ezio Bigotti è stato un uomo pericoloso per le istituzioni repubblicane?

A volte mi chiedo: “Sogno o son desto?” e “In che Paese vivo?”.
Comunque, sentite a me che scrivevo di Ezio Bigotti (e già lo “curavo” da vicino vicino) quando il resto del mondo non sapeva neanche chi fosse, l’articolo è molto molto molto interessante e porta lontano lontano lontano. Certamente a Pinerolo e in Congo. Dopo un giretto ad Astana con una puntata a Parigi.
L’articolo suggerisce inoltre implicitamente che mentre in troppi trattavano l’ENI come “cosa loro”, nessuno pensava ad una politica energetica utile per il datore di lavoro. Cioè il popolo sovrano. Non staremmo come stiamo se i vertici dell’Ente avessero fatto almeno un po’ del loro dovere istituzionale.
Il racconto giornalistico tra l’altro mi riporta ad un momento di vita vissuta.
In Congo, ad esempio (sono passati anni ma credo di non sbagliarmi) Bigotti, mentre si sentiva qualcosa di più del re del Global Service e protetto in palazzi istituzionali, è riuscito a mandarci uno stracciaculo come tale Paolo Pasi, da Marina di Ravenna, personaggio che il sottoscritto, quando era un po’ meno vecchio e malandato, prese a pacchere e a calci in culo.
E non metaforicamente. E in presenza di ottimi testimoni. Fresco fresco di ritorno dal Congo. Per conto di Bigotti.
Quello che voglio lasciar detto comunque che Ezio Bigotti è stato un personaggio molto molto molto più pericoloso di quello che si è voluto ritenere o far credere. Mai dimenticando che prima di buttarsi nel facility management e nel global service (cioè anche le pulizie dei cessi) ha posseduto quote in una società che come oggetto sociale aveva le intercettazioni telefoniche per le Procure della Repubblica. Comunque che Il Fatto Quotidiano si interessi nuovamente al tema mi può solo che far piacere. Mi sento meno solo. Questa sera non sono in gran forma e mi pesa pensare a Ezio Bigotti e a come questa squadra è stata lasciata sola ad affrontarlo.
Domani spero di stare meglio e di sentirmi in grado di riaprire lo scontro.
Oreste Grani /Leo Rugens