Lo scissionista


Se – come sostenevo da anni che sarebbe avvenuto – il M5S elettoralmente tende a zero (2-3 % dopo aver avuto il 33%) figurarsi quanti voti possa rappresentare lo scissionista Luigi Di Maio, attuale Ministro degli Esteri.
Beppe Grillo, alle recenti amministrative, non è andato a votare.
In Sicilia, dove l’arroganza dei vertici del MoVimento non ha avuto paragone con niente e nessuno, i grillini sono disciolti e perfino un piccolo opportunista come la iena Giarrusso, con il suo partito su misura varrà qualche decimale di più. Tornando a Di Maio ora che ha raccolto (riuscendoci) firme per fare gruppo a parte, direi che può restituire qualcosa alla comunità (a cui deve tutto non avendo avuto di suo nulla prima della esperienza politica) solo se inaugura una stagione fitta fitta, fatta di racconti, veritieri e ricchi di riscontri inoppugnabili, di come siano andate tante cose nel MoVimento che hanno riguardato la Repubblica e il popolo italiano. I racconti possono non riguardare le questioni che sono oggetto degli attacchi personali di cui da anni si parla. Anzi, non ci frega un beneamato dei gusti sessuali di Giggino e della funzione delle sue fidanzate.
La Repubblica ha bisogno di altro.

Di Maio deve testimoniare, ad esempio, come sono andate le cose con i chavisti venezuelani.
Deve, sveglio come è, raccontare come e perché quella sera (Rodotà-Rodotà) Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non arrivarono a Roma dove li aspettava una folla pronta a menare le mani per scuotere quel sistema partitocratico contro il quale aveva preso forma il M5S.
Di Maio, ad esempio, può cogliere l’occasione per consegnare alla rete chi sussurrava all’orecchio del duo Casaleggio-Grillo. 
Sarebbe interessante che dicesse chi introduceva chi a chi, a cominciare da Vincenzo Spadafora.
Chi aveva scelto, per continuare negli esempi, per piazzarli al COPASIR, nel 2013, tre come Angelo Tofalo, Vito Crimi,  Bruno Marton.
O chi abbia spinto una giovane romagnola come Giulia Sarti  perché divenisse una star del delicatissimo dicastero della giustizia.

Chi abbia spinto a che la Commisisone antimafia fosse resa fragile dalla scelta di un presidente come Nicola Morra.
Perché, sentite a me, è fondamentale per capire la fase drammatica in cui stiamo per precipitare come Italia, Europa, Mediterraneo capire, ad esempio, chi, del MoVimento, ha introdotto nell’ambiente “grillino” Aldo Giannuli che a quella data era già stato consulente parlamentare nelle commissioni di inchiesta sulle stragi (dal 1994 al 2001) e sul Caso Mitrokhin (dal 2003 al 2005) con i risultati a tutti noti. Cioè poco o niente. Per non parlare dei processi in cui il professore è stato consulente giudiziario a cominciare da quello di piazza Fontana a finire a quello sulla scomparsa di Mauro De Mauro, senza farsi mancare Enrico Mattei, via Fatebenefratelli, piazza della Loggia e i meno noti Fausto Tinelli e Iaio Iannucci.
Sempre scrivendo per testate che in quanto a verità strabiche e disinformatia si dice che la sapessero lunga a cominciare da Liberazione, Quotidiano dei Lavoratori, Avvenimenti, L’Unità, Libertaria. Che il buon Di Maio, se vuole servire il Paese, faccia chiarezza su chi di loro ha tenuto i rapporti con le Agenzie d’Intelligence e l’ambiente che ruotava, in quegli anni, intorno ai servizi, non potendo accettare che una tale massa di relazioni delicatissime fossero affidate all’ingegnere/calciatore Angelo Tofalo (soprattutto dopo la toppata con Annamaria Fontana) o al senatore avvocato di Cassazione, Francesco Castiello.
Tantomeno al navigato Umberto Sacconi. Di Maio, ora che ha dato vita ad Insieme (per il futuro?), se vuole contraccambiare lo Stato (con oggi il ministro degli esteri entra nell’ultimo periodo di incarico politico formale), a cui, lo ripeto, deve tutto, ci raccontasse, per filo e per segno, chi, ad esempio, ha predisposto la sua relazione con Vincenzo Scotti e la Link Campus.E continuo a fare esempi di outing interessanti e non le solite banalità sui gusti sessuali. Ma voi tutti potete suggerirne degli altri.
Oreste Grani/Leo Rugens